L’arte dell’essere umani, parte 2:
Sfidare il sistema
Traduzione di Francesca Bagaglia
Nel 2011, ho realizzato un film intitolato Voices That Heal (Le Voci che Guariscono) con l’intenzione di avviare un nuovo dialogo orientato alla guarigione personale e al benessere in seno alla vita sociale. In questo film, sei di noi, che hanno vissuto l’esperienza della diagnosi e dell’assunzione quotidiana di psicofarmaci impostaci come “cura”, condividono apertamente le proprie storie. L’obiettivo è quello di aiutare a portare chiarezza e speranza attraverso questo particolare percorso di guarigione raccontato da ciascuno secondo la propria prospettiva.
Per avere una prima idea del progetto potete iniziare da questa prima clip di 10 minuti:
https://www.youtube.com/watch?v=LN0-m6nhUIE
Quando ho girato questo film, ero già libero dall’assunzione di psicofarmaci da 10 anni e lavoravo come attore teatrale a San Francisco. Avevo inoltre iniziato una mia pratica di guarigione, basata su ciò che avevo imparato dopo aver disertato “l’industria della salute mentale”. L’esperienza di cura all’interno del Sistema della Salute Mentale si era rivelata infatti, un clamoroso fallimento e per questo mi ero rivolto ad altri approcci, quali la guarigione energetica e la medicina cinese. Il lavoro energetico e la guarigione naturale (spontanea) che ho intrapreso, hanno risvegliato il mio spirito e riequilibrato il mio corpo. Così ho approfondito ulteriormente questo approccio facendo per diversi anni un training specifico e uno stage come terapeuta olistico attraverso i quali ho ottenuto diverse certificazioni per portare agli altri questo potente lavoro di ripresa e recupero di sé.
Prima di girare questo film, prima di intraprendere il mio insidioso viaggio nel Sistema della Salute Mentale e prima ancora di trasformare il mio trauma in creatività, la mia vita, ovviamente, era stata molto diversa.
Dal 1982 al 2001, ho assunto svariati psicofarmaci mentre lavoravo a tempo pieno come responsabile della vendita al dettaglio, al contempo, studiavo cinematografia (raggiungendo il diploma), riuscivo a mantenere anche una vita piena e la relazione con colei che è la mia compagna di vita da 34 anni. A quell’epoca sostenni un colloquio per il Master in Psicologia integrativa nel corso del quale dichiarai pubblicamente sia quale fosse la mia diagnosi, sia la terapia farmacologica che mi era stata prescritta, esplicitai inoltre la convinzione che la mia esperienza diretta con il disagio psichico e le strategie efficaci di fronteggiamento che avevo messo in campo, sarebbero state un punto cruciale e vincente anche per i miei futuri clienti.
Non immaginavo all’epoca cosa avrei potuto scoprire nei due decenni seguenti operando a stretto contatto con il Sistema Sanitario. Gli stressor maggiori che i miei clienti affrontavano erano dovuti alla sfacciata manifestazione di potere da parte di coloro che operavano, a qualsiasi titolo, secondo i protocolli di cura del Sistema Sanitario. La distinzione e la disparità rispetto alla classe socioeconomica di appartenenza non erano solo palesi, ma, in un modo o nell’altro, venivano continuamente enfatizzate, anche nei modi più sottili, passivi, aggressivi e insidiosi. Inoltre, il potere derivato dalla posizione ricoperta da tutti gli operatori era sistematicamente utilizzato come strumento di oppressione e sopruso.
Anche una volta usciti dal “sistema”, l’esperienza umiliante lasciava nei miei clienti un debilitante strascico psicologico da stress post-traumatico, processo questo che doveva necessariamente essere affrontato, invertito, guarito. Questo esemplifica precisamente ciò che definirei il paradigma per la creazione di sofferenze indebite e, per me, rappresenta l’aspetto più tossico del Sistema in generale poiché influisce negativamente sulla società nel suo complesso.
Anche a riguardo della mia persona, mentre il mio spirito e il mio corpo erano guariti e riequilibrati grazie al percorso di remissione e ai flussi di energia naturale che stavo imparando e applicando, continuavo a sperimentare gli effetti dello stress post-traumatico al quale il Sistema mi aveva sottoposto: stavo ancora esperendo ruminazioni mentali e pensieri ciclici che indicavano stati psichici conflittuali. Il sapere e l’essere consapevole di essere stato vittima di terribili ingiustizie di un Sistema altamente corrotto e disinformato, di un Sistema che non solo non perseguiva lo scopo dichiarato di aiutare le persone a trovare il proprio benessere, l’equilibrio, le proprie risorse, ma tradiva anche sistematicamente i suoi assistiti e la società in generale causando catastrofi indebite nella vita di molte persone lasciate poi, legalmente ed illegittimamente senza alcuna forza. Gli operatori attuavano semplicemente ciò era stato insegnato loro attraverso un continuo addestramento e ad una stretta supervisione.
Nel corso degli anni ho continuato ad elaborare la mia esperienza in particolare, attraverso dialoghi straordinariamente potenti e autentici che altre persone, in diverse parti del mondo, avevano sperimentato: le stesse ingiustizie ed i medesimi danni personali. Questa comunanza di esperienze alla fine mi ha definitivamente aperto gli occhi sul fatto che l’industria della salute mentale è decisamente pericolosa in quanto non solo avvelena le persone con droghe molto tossiche rifilate come fossero caramelline, ma nel complesso ripete l’instaurarsi del trauma, lo amplifica per continuità attraverso la coazione a riproporre il doppio legame e la dinamica tipica delle relazioni tossiche. Così la relazione terapeutica diventa generatrice di ulteriore disagio anziché accogliere e lenire le ferite della persona.
Il motivo per il quale metto in dubbio l’efficacia e l’etica dell’intervento uno-a-uno con clinici della “salute mentale” o con qualsiasi altro staff in questione, è proprio perché ciò che producono è che la realtà del paziente diventi ancora più oscura e vaga, messa in dubbio dall’immagine inadeguata di sé che da questi riceve. Nella relazione clinica troppo spesso il “medico” abusa del proprio ruolo assumendo quello di vicario, imponendo unilateralmente la propria interpretazione della “realtà” ogni qualvolta si verifichi un disaccordo sia etico, morale o persino legale, fatto che quasi inevitabilmente accade quando si impone una verità sopra ogni altra. Inoltre, se un clinico è particolarmente sinistro nel modo in cui manipola un cliente al fine di suscitare una sorta di attaccamento e dipendenza innaturali (e non ho dubbi che con alcuni questa sia ormai una norma), ciò che ne consegue è disastroso e può portare il soggetto anche al suicidio. Infatti, subito dopo aver interrotto completamente il trattamento farmacologico, tentai il suicidio pur essendo seguito dall’unico psichiatra disponibile a sostenermi nel percorso di dismissione dai farmaci. Ciò avvenne poiché, nonostante tutta la sua buona volontà, continuava a focalizzare la sua attenzione sul processo di remissione dei miei sintomi appellandosi a diagnosi di “disturbo della personalità” e lasciandomi nell’unica interpretazione possibile per la quale ero io ad essere in qualche misura “sbagliato”. Ma ciò che indicava come “sbagliato” in realtà non era mai stato per me il problema o la causa del mio malessere.Ho sempre avuto diagnosi relative all’Asse 1 (DSM): da grave ansia a lunghi periodi di depressione. Nonostante questo, non ho avuto problemi di relazione o sociali, a parte quelle con i miei familiari.Lo psichiatra mi ripeteva continuamente che avevo perso i miei sogni e con queste poche parole spiegava la mia angoscia.Quando iniziai ad avere questi problemi stavo cercando impegnarmi nel volontariato e trovai anche lavoro in un negozio di video del quartiere per guadagnarmi la mia autonomia. Il mio stato psicologico mi portò a licenziarmi e fui accusato di averlo fatto di proposito in modo da non dover lavorare. Avevo già alle spalle una carriera di vendita al dettaglio, avevo frequentato una scuola di specializzazione e uno stage che dimostravano quanto fosse presente il mio desiderio e la mia capacità di impegnarmi per cui si può comprendere quanto l’accusa che mi veniva rivolta, fosse lontana dalla realtà. Semplicemente avevo deciso di sospendere gli psicofarmaci. Lo psichiatra però, ha costantemente invalidato la mia verità imponendo la sua lettura della realtà in modo aggressivo e colpevolizzante; mi dava del bugiardo e dell’antisociale, mi richiamava al senso di vergogna mentre io vivevo un estremo dolore, angoscia, disorientamento e terrore assoluto in seguito alla sospensione di ben nove tipi di sostanze psicoattive, psicofarmaci tossici sia per i miei pensieri sia per il mio sistema neurologico. La mia compagna sapeva che stavo soffrendo a causa della relazione con questo psichiatra. Io mi sentivo impotente perché proprio mentre stavo attraversando la notte più oscura per l’anima, tutto ciò si ripercuoteva nelle nostre vite e in ognuno di noi.In seguito appresi anche che il mio psichiatra aveva registrato nella mia cartella (distribuita, inoltre, tra diversi operatori sanitari) che:1) avevo un “disturbo borderline di personalità” dimostrato, secondo lui, dal fatto che fossi terrorizzato dall’idea di perdere la mia partner nonostante non avessi avuto in precedenza problemi di paure abbandoniche. Pensavo che queste mie paure fossero ragionevoli e dettate dalle circostanze, nessuno mi fece osservare che potessero essere state scatenate o rafforzate dall’effetto dell’astinenza dai farmaci.2) ero antiautoritario perché provavo molta rabbia per gli abusi che avevo subito da certe figure autoritarie nella mia vita e perché rifiutavo di considerare vangelo la parola del mio psichiatra. Generalmente sono una persona molto rispettosa dell’autorità, ma ciò non significa dover essere d’accordo e acconsentire a ciò che ci viene presentato a prescindere da qualunque altra cosa. Ciò che contrasto è proprio questo tipo di autorità che abusa del proprio potere piuttosto che mettere al servizio dell’altro le proprie competenze e la propria posizione, esattamente, come immagino che la maggior parte delle persone pensi debba essere, almeno in linea di principio. Il risultato di queste menzogne infondate, stigmatizzanti e interamente frutto di proiezioni, è stato palese quando, arrivato in ospedale dopo il mio tentativo di suicidio, una squadra di “dottori” ha pensato bene di rimproverarmi accusandomi ulteriormente di essere un manipolatore. La verità purtroppo era invece che desideravo morire perché vivevo nel buio più totale e soffrivo per ogni singolo passo dentro a quell’oscurità. Tutto era estremamente angosciante, scoraggiante, tortuoso, ma soprattutto mi veniva restituita un’immagine di me completamente contraria a quella che avevo sempre avuto di me stesso. Vedere cassata in toto la mia “verità”, il mio sentire me stesso, in modo ripetuto e sistematico era, di fatto, pura tortura. Nella terza e ultima parte di questa serie, parlerò di ciò che è accaduto quando mi sono rivolto al servizio di riabilitazione professionale, e fui assunto, da ex paziente a membro dello staff e di come le annotazioni dello psichiatra minarono direttamente il mio tentativo di tornare al lavoro facendomi entrare nella categoria delle persone con disabilità. Parlerò poi, anche di ciò che mi ha aiutato a guarire dallo stress post-traumatico prodotto da questa storia di abusi sistematici e di sopruso.
The Art of Being Human, Part 2:
Challenging the System
In 2011, I made a film called Voices That Heal intended to instigate a new dialogue geared toward personal and social healing. In this film, 6 of us who have lived the experience of getting diagnosed and receiving drugs as part of our daily regimen openly share our stories in order to help bring clarity and hope to this particular journey of healing, from each of our individual perspectives. Here is a 10 minute clip—
https://www.youtube.com/watch?v=LN0-m6nhUIE
By the time I had made this film, I had been psych drugs free for 10 years and had become a stage actor in San Francisco. In addition, I had started a healing practice of my own, based on what I learned after having defected from the mental health industry due to its extreme failure with me, and turned instead to energy healing and Chinese medicine. The energy work and natural healing I did brought awakening to my spirit and balance to my body, so I did years of in depth training and an integral healer internship, and received multiple certifications to pay this powerful work forward.
Before making this film and taking my treacherous journey through the system and transforming trauma into creativity, my life, of course, had been vastly different. From 1982 to 2001, I had taken a variety of psych drugs while working full time as a retail manager, getting my BA in film studies and then MA in counseling psychology, and also maintaining a full life, including with my life partner of now 34 years. I had disclosed fully my diagnosis and that I was on psych drugs when I interviewed for this Master’s program in Integrative Counseling Psychology, and spoke about how it would be an asset to my future clients for me to understand this from the inside.
Little did I know at that time how much I did not understand, to which I would awaken eventually as I traversed the system thoroughly over the next couple of decades. The socio-economic class distinction and disparity was not only flagrant and one way or another continuously emphasized, even in the most subtle, passive aggressive, and insidious ways, but I discovered that the shameless display of power worn on the sleeve of those who worked in any capacity in the system was one of the biggest stressors faced by clients, and was used systemically as a tool for oppression. Even upon getting out of the system, this demeaning practice leaves behind a powerful residue of post-traumatic stress which can continue to be debilitating until it is healed and reversed. This is what I would call the epitome of creating undue suffering, and to me, the most toxic aspect of the system at large which so adversely affects society on the whole.
While my spirit and body had mended and aligned thanks to the natural healing and energy work I was learning and applying, I did, in fact, continue to experience post-traumatic stress from what the system had put me through as I desperately sought healing. I was still experiencing ruminations and thought loops which signaled internal struggle and conflict, because I knew I had been a victim of terrible injustices of a highly corrupt and misinformed system, which was not only not serving its stated purpose of helping people to find well-being, balance, empowerment, and clarity, but moreover, it was systematically betraying its clients and society at large, and causing undue catastrophes for a lot of people leaving, legally, no blood on their hands. They were doing what they were being taught to do, and following the examples from their own training and supervision.
As I continued to process my experience over the years, and especially via uniquely powerful and authentic dialogues with others all over the world who had experienced these same injustices and personal harms, I eventually woke up to the fact that the mental health industry is downright dangerous in that it not only poisons people with very toxic drugs given out like Pez candy, but overall it repeats trauma and creates more of it for clients rather than soothing and healing wounds, and much of this is from toxic relationship dynamics which are power based and double-binding.
That is where realities get murky and vague, which is why I question the efficacy and ethics of private 1 on 1 meetings with “mental health” clinicians or any staff in question here. These have the potential to become so abusive in its one-sidedness favoring the clinician, should any legal or ethical disagreement come to pass, which it often does at this point. If a clinician is especially sinister in how they manipulate a client in order to elicit some kind of unnatural attachment and dependency–and there is no doubt that with some, this is standard practice—then this can be lethal and lead to suicide.
I had a suicide attempt just after coming off the drugs because the psychiatrist I had been seeing—the only one available who would return my call and who would see me while coming off psych drugs and who took my insurance—could not see past my withdrawal symptoms and thought that was me, called me all kinds of derogatory names through the guise of “personality disorders,” which had never, ever been an issue for me. I always landed with Axis 1 diagnoses from extreme anxiety and long bouts of depression, and did not have relationship or social issues, other than with my family. He repeatedly told me I had lost my dreams. Those were the words he used over and over again to explain to me my distress.
I was attempting to do volunteer work and I even got a job at a neighborhood video store to generate some income, and when I began to have trouble with this due to the withdrawal, I was accused of faking it so I would not have to work. I had already had a retail career under my belt and had been through graduate school and internship when I decided I needed to get off these drugs to save my life, so this was really out in left field and nothing could have been further from the truth.
But he chronically invalidated my truth and imposed his reality on me, aggressively–and in such an accusatory and shaming way while calling me anti-social and a liar–as I was in extreme pain, distress, disorientation, and utter terror from having come off of what had culminated into nine toxic brain and nervous system drugs. My partner knew I was suffering at this guy’s hands, but felt helpless and was going through his own dark night of the soul which all of this triggered for each of us.
I later learned that this psychiatrist had written in my file—and had distributed it through a network of agencies–that 1) I had “borderline personality disorder” because when I was really sick with withdrawal symptoms I was terrified that my partner would leave me, which I thought was a reasonable fear under the circumstances, while I did not have “abandonment issues,” as a rule; and that 2) I was anti-authoritarian because I was angry about abuse I had taken from certain authority figures in my life, and because I did not take his word as gospel. I am otherwise very respectful of authority, which does not mean I have to agree with and acquiesce to what they say. What I am, exactly, is anti-power-abusive authority, as I’d imagine most people would be, in principle, at least.
As a result of these unfounded and completely projected and stigmatizing untruths, when I came to in the hospital following my suicide attempt, I was accused of being manipulative and was literally scolded by a team of “doctors.” Whereas the truth was that I wanted to die because I saw no reason to live like this, full on in the shadows and feeling it every step of the way. That was extremely distressing, dispiriting, torturous, and completely contrary to what I knew about myself. Having my truth so utterly dismissed repeatedly and systematically was, in fact, pure torture.
In the third and final installment of this series, I will talk about what happened when I went to vocational rehabilitation, was hired from client-to-staff, and how the psychiatrist’s note entries about me directly undermined my attempt to get back into the work force in order to transition from disability. I will also discuss what helped me to heal from the post-traumatic stress brought on by systemic abuse and oppression.
© 2019 Alex Goldenberg
Yes Alex it’s amazing how psychiatrists so easily invalidate the truth and re-define your reality. It certainly happened like that to me. And their flimsy, crude, biased and simplistic “opinion” is written in stone and indisputable. I read a comment recently that a diagnosis of personality disorder is “punishment”, “a victory for the abuser” and the best way to “silence” someone. That is why it is SO important that everyone gets their stories out there. Thanks!
Indeed, Rosalee, it’s a great way to totally undermine someone’s credibility, and on top of that, for me it was based on completely false information with no foundation whatsoever, and they know the effect these kinds of labels will have. Plus, I had to discover this by looking at my file, otherwise, I would never have known he’d labeled me with these things. I HIGHLY recommend to anyone seeing a psychiatrist or psychotherapist to retrieve their notes to see what is being thought, written, and said about them. It’s any client’s legal right, and it’s an eye-opener!
My final visit consisted of my confronting him about this, because I had requested my notes from him and saw what he had written, unbeknownst to me. I was angry and asked him why he would write such things as “anti-authoritarian” and then send this to my first EMPLOYER, which was voc rehab, which not only puts me in a ridiculously disadvantageous position, but more so, it is simply not true, not in the slightest. He had nothing to back this up with other than his own personal OPINION about me (which should not be translating into “diagnosis,” how ridiculous is that). This label totally stigmatized me and took away my voice, as I was successfully getting back into the work force by this time! He was their advocate, not mine, apparently. I was livid and all I can remember is a series of “you” statements from him after that, and I just got up and said, “I’m leaving, not coming back.” And guess what? He protested and said I was just going to take it all elsewhere and pretty much said to me that I “needed” him, as I slammed the door behind me. Last time I ever stepped foot into a psychiatrists office, that was that.
So I ask you, who has the abandonment issues in this case? Sure wasn’t me! It’s how I know these were all projections. He was obviously extremely insecure but masked it by condemning me with ridiculous and stigmatizing diagnoses–and not even telling me, just writing it down in secret and sharing it with my voc rehab bosses and dept of rehabilitation, with whom I was working because all I wanted was to get back to work and I walked my talk around this, jumping through all kinds of hoops in order to get back into the work force.
These had never, ever been an issue for me, and I’d been diagnosed for years for one thing or another, but never these, that was new, and out of the blue. I’d already done quite well in grad school and training, and needed to stop my internship so that I could get off the drugs which were causing me all kinds of problems by this point. I was in the middle of terrible withdrawal from 9 psych drugs, so obviously I was going to be impaired and unclear in my thinking, I thought he’d get that, knowing that I was coming off of 20 years of psych drugs. But strangely and not so surprisingly at this point, he did not factor that in, which is utterly crazy-making incompetence.
This has got to stop. It is treacherous, betraying, and has every potential to be lethal because it can screw up your life, and you’ll never know why. Yes, these stories must come out and they must fall on ears who can hear this, and who are willing to confront this head on along with us. I believe this field should be outlawed because these are crimes against humanity, but I know that will not happen. Truth speaking is all I know to do at this point.