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Questo è uno degli articoli della serie che verrà pubblicata da Maria (nome di fantasia). Nei suoi articoli, Maria, ci racconterà le sue storie, del disagio psichico e di quello dei familiari che trova le radici nel trauma intergenerazionale della famiglia.
Nella narrazione, mostra in maniera eloquente, come il suo disagio interiore sia attribuibile a dinamiche ed eventi familiari e non a squilibri biochimici.
Inoltre Maria ha una esperienza sia personale che professionale col disagio emotivo, in quanto ha lavorato presso vari servizi del dipartimento di salute mentale.
Questo “dualismo” rende la narrazione ancora più significativa, poiché ci rivela le deficienze di un sistema di cura basato su un modello organicista del disagio emotivo, che come sappiamo non è stato mai dimostrato. Un breve articolo, ma perspicace, che ci indica la strada giusta per affrontare il disagio emotivo: quella esistenziale della psicoterapia e del supporto umano.
Qui il primo articolo di Maria “Foreste mentali. Dov’è il sentiero? – Storia di Maria”
e qui il secondo articolo “La veranda dei cactus. Le spine della mia famiglia”
La psichiatria che nega l’ascolto
Spesso la psichiatria scambia un disagio mentale per riduzione di capacità intellettive.
Mai errore è più grande.
Se prendi per il culo o non consideri minimamente il pensiero di una persona in sofferenza inneschi una bomba ad orologeria.
Marco era un ragazzo di circa 30 anni che si opponeva alla terapia perché azzerava completamente la sua erezione e la sua sessualità.
Chiese udienza telefonicamente al suo psichiatra di riferimento dicendo che voleva sospendere i farmaci. Si presentò al CSM (centro di salute mentale, ndr) con il suo scooter ed il casco in mano.
Lo psichiatra non si fece trovare. Non aveva e né voleva dare risposte alle istanze di Marco.
Tu sei matto, mi dispiace niente sesso, era la morale implicita. Nel giro di pochi minuti, quando si è visto inascoltato e preso in giro, si è scatenata la furia della rabbia.
Un colloquio alla pari tra uomini come doveva essere si stava trasformando in tragedia. Marco cominciò a colpire con il casco tutto quello che trovava, vetri porte mobili.
Naturalmente il personale si era rifugiato in protezione attivando il TSO (trattamento sanitario obbligatorio, ndr).
Il primo a salire fu però l’eroico vigilante che dopo aver ricevuto ben due volte il casco in testa pensò bene di tirare fuori la pistola, invece di ripararsi.
Un non ascolto può causare danni terribili.
I vigili non arrivano mai, la polizia tardava. Da una semplice richiesta di aiuto rifiutata ci stava per scappare il morto.
Con coraggio provammo ad intercettare lo sguardo di Marco, che nel frattempo era diventato un “arma scatenata”.
“Parla con noi. Noi vogliamo ascoltare quello che hai da dire. Metti giù il casco e dicci cosa succede. Tu hai sicuramente ragione e noi siamo qui…”.
Il Toro scatenato si è trasformato di colpo in un bimbo pieno di lacrime. Il suo dolore era immenso ed era stato ignorato.
Non servì più nemmeno il ricovero. Servivano braccia che accogliessero, orecchie che ascoltassero, occhi che guardassero e certamente non psichiatri latitanti che dicessero:
“Perché è così così così e basta e tu utente devi sottostare silenzioso ubbidiente e magari pure grato!!!”.