Conversazione con un rivoluzionario – di Marco Damiani

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Laura Guerra

 

 

Pubblichiamo la presentazione del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud del libro di Mauro Damiani “Conversazione con un rivoluzionario” che narra la storia di un rapporto di amicizia fra una persona in carico ai servizi psichiatrici da anni e la sua psicologa. La quale è andata oltre al proprio ruolo, ha superato le barriere, ha rotto il setting e ha costruito una relazione vera, reale con una persona e non un paziente (la redazione di Mad in Italy).

 

Presentazione del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Abbiamo voluto partecipare a questo progetto editoriale perché riteniamo che il percorso fatto da Mauro, insieme a Giulia, sia un percorso di autoriflessione e di trasformazione della propria esistenza che per svilupparsi appieno ha anche bisogno di uscire dal silenzio, di farsi pubblico e sociale, per entrare in relazione con altre esperienze. Riteniamo da sempre importante dare voce agli ultimi, alle vittime delle istituzioni totali e alle loro storie per renderle nuovamente presenti al mondo, per renderle vive.

La narrazione e il racconto sono potenti strumenti di elaborazione del proprio vissuto, servono per crescere, per migliorarsi, per mettersi in discussione e per andare avanti nel viaggio della vita. Narrare la propria vicenda è una capacità umana, comune e universale.

Tutti abbiamo la capacità di tradurre il vissuto in linguaggio, di raccontare un’esperienza. La narrazione è un’azione che persegue più mete: conoscere e scambiare esperienze, comunicarle e stringere legami[1].

Questo è quello che fa Mauro: scrive, prende parola, narra la propria storia come gesto di emancipazione e di rinascita al mondo. La scrittura come strumento di guarigione, di indipendenza, di ritrovata fiducia in se stesso per ritrovare l’interesse per la propria vita. Ogni vita merita un romanzo, le pagine della vita di ognuno formano un intreccio unico e capirne l’importanza può essere una forma di terapia efficace[2].

Questo libro è, anche ma non solo, la storia di un rapporto di amicizia fra una persona in carico ai servizi psichiatrici da anni e la sua psicologa. La quale è andata oltre al proprio ruolo, ha superato le barriere, ha rotto il setting e ha costruito una relazione vera, reale con una persona e non un paziente.

Non siamo d’accordo in toto con quello che dice Mauro nel suo libro, però ci sembra importante dare valore e voce al suo racconto. Questa è la storia di un uomo che dai servizi psichiatrici, a nostro giudizio,  non sempre ha trovato ascolto e aiuto reale per i suoi bisogni, ma ha avuto la forza di reagire grazie all’amicizia e alla relazione con un’altra persona.

Nel suo scritto abbiamo trovato spunti di riflessione e meccanismi della psichiatria che da anni denunciamo. I colloqui troppo brevi dove ti tengono giusto il tempo per darti la terapia e non c’è la possibilità di essere ascoltati o di esprimere i dubbi e le difficoltà.

Chi è obbligato a frequentare i servizi psichiatrici e costretto ad assumere psicofarmaci è probabile che debba continuare a prenderli per il resto della vita, proprio come un “diabetico prende l’insulina”.

Inoltre la possibilità di ricevere uno piccolo stipendio induce le persone in carico ai centri d’igiene mentale ad accettare spesso lavori umilianti, sottopagati, ripetitivi e poco stimolanti.

L’unico interesse della psichiatria non sembra essere quello dichiarato della “cura”, ma la progressiva cronicizzazione del malessere: tutte le altre discipline mediche hanno come obiettivo la dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti prende in carico a vita.

L’inganno maggiore di questo sistema sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore; e nel pensare che, sì, in effetti è un sequestro di persona legalizzato.

La verità è che il Trattamento Sanitario Obbligatorio implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni, proprio come è successo a Mauro.

Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero.

Sono tante le persone, oltre a Mauro, che negli anni ci hanno raccontato di sentire le voci. Consideriamo gli uditori di voci persone che hanno un’esperienza e non malati mentali. Un evento che solo se è riconosciuto collettivamente sfugge all’etichetta psichiatrica per ritornare ad essere possibilità umana[3]. In altre culture tali episodi sono visti come ulteriori capacità che posseggono solo alcuni individui considerati portatori di conoscenze “altre”.

Siamo contro l’obbligo di cura e contro il TSO, ma non condanniamo a priori l’utilizzo di psicofarmaci, pensiamo che spetti all’individuo deciderne in libertà e consapevolezza l’assunzione.

Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti.

Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva.

Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio.

Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni: diagnosi, etichetta e cura farmacologica crediamo che rivendicare il diritto all’autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, delle sofferenze e della molteplicità di maniere per affrontarle.

Assistiamo oggi ad una sistematica diffusione della crisi sociale, economica e personale. Le cause vanno ricercate nella società in cui viviamo e nello stile di vita che ci viene imposto e non nei meccanismi biochimici della mente.

La logica psichiatrica sminuisce le nostre sofferenze, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org

www.artaudpisa.noblogs.org

355 7002669

[1] R.Curcio, M.Prette, N.Valentino, La socioanalisi narrativa, edizioni Sensibili alle Foglie, Roma, 2012 pag 123

[2] E.Polster, Ogni vita merita un romanzo, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1988

[3] G.Bucalo, Sentire le voci. Guida all’ascolto, Sicilia Punto L Edizioni, Ragusa, 1998

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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