Riflessioni sulle origini della sofferenza psichica – II conferenza della dr.ssa Miriam Gandolfi Martinelli

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Miriam Gandolfi

Riflessioni sulle origini della sofferenza psichica – II conferenza della dr.ssa Miriam Gandolfi Martinelli

di Venerdì 8 aprile alle ore 17.00

Lo scopo di queste video conferenze è quello di fare chiarezza soprattutto per le persone che si trovano a dover scegliere o fruire di interventi di aiuto e di dare un tempo necessario per rispondere alle vostre domande, perciò come annunciato nella serata precedente riprendiamo le domande che sono rimaste aperte.

Questo anche con lo scopo di cominciare a capire qual è la proposta operativa del metodo sistemico complesso di cui Miriam Gandolfi è un’esponente (NDR).

La dr.ssa Miriam Gandolfi nel corso della presentazione spiega in cosa consista l’approccio psicologico e psicoterapeutico Sistemico. L’aspetto innovativo di questo approccio, sviluppatosi alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, consiste nel considerare la mente (cioè ciò che guida il comportamento) e un eventuale disturbo psichico (cioè un comportamento “inatteso”) non come un’entità che riguarda l’individuo.

Dal momento che il comportamento è considerato sempre una comunicazione che consente di costruire e mantenere relazioni con il mondo (le persone significative in un dato contesto) il disturbo del comportamento è visto come una patologia degli scambi comunicativi. La psicopatologia, come la mente, non sono dentro al soggetto ma si genera tra soggetti.

Grazie allo studio della pragmatica della comunicazione umana (Scuola di Palo Alto) e successivamente dei sistemi di comunicazione degli altri esseri viventi e dei sistemi comunicativi artificiali si è compreso che quando un messaggio è ambiguo, indecidibile, senza chiarezza tra aspetti di contenuto (verbali) e di relazione (non verbali) si generano circuiti relazionali altamente patologici. Un esempio estremo ma chiaro, nel mostrare il paradosso è: “ti amo così tanto che è meglio se ci lasciamo!”, o addirittura “ti uccido”.

Ciò che genera la psicopatologia è l’impossibilità di decodificare in modo chiaro gli scambi comunicativi e conversazionali tra le persone all’interno di un sistema considerato.

Gregory Bateson, antropologo e studioso di comunicazione inizialmente nelle popolazioni preletterate, poi nei mammiferi ed in fine in contesti con pazienti psichiatrici, è l’esponente più innovativo del folto movimento sistemico, che nasce applicando la teoria generale dei sistemi, formulata in biologia per lo studio dei sistemi viventi (von Bertalnffy).

La teoria dei sistemi rappresenta una svolta cruciale perché afferma che i sistemi viventi non possono essere studiati con le stesse leggi che regolano lo studio dei sistemi inanimati (vecchio paradigma della fisica classica, su cui si fondano storicamente sia la psicoanalisi, sia il comportamentismo, ma soprattutto l’approccio biologista).

Quindi il concetto di personalità intesa come struttura individuale più o meno innata si modifica nel concetto di processo in continuo cambiamento; soggetto e contesto sono sempre reciprocamente modificantesi; cambia perciò il concetto stesso di trauma e il suo peso. Il fulcro di questo approccio è assegnato al comprendere quale significato ha il comportamento messo in atto. Questo vale per ogni comportamento, quindi anche per i sintomi, anche per un comportamento definito psicotico, schizofrenico, o allucinatorio.

Ciò non significa accogliere o giustificare ogni comportamento così com’è, ma che prima di agire o controllarlo, anche con farmaci, vada “tradotto” nel suo significato sistemico e solo una volta compreso potrà essere modificato.

Se non si capisce il suo significato non potrà mai essere soppresso perché o si aggraverà o riemergerà in altra forma.

La “patologia” psichica è una comunicazione e chi la manifesta è colui che esprime un problema più ampio ma non chiaramente nominabile del suo sistema di appartenenza. 

La scuola sistemica di ispirazione batesoniana (in Italia Mara Palazzoli Selvini) ha individuato questi processi anche alla base della schizofrenia e di tutte le psicopatologie più gravi.

La dr.ssa Gandolfi nel comparare la terapia Sistemica con altri modelli psicoterapeutici sottolinea che, mentre per gli approcci tradizionali, benché diversi tra loro, la psicopatologia è un “difetto” del singolo individuo che nasce nella sua storia individuale, per l’approccio sistemico è il frutto di una disfunzione del sistema originario di appartenenza, quindi diventano rilevanti le storie famigliari allargate almeno fino alla terza generazione (nonni, zii, cugini, altre figure specifiche rilevanti, ecc…).

La differenza più significativa riguarda l’approccio Cognitivo-Comportamentale, che privilegia una causa biologica e genetica come causa dell’espressività sintomatica fondata su limitate capacità cognitive o errori di tipo razionale. Infatti la patologia è considerata un errore, in quanto comportamento “insensato”. La storia del paziente è poco rilevante e si concentra soprattutto sulla ricerca di un trauma specifico che si riattiva nel qui ed ora (presente) del paziente.

La sistemica modifica anche l’idea che esista una linea netta che separa salute mentale e malattia mentale. Dal momento che nessun essere vivente, tra cui anche l’uomo, può vivere isolatamente privo di relazioni, la sofferenza nasce quando entrano in conflitto insuperabile due istanze, poli, fondamentali:

“Chi sono io per me (autopercezione/autodeterminazione) e “chi sono io per gli altri (come devo essere per gli altri per poter appartenere)”.

Questo processo dialettico vale per tutti gli esseri umani, anche per coloro che soffrono di patologie organiche conclamate: è il poter sentirsi appartenenti anche se diversi che garantisce la salute mentale.

La lunga esperienza professionale di Gandolfi con persone portatrici di disabilità organiche documentate (paralisi cerebrali infantili, deficit sensoriali, sindrome di Down, ecc.) le ha permesso di verificare quanto questo modo di concepire la mente e i disturbi del comportamento sia utile al cambiamento e garantisca dignità ad ogni persona che ne soffre.

La dr.ssa Gandolfi, sollecitata da domande e portando degli esempi, illustra come le diverse organizzazioni sintomatiche (disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi alimentari restrittivi, allucinazioni uditive o visive o altri quadri specifici di altri contesti culturali come amock, e altri) non sono sintomi di qualcosa che non funziona nel cervello del singolo o una malattia della struttura di personalità, ma esprimono un modo specifico e saliente di funzionare sia del micro sistema (famiglia nucleare e allargata) che del macro sistema (culturale e storico). I diversi quadri psicopatologici mostrano le diverse organizzazioni “semantiche” (come si legge e si dà senso al mondo”) delle diverse famiglie.

Per queste ragioni non è possibile aiutare il singolo soggetto, senza analizzare e comprendere la storia delle sue relazioni. La persona aiuta il terapeuta e così sé stesso a riconoscere la rete delle dinamiche familiari.

Discriminante è il fatto che è il paziente o la famiglia ad essere esperto nel portare il materiale, il terapeuta è colui che lo ricompone e lo risignifica, ma senza l’aiuto del sistema paziente è cieco.

Per questi motivi colui che porta il disagio è stato definito “il paziente designato”, non nel senso di vittima o di capro espiatorio ma di colui che è designato a parlare a nome dell’intero sistema sofferente.

Come tutte le teorie, anche quella sistemica si è evoluta seguendo gli sviluppi più recenti della teoria della complessità, perciò anziché di paziente designato si parla di “qualità emergente”.

Ciò che caratterizza uno specifico sintomo rappresenta ciò che è disfunzionale nel sistema. “L’uditore di voci” rappresenta addirittura in modo esplicito, non coperto da un comportamento bizzarro, colui che sente e parla “a nome del sistema”.

L’approccio sistemico-complesso o connessionista, come oggi Gandolfi preferisce definirlo, si differenzia storicamente soprattutto da quello organicista, che attribuendo solo una causa organica specifica (disequilibrio metabolico o danno genetico) non è in grado di cogliere la complessità dei processi che caratterizzano i sistemi viventi. Del reso questa critica è presente nelle diverse branche della medicina.

È acceso il dibattito sul tentativo di riportare tutto alla individuazione di singoli o pochi geni, alla base del funzionamento del corpo, nella speranza che riprogrammando il genoma si possa controllare tutto ciò che è indesiderato.

Ciò pone anche enormi questioni etiche, che per altro hanno sempre riguardato la responsabilità di chi opera nell’ambito della salute mentale.

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Si laurea in Psicologia nel luglio 1976 presso l'Università di Padova e da subito di occupa di temi di integrazione e contrasto alle istituzioni segreganti, ambito che resterà sempre di suo maggior interesse. Infatti nel settembre 1976 accetta di lavorare per il neocostituito Centro Spastici di Bolzano che dopo alcuni anni diventerà il Servizio Provinciale Specialistico per la Riabilitazione dei Neurolesi e Motulesi, occupandosi del superamento delle scuole speciali e degli istituti per adulti incluse le strutture manicomiali. Completa la sua formazione presso il reparto di psicosomatica della Clinica Pediatra dell'Universita di Innsbruck ( 1977) dove si avvicina all'approccio sistemico alla malattia mentale, noto poi come Milan Approch. Proseguirà e concluderà la sua formazione in questo indirizzo a Milano, nel periodo 1980- 1985 divenendo, nel momento della sua fondazione, membro e didatta della Società Italiana di Ricerca e Terapia Sistemica (S.I.R.T.S.). Dal 1999 al 2018 è docente presso l' Istituto Europeo di Terapia Sistemo-relazionale di Milano.( EIST riconosciuta MIUR nel 2001). Lascia il Servizio pubblico nel 1992 mantenendo attività di formazione e supervisione per vari servizi socio-sanitari pubblici e docenze a contratto universitarie. Dal 2020 è docente a contratto presso l'Universita di Bergamo per il corso di Alta Formazione sui Disturbi Specifici dell'Apprendimento. Dal 1992 è co-titolare del Centro di Psicologia della Comunicazione e dell'Officina del Pensiero ( Bolzano e Trento) dove svolge e coordina attività di ricerca in particolare nell'ambito di autismo, DSA e ADHD , temi su cui ha prodotto pubblicazioni. Si è sempre impegnata anche per valorizzare la categoria professionale degli Psicologi assumendo la carica di Segretario provinciale del sindacato degli psicologi prima della costituzione dell'Ordine Professionale (1989) è poi quella di primo presidente dell'Odine Provinciale Provincia Autonoma di Bolzano. Dr. Miriam Gandolfi Psicologa psicoterapeuta Bolzano/Trento www.officinadelpensiero.eu 0471/261719

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