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La negazione dei diritti dell’utente psichiatrico ad opera di prassi consolidate: Il TSO “reale”
di Cristina Paderi
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) per “malattia mentale” è stato istituito dalla Legge 180/1978, attualmente è regolato dalla legge 833/1978 agli artt. 33-34-35.
Esso prevede che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere.
Ma ciò che accade corrisponde effettivamente a quanto previsto dalla legge?
Per rispondere a questa domanda ho voluto ascoltare i diretti interessati, i loro familiari, gli amici e conoscenti; i medici psichiatri; gli operatori sanitari e soprattutto gli avvocati che da anni si occupano della materia.
Ne è venuto fuori un quadro a dir poco inquietante. A partire dalla risposta di una infermiera, operante nel servizio pubblico, che in fase di esecuzione di un trattamento sanitario obbligatorio, alla seguente domanda:
“Se fosse suo figlio agirebbe nella stessa maniera?” ha risposto: “No, assolutamente, ma che posso fare se non obbedire a ciò che mi viene chiesto? In caso mi rifiutassi perderei il lavoro”.
Partiamo dalla definizione di “alterazioni psichiche”, dato che sono alla base di uno dei presupposti per procedere ad un TSO per “malattia mentale”.
Probabilmente, non esiste una definizione esatta.
Si tratta di un termine molto generico che si trova spesso nella formula “alterazioni psichiche tali da richiedere un urgente intervento terapeutico” senza null’altro specificare, è onnicomprensivo.
La definizione viene banalmente riportata su modulistiche prestampate. In realtà non esistono le alterazioni psichiche, esistono invece quelle cognitive, affettive, comportamentali, relazionali etc.
Vi sono stati diversi tentativi di definire il contenuto di questo presupposto, cercando di capire quali debbano essere queste “alterazioni psichiche”. Appare evidente come la vaghezza della formula utilizzata dal legislatore, lascia un’amplissima discrezionalità agli operatori.
Quindi, quali sono queste “alterazioni psichiche”? E’ molto opinabile, molto soggettiva questa cosa. ‘Stare su una panchina, ululare, non lavarsi e rifiutare le cure’ (mi riferisco al TSO effettuato ad Andrea Soldi a Torino) è un’alterazione psichica tale da necessitare degli urgenti interventi terapeutici? Sarebbe il caso di esplicitare ancora di più nella normativa quali sono queste “alterazioni psichiche”.
E quali sono gli “urgenti interventi terapeutici”? Molto spesso si dà luogo ad un TSO perché la persona non assume i farmaci come se nel sotto testo della legge ci fosse che gli “urgenti interventi terapeutici” siano esclusivamente il farmaco.
Una volta attivato il TSO è irreversibile, afferma un avvocato che da anni si occupa di assistenza legale in questo ambito e sottolinea che “una volta che parte, per quanto mi è dato sapere, una volta che c’è la proposta, non si ferma più”.
Il TSO spesso viene utilizzato per spegnere il dissenso. Una vicenda eclatante, che può essere presa ad esempio per illustrare ciò che può accadere nella prassi, è quella che qualche anno fa ha visto come protagonista un cittadino di Ravanusa, in provincia di Agrigento, il signor Dario Giuseppe Musso. Della vicenda si è parlato molto dato il clamore suscitato dal fratello, l’avvocato Lillo Massimiliano Musso. Se ne legga al seguente link https://palermo.repubblica.it/cronaca/2020/05/11/news/_la_pandemia_non_esiste_il_tso_di_ravanusa_finisce_alla_camera-256320075/
Spesso accade che il TSO venga “organizzato”. A tal proposito riporto un passaggio tratto dal libro “Libertà di cura e guarigione” del dott. Enrico Loria:
“Riguardo alle procedure del TSO, spesso si parte dalla fine anziché da principio, ovvero avvisando anticipatamente il comune che si sta effettuando un TSO, prima ancora di avere effettuato la visita, mentre nel contempo si fa compilare la convalida da un collega disponibile, per andare poi a fare la “visita domiciliare“ con tutto già deciso e formalizzato e pronto all’uso”.
Spesso accade che il TSO venga utilizzato per contrastare lo stile di vita o per motivi di ordine pubblico. Perfino per mascherare abusi da parte delle forze dell’ordine.
Ma quanto tempo viene impiegato per formulare una diagnosi prima di un TSO? Spesso due minuti o meno. Si arriva al punto di effettuare una diagnosi al telefono. Nel certificato di proposta di TSO il medico spesso dichiara che la persona è affetta da “scompenso psichico con agitazione psicomotoria”, non vi è un’indicazione precisa di una diagnosi.
Ma come si è arrivati a questa diagnosi che rappresenta uno dei presupposti di legge per avanzare richiesta di TSO?
“La mia dottoressa non mi aveva visitato”, racconta Dario Musso, il giovane di Ravanusa fermato a bordo della sua macchina dai carabinieri mentre girava per le strade del suo paese.
Il ricovero, riferisce l’avvocato Lillo Massimiliano Musso, recante data 02 maggio 2020, presso il reparto di psichiatria dell’ospedale di Canicattì in seguito a trattamento sanitario obbligatorio, sarebbe avvenuto senza alcuna visita da parte dei medici che lo hanno proposto e convalidato.
“Mi raccomando Dario, ci hanno contattato i carabinieri, la devi smettere di andare in giro dicendo che non c’è nessuna pandemia. Se non la smetti e non ti curi dobbiamo prendere precauzioni”, avrebbero dichiarato i medici.
Accade anche che l’esecuzione del TSO diventi una vera e propria “cattura”.
Poiché le ordinanze di trattamento e accertamento sanitario obbligatorio costituiscono un atto sanitario, oltre che amministrativo, la loro esecuzione richiede la presenza contestuale ed attiva di medici e infermieri, nonché del personale della Polizia Municipale. Quest’ultimo, non solo vigila sulla corretta esecuzione dell’ordinanza, ma deve intervenire qualora l’azione del personale medico si dimostri inefficace e si renda necessario l’uso della coazione fisica per vincere l’eventuale resistenza opposta dalla persona.
Chi non ricorda la “cattura” di Andrea Soldi in Piazza Umbria a Torino?
E che dire della “cattura” di Giuseppe Casu in Piazza IV Novembre a Quartu S. Elena ?
La figlia, Natascia Casu, scrive nel suo blog: “E pensare che mio padre voleva solo stare in piazza a fare l’ambulante e invece gli è stato “confezionato” un TSO per tempo, con tanto di giornalista e fotografo, per motivi di ordine pubblico…” “È proprio lì, il 15 giugno 2006, nella piazza 4 novembre di Quartu Sant’Elena, che ha iniziato a morire, ad essere privato della dignità di uomo, venendo caricato a forza su un’ambulanza di fronte a tanta gente, senza il minimo rispetto dei suoi diritti. E ha continuato a morire lentamente, privo di ogni libertà fisica, rimanendo costantemente legato mani e piedi a quel letto dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari per ben 7 lunghi giorni, imbottito di farmaci. E così, sempre completamente immobilizzato e sedato, ha finito di vivere e di soffrire.”
La “cattura” di Francesco Mastrogiovanni, presso il Camping Mezzatorre di S. Mauro Cilento, è una delle più tristemente note.
“Non mi prenderete mai”, affermò il professor Francesco Mastrogiovanni prima di entrare in acqua, nel disperato tentativo di sfuggire alle forze dell’ordine che cercavano di raggiungerlo quel mattino del 31 luglio 2009.
Quanta vergogna e umiliazione può aver provato in quei momenti? Il tutto avveniva in quel campeggio, in cui aveva già trascorso parte delle sue vacanze estive, lì lo conoscevano tutti.
Così come ha scritto Natascia Casu per suo padre Giuseppe: ”È proprio lì…… che ha iniziato a morire”.
Cristina Paderi