Consenso informato in psichiatria: i numeri ingannevoli dei TSO italiani e la problematica dei trattamenti ‘depot’

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Cristina Paderi

Consenso informato in psichiatria: i numeri ingannevoli dei TSO italiani e la problematica dei trattamenti ‘depot’

Nel panorama della ‘salute mentale’, il tema del consenso informato è cruciale, soprattutto quando si parla di trattamenti sanitari obbligatori (TSO) e della pratica di somministrazione di farmaci antipsicotici in formulazione ‘depot’ che consiste in iniezioni mensili o trimestrali a lento rilascio. Innumerevoli testimonianze indicano che questi trattamenti sono spesso imposti sotto la minaccia di un nuovo TSO, sollevando gravi interrogativi etici e legali.

Nella prassi i trattamenti psichiatrici appaiono essere imposti, per così dire, con le “buone” o con le “cattive”: sino a quando la persona acconsente, non vi è ricorso alla coercizione; quando non consente più e tutti i tentativi per convincerla non vanno a buon fine, allora si ricorre alla coercizione sotto forma di trattamento sanitario coattivo, per vincere il dissenso del “paziente”.

In psichiatria si è soliti considerare il TSO anche come l’esito del fallimento di ogni tentativo di ottenere il consenso del “paziente”. Si tratta di una modalità di intendere il TSO in contrasto con la normativa che lo regola, la quale prevede dei requisiti che nulla hanno a che fare con la finalità di ottenere con la violenza un consenso da un soggetto che dissente.

Studi recenti evidenziano come il trattamento con antipsicotici ‘depot’ comporti più danni che benefici. La somministrazione prolungata di questi farmaci aumenta il rischio di “supersensibilità dopaminergica”, una condizione in cui si verifica un incremento dei recettori dopaminergici D2, rendendo i pazienti più vulnerabili a episodi di psicosi rebound e a un peggioramento dei sintomi. Secondo la ricerca condotta da Alice Servonnet, gli antipsicotici ‘depot’ causano una maggiore supersensibilità alla dopamina rispetto ai trattamenti intermittenti, risultando superflui per la gestione dei sintomi della schizofrenia dopo la fase acuta.

La legislazione italiana non prevede i Community Treatment Orders (CTO), ciononostante la somministrazione coatta di farmaci ‘depot’ è una pratica diffusa. Questo solleva questioni cruciali riguardo alla legittimità di imporre tali trattamenti nei centri di salute mentale. La Costituzione italiana, agli articoli 32 e 13, tutela la libertà personale e il diritto alla salute, limitando l’obbligo di cura ai soli casi previsti per legge e solo sotto specifiche condizioni. La mancanza di consenso informato nella somministrazione dei farmaci ‘depot’ appare quindi contraria ai principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.

I CTO sono misure legali che consentono ai professionisti della salute mentale di somministrare trattamenti a persone con disturbi mentali all’interno della comunità, anche senza il consenso esplicito del paziente. Questi ordini sono principalmente utilizzati per individui con una storia di non aderenza ai trattamenti e mirano a prevenire ricoveri ospedalieri e a gestire crisi gravi.

In pratica, un CTO può includere condizioni specifiche che il paziente è tenuto a seguire, come l’assunzione di farmaci, la partecipazione a sessioni di terapia e il rispetto di determinati programmi di supporto. I professionisti della salute mentale sono responsabili del monitoraggio dell’aderenza al CTO e possono intervenire se le condizioni non vengono rispettate, ricorrendo a misure più coercitive come il ricovero forzato se necessario.

I CTO sono previsti in diversi paesi. Ad esempio, nel Regno Unito, sono stati introdotti dal Mental Health Act del 2007, con l’obiettivo di fornire un trattamento efficace e supporto alle persone con malattie mentali all’interno della comunità. In Australia, stati come Victoria e New South Wales hanno legislazioni che consentono l’uso dei CTO. Anche in Canada, i CTO sono riconosciuti e utilizzati in province come l’Ontario e la British Columbia. In Nuova Zelanda, la legge sulla salute mentale del 1992 prevede ordini di trattamento simili. Negli Stati Uniti, alcuni stati, come California e Massachusetts, hanno leggi che permettono l’uso di ordini di trattamento comunitari, anche se le modalità possono variare.

Il consenso informato deve essere fornito senza minacce, coercizione, influenza indebita, inganno, frode, manipolazione o false rassicurazioni.

La maggior parte delle leggi in vigore sulla salute mentale limita ancora il diritto al consenso libero e informato delle persone con condizioni di salute mentale o disabilità psicosociali, favorendo decisioni prese per loro conto. Tuttavia, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) stabilisce, all’articolo 25(d), che l’assistenza sanitaria sia fornita esclusivamente sulla base di un consenso libero e informato e vieta trattamenti non volontari, considerandoli una violazione del diritto alla salute, della capacità giuridica (articolo 12) e della libertà dalla tortura e dai maltrattamenti (articoli 15, 16 e 17).

Un cambiamento normativo è quindi essenziale. La recente guida “Mental Health, Human Rights and Legislation: Guidance and Practice“, pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR), suggerisce riforme per eliminare la coercizione nei servizi di salute mentale e promuovere un approccio basato sui diritti.

Le raccomandazioni dell’OMS includono il diritto di accesso a informazioni chiare e dettagliate sui trattamenti disponibili, i loro rischi e benefici e le alternative non mediche. È fondamentale anche assicurare la possibilità di ritirare il consenso in qualsiasi momento, specie nelle fasi di crisi. Un simile approccio basato sui diritti punta a costruire sistemi di salute mentale che rispondano meglio alle esigenze degli utenti, garantendo che possano scegliere liberamente il proprio percorso terapeutico e usufruire di cure rispettose della loro volontà e integrità.

Riguardo ai dati sui TSO, emerge l’importanza di raccogliere in modo più completo e trasparente le informazioni sui Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) e Volontari (TSV) in Italia. Attualmente, le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), utilizzate dal Sistema Informativo della Salute Mentale (SISM) per registrare i dati, omettono alcune informazioni essenziali: non rilevano i TSV che diventano TSO durante la degenza, i TSO eseguiti in ambito extraospedaliero e gli Accertamenti Sanitari Obbligatori (ASO). Inoltre, sono inesistenti i numeri relativi ai TSV autorizzati da terzi (amministratori di sostegno, tutori) e ai ricoveri per “stato di necessità” (art. 54 del Codice Penale) che spesso si trasformano in TSO durante la degenza ospedaliera.

Se, come confermano sia il Ministero della Salute sia la Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP), i dati raccolti attraverso le SDO sono parziali e potenzialmente soggetti a errori, si rende urgente l’adozione di strumenti più accurati e inclusivi per monitorare i trattamenti. Cosa si teme? Forse che il numero effettivo dei TSO sia maggiore di quello attualmente comunicato? Questo ampliamento della raccolta dati permetterebbe di riflettere con maggiore precisione la realtà dei trattamenti, evitando che il numero complessivo dei TSO risulti sottostimato rispetto alla reale incidenza di queste procedure nella gestione della salute mentale.

Fonti

 

 

 

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Cristina Paderi è nata e vive in Sardegna. Nel 1990 consegue la qualifica di interprete e traduttrice, per le lingue inglese e francese, presso la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Firenze. Inizia a viaggiare da giovanissima. La passione per i viaggi la porta anche in Romania dove, nel 2005, entra in contatto con la drammatica realtà dei bambini di strada e di quelli abbandonati nelle istituzioni totali post-dittatura. Impara la lingua rumena da autodidatta e decide di organizzare in Sardegna alcune tappe dei tour dei "Ragazzi di Bucarest" coordinando l'ospitalità dei giovani rumeni durante i periodi estivi. Attivista con anni di esperienza nel sociale e nel volontariato, anche internazionale. Per anni ha fatto parte di collettivi e associazioni e dal 2013 è impegnata in tematiche collegate all'ambito psichiatrico, in particolare quello giuridico/legale. E’ autodidatta. Grazie al contributo di alcuni avvocati cagliaritani, nel 2017 organizza un seminario e insieme ad altri apre uno sportello gratuito di informazione e consulenza legale. Nello stesso anno entra in contatto con l'avvocato Michele Capano di Salerno in occasione della presentazione a Cagliari della Campagna, portata avanti dallo stesso, relativa alla ‘Proposta di riforma della normativa del trattamento sanitario obbligatorio in ambito psichiatrico’. Decide di approfondirne i contenuti e nel 2018 aderisce alla costituzione a Roma dell'associazione "Diritti alla follia" di cui è attualmente segretaria.