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ADHD come intervenire. Come si fa una cosa cambia la cosa che si fa
Seconda conferenza della dr.ssa Miriam Gandolfi sul tema ADHD
In questo secondo incontro sul tema dell’ADHD abbiamo deciso di mettere il focus sul che fare, dopo aver esplorato nel primo incontro del 16 novembre come è nato e si è sviluppato il costrutto di Disturbo di deficit dell’attenzione, inteso come quadro psicopatologico afferente all’area psichiatrica di impostazione organicista; concepito dunque come risposta a un danno su base neurobiologica geneticamente determinata (Statement della SINPIA sul disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, adc.bmj.com mar.2007).
Sottolineo il termine costrutto, perché abbiamo visto come dalla letteratura che si avvale seriamente del metodo scientifico si tratta di una delle ipotesi non confermata con cui si cerca di spiegare alcuni agiti del bambino e recentemente anche degli adulti. (Teresa Miller, W. Cornell Medical College Boston, 2008,). Essa si fonda sul giudizio che un osservatore esprime decidendo di definire tali agiti come disattenzione o iperattività. Questa operazione “definitoria” si basa su linee guida generali etero-fissate in modo decontestualizzato, cioè considerando il comportamento come innato, automatico e privo di significato relazionale/contestuale (Edoardo Boncinelli, Schizofrenia e sinapsi, Le Scienze, mag. 2016). Invito a cercare in internet e compilare i test di autodiagnosi, (metodo consigliato anche dal ministero della salute) e scoprirete che ne sarete affetti o a rischio di esserne anche voi.
Studiare la storia della scienza in generale, della medicina e della psicologia in particolare ci serve per ricordare alcuni aspetti fondamentali: una scoperta/progresso specifico utile e importante in alcuni ambiti specifici non è sempre applicabile ad ogni fenomeno o ambito. Ogni epoca ha prodotto passi avanti nella conoscenza strettamente influenzati dal clima culturale del momento e necessita di tempo per poter verificare e comprendere compiutamente la loro portata. Poiché la scienza è un prodotto umano, soffre dei difetti degli umani ed è soggetta ad errori. Dunque quando si vuole affrontare un problema per comprenderlo si deve sempre considerare:
1- il macrosistema culturale e sociale che ha prodotto una spiegazione/lettura del mondo
2- il micro sistema umano (casi concreti) a cui la spiegazione è stata applicata.
3- sottoporre la teoria alla convalida nel medio e lungo periodo
Naturalmente il criterio fondamentale di verifica della correttezza di una teoria, di un costrutto e di una procedura di intervento resta sempre la verifica dei risultati (resistere al processo di falsificazione). Per quanto riguarda il punto 1 vi sottopongo un caso eclatante della storia della scienza:
<<Marie Curie vince il premio Nobel per la fisica (1903) e quello per la chimica (1911), quando, in Europa, per una donna frequentare l’università di materie scientifiche era di fatto vietato. Marie Curie si ammalò e mori nel 1934, a causa dell’esposizione non protetta ai raggi X, dei quali lei stessa non volle mai ammettere la tossicità, perché non (ancora) dimostrata. Grazie alla scoperta sua, del marito Pierre Curie e del collega Antoine Henri Becquerel, i raggi X divennero negli Stati Uniti un passatempo nelle feste dell’alta società, dove ci si radiografava a vicenda le ossa. Tra la metà degli anni Venti e Cinquanta nei negozi di scarpe c’erano più di 10.000 podoscopi, che permettevano di osservarsi le ossa dei piedi. La vendita e l’utilizzo di tali apparecchi faceva leva sulle paure dei clienti di scegliere scarpe non adatte, soprattutto per i bambini. Durante la depressione degli anni ’30 si argomentava che, se adatte, le scarpe duravano di più, quindi acquistare scarpe nei negozi che disponevano di questo marchingegno faceva risparmiare. Gli apparecchi venivano messi in posizioni ben visibili nel reparto signora e bambini. Dopo Hiroshima ci si rese conto dei gravi danni provocati dalle radiazioni. Le prime rilevazioni delle quantità di radiazioni emesse dai podoscopi, pubblicate nel 1950, documentarono un livello di concentrazione ad alto rischio di danni fisiologici difficili da determinare soprattutto nei bambini. Ciononostante, passarono altri vent’anni prima che tutti gli apparecchi scomparissero dai negozi (Spitzer 2013).
La storia della scienza in generale e della medicina in particolare porta molti di questi esempi… Applicato al campo della salute questo significa lealtà al principio di cautela e di farmacovigilanza e soprattutto di attenzione alla subordinazione degli aspetti economici, sempre presenti nell’attività umana e necessari per sostenere le attività di ricerca, al bene comune proiettato nel lungo termine…. Certo resistere alla seduzione e all’entusiasmo che ogni scoperta porta con sé, specie se epocale, è difficile, ciò non di meno necessario>>. (M. Gandolfi, A. Negri, 2023, pp.225-226)
Tornando al tema dell’ADHD, sostituiamo l’entusiasmo per le scoperte di inizio ‘900, con l‘entusiasmo suscitato dallo sviluppo delle neuroscienze e del neuroimaging che proprio a partire dall’inizio degli anni ’90 hanno promesso di svelare molti segreti del cervello e di conseguenza dei comportamenti umani. Abbiamo visto che la prima definizione di ADHD, come la consideriamo ancora oggi, è del 1991. Cito di seguito alcuni passaggi di un recente articolo di Riccardo Manzotti, docente di filosofia teoretica nonché ingegnere, cioè avvezzo ad applicare i principi del metodo scientifico ai dati reali.
<<si continua a cercare qualcosa che sia l’equivalente fisico della nostra coscienza. È stato trovato? No… A tutt’oggi non esiste una teoria che spieghi in modo comprensibile come e perché l’attività chimica ed elettrica di un sistema nervoso debba o possa diventare qualcosa di totalmente diverso come sensazioni, percezioni, emozioni e pensieri … (di conseguenza comportamenti N.d.R.) … dal 1994, anno fatidico nel quale un nutrito gruppetto di scienziati celebri (da Gerard Edelmann a Francis Crick, da Roger Penrose a Daniel Dennett) diede risalto alla coscienza in quanto problema scientifico. Da allora siamo andati avanti? No… è… palese come le neuroscienze si trovino in uno stallo mascherato da ricerca scientifica per sostenere una politica della ricerca fine a se stessa. Alcuni dei più autorevoli neuroscienziati al mondo – Lucia Melloni, Liad Mudrik, Michael Pitts e Christof Koch – ammettono che, nonostante i presunti progressi empirici, “le ipotesi avanzate dalle diverse teorie fanno affermazioni e previsioni divergenti che non possono essere tutte contemporaneamente vere”. In breve, a detta dei critici, le neuroscienze non hanno alcuna idea di quello che stanno facendo, ma emettono… tanti “spiegherò” garantiti dall’autorità della disciplina nel suo complesso. È come un grande istituto di credito che si è distinto in un certo settore e che per questo convince i suoi investitori a dargli fiducia in un altro campo. Se la felicità non fosse niente altro che un’elevata concentrazione di serotonina, potremmo prenderla sul serio? Il fine dell’esistenza umana potrebbe essere la proliferazione di sistemi nervosi traboccanti serotonina? Pare discutibile. I processi neurali sono indubbiamente il mezzo per la nostra esistenza, ma non possono esserne il fine>>. (Manzotti Riccardo, 2024)
Ancora più specifico per l’ADHD è un articolo recentissimo di Yaakov Ophir pubblicato su una rivista specialistica che senza ambiguità afferma che:
<<Il DSM-5-TR riconosce che “nessun marcatore biologico è diagnostico per l’ADHD” e che “le meta-analisi di tutti gli studi di neuroimaging non mostrano differenze tra individui con ADHD e soggetti di controllo”>>
Dunque se si decide di riporre totale fiducia nelle spiegazioni ipotizzate dalle neuroscienze e di conseguenza negli interventi che prevedono di manipolare/correggere l’equilibrio biochimico è bene sapere che questo è lo stato dell’opera per ammissione degli stessi neuroscienziati ed ora anche del DSM-5.
Se si cambia teoria di riferimento si può fare altro?
Siamo giunti così al punto 2: i casi clinici concreti che ci confrontano con la realtà, offrendo la verifica sia della correttezza della teoria/spiegazione applicata, sia dell’utilità degli interventi. Nel corso del Webinar del 30/11 ho narrato il caso di una bimba di meno di 5 anni inviata insistentemente dalle inseganti di scuola materna perché convinte che i comportamenti che essa mostrava fossero il segno inequivocabile di un ADHD. Apprezzabile la loro attenzione alla prevenzione, a cui i corsi di aggiornamento le avevano istruite. Chi fosse interessato a questo caso può approfittare del video. Di seguito invece citerò un altro caso, attingendo ancora tra quelli da me trattati e presentato nel libro sopracitato. Si tratta di un caso emblematico perché offre una lettura convincente di quel fenomeno definito di “comorbilità” tra DSA (disturbi Specifici dell’Apprendimento) e ADHD. Comorbilità stimata al 90%. Dalla ricerca da me coordinata e documentata nel testo citato emerge con chiarezza che non si tratta di associazione di due patologie autonome e scollegate tra loro. Il fatto che il 90% dei soggetti che mostrano disturbi dell’apprendimento riceva anche una diagnosi di ADHD ci dice che proprio il medesimo errore insito anche nella lettura neurobiologica dei DSA impedisce di cogliere che il disturbo di disattenzione e iperattività è la conseguenza di uno scorretto approccio all’avvio delle attività di scritto-lettura, già a partire dalla scuola materna. Se è vero, come è vero, che non tutti i soggetti che mostrano comportamenti definiti di iperattività e disattenzione presentano disturbi dell’apprendimento (10%), è vero che attraverso una lettura che guardi al comportamento, prioritariamente alla sua componente comunicativa e di strutturazione del sé attraverso le relazioni, consente di comprendere ed affrontare anche la restante casistica.
Storia di Giovanni
<<Giovanni, Cavaliere senza paura. Notizie generali: una coppia si rivolge alla psicologa perché il loro figlio, di 14 anni, iscritto in prima superiore, con una certificazione di soggetto affetto da DSA (diagnosi fatta in seconda classe primaria, segnalato ai sensi della Legge 170) e ADHD (diagnosi emessa al termine della terza classe primaria), rischia l’espulsione da scuola, nonostante le indicazioni fornite dal Servizio di Neuropsichiatria Infantile. Sono state previste a suo tempo misure compensative e dispensative e la presenza di un insegnate di sostegno per otto ore settimanali. Con l’inizio della scuola media viene prescritto Ritalin, alla cui somministrazione tuttora deve provvedere personalmente la madre, quando l’orario di assunzione è coincidente con quello curriculare. Dall’anamnesi emerge che la diagnosi di DSA è stata formulata correttamente, sul piano descrittivo: soggetto con intelligenza superiore alla norma, presenza di un disturbo della letto-scrittura, non discalculia.
L’anno successivo il bambino riceve anche la diagnosi di ADHD, per questo motivo la scuola può disporre anche delle ore di sostegno, che vengono utilizzate per seguire individualmente lo scolaro fuori dalla classe nei momenti di iperattività troppo intensa e incontrollabile. Date le ottime competenze scolastiche dell’alunno, l’insegnante di sostegno può incentivare attività motorie in palestra, molto gradite al ragazzo e con buoni effetti di scarico energetico. Sarà congedato dalla scuola media con Distinto. L’Istituto Superiore, in cui il ragazzo è ora iscritto, non può mettere in atto le stesse misure individualizzate, attuate fino alla conclusione della scuola media inferiore per contenere i suoi eccessi di eccitazione. Ciò rende difficile il controllo della disciplina in classe. Si sono date delle rivolte tra gli studenti e tra i genitori, che lo considerano una fonte di disturbo, tanto più che il ragazzo riporta voti migliori della maggior parte dei compagni di classe. Giovanni è descritto come un dottor Jekyll e mister Hyde: brillante e simpatico, anche disposto ad elargire ai compagni le sue competenze scolastiche, può rapidamente diventare intrattabile, fino alla violenza fisica, se di luna storta. Dal momento che si pongono significativi problemi di gestione della disciplina, la scuola chiede alla Neuropsichiatra Infantile come affrontare il tema delle note e delle sospensioni, non essendo più sostenibile il metodo suggerito di «non concedere spazio e non reagire ai suoi tentativi di attirare l’attenzione».
Per evitare un vissuto di discriminazione tra i compagni di classe, che avrebbe peggiorato i già precari rapporti sociali di Giovanni, la neuropsichiatra infantile suggerisce a questo punto di ricorrere alle note anche per Giovanni, mantenendo gli stessi criteri utilizzati con tutti gli studenti per definire le infrazioni: alzarsi e uscire senza permesso, rispondere in modo volgare ai docenti, non eseguire ripetutamente i compiti assegnati, attuare atti di violenza fisica verso i compagni, tuttavia con una variante per Giovanni. Lo statuto disciplinare della scuola prevede, salvo casi eccezionali, che dopo tre note scatti la sospensione. Si suggerisce al Docente Referente per l’integrazione di informare e concordare con la classe che Giovanni riceverà note per gli stessi comportamenti per cui vengono comminate a tutti gli altri studenti, ma siccome Jekyll/Hyde soffre di un disturbo del neurosviluppo, a cui sono da imputare iperattività e mancanza di controllo, si è deciso di concedergli un tetto di nove note. Il magico tre volte tre? La classe considera questa una buona mediazione e accetta il compromesso. Giovanni però ha iniziato ad accumulare le note con una velocità da vero iperattivo, costringendo il Dirigente a sospensioni così frequenti da assottigliare pericolosamente il numero di giorni di frequenza scolastica. Il ragazzo rischia di perdere l’anno causa assenze. Dirigente e Docente Referente per l’integrazione propongono a questo punto o un ricovero in reparto di neuropsichiatria infantile o un cambio di scuola, pur dispiaciuti, perché si tratta di uno studente difficile, ma molto dotato.
A questo punto i genitori si rivolgono al nostro Centro. Si omette qui di elencare tutte le vicende di questa famiglia, che possono abbondantemente e plausibilmente spiegare come una diagnosi di DSA, corretta sul piano del rilevamento degli elementi funzionali su base testistica, abbia esitato in un quadro così complesso e disturbante da meritare una diagnosi di ADHD e trattamento psicofarmacologico protratto, ma senza esiti. Segnaliamo solo che quando il ragazzo inizia la scuola primaria nasce la sorellina, che dopo alcuni mesi dovrà essere ricoverata per lunghi periodi di degenza anche in strutture specializzate, lontane dalla residenza della famiglia. In quelle occasioni il nostro bimbo J/H sarà accolto dalla zia materna, senza figli, lieta di aiutare e profondamente innamorata del suo nipotino. La zia resterà sempre una valvola di sfogo, nei momenti particolarmente agitati di Giovanni, sia per lui che per i genitori e la nuova arrivata, anche una volta che la sorellina avrà recuperato la salute; cosa che avviene solo dopo alcuni anni. Spesso la pace familiare è ristabilita grazie al fatto che Giovanni può soggiornare alcuni giorni dalla zia.
Contesto: seduta familiare.
Psy: psicologa
J/H: Giovanni-Jekyll/Hyde
Psy: “Non pensi che potresti trovare un altro modo per andarti a fare un giro fuori classe quando ti annoi o qualcuno ti fa arrabbiare?”
J/H: “Ci ho pensato, ma i miei compagni si sono lamentati, in fondo hanno ragione”.
Psy:” Quindi non hai altro modo se non farti buttare fuori, però così diventi davvero antipatico!”
J/H: Beh, meglio antipatico al professore che ai miei compagni, è ingiusto che io riceva una nota solo dopo 9 volte che disturbo, poi loro dicono che sono protetto, quindi devo sbrigarmi a prendere le note, è un fatto di giustizia”.
Psy:” Insomma, alla fine è importante che le cose siano giuste, ma devono andare come dici tu!” (il padre svolge un lavoro la cui cifra è la difesa dei diritti e la protezione dei più fragili, e la madre svolge una professione di cura).
J/H: “Guarda che l’ho capito che tu non ci credi che ho l’ADHD. Perciò l’ho chiesto al mio compagno di banco. Se non mi credi è disposto a venire qui. Gli ho detto: «Sai che quella scema (testuale) di psicologa, dove vado con i miei, non crede che sono malato di ADHD? Secondo te ce l’ho o no?»”.
Compagno: “Certo che ce l’hai, altrimenti perché mi butteresti sempre per terra le cose dal banco e mi tireresti calci quando sei nervoso?” >> (M. Gandolfi, A. Negri, op. cit., pp.302-305).
Come ci dimostra il nostro Giovanni, ma con lui tutti i bambini e adulti con sofferenza psichica, il comportamento guardato solo come un esito lineare dell’attività neurologica o di uno squilibrio chimico del cervello è destinato a restare un mistero di fatto non trattabile, al massimo solo controllabile. Guardato invece come portatore di un significato pertinente con il contesto (storia della famiglia, scuola, lavoro, contesto sociale, ecc.) e con le relazioni affettive più importanti diventa leggibile e sempre affrontabile. A proposito di rispetto del criterio di verifica imprescindibile dei dati di realtà, oggi Giovanni è un giovanotto che dopo la laurea triennale frequenta una specialistica contribuendo, con attività lavorative compatibili, al suo mantenimento universitario. L’uso degli psicofarmaci è stato abbandonato prima della fine della scuola superiore.
La differenza tra questi due modi di affrontare problemi così delicati, perché incidono sul futuro e la vita delle persone, è la stessa con cui Socrate marca la differenza tra “portatori di opinioni invece che sapienti”. Differenza necessaria per una scienza etica.
Bibliografia
Gandolfi M.. ADHD – Miti e realtà. Una bibliografia ragionata. Prima conferenza su ADHD della dr.ssa Miriam Gandolfi. Mad in Italy, Novembre 2024
Adhd – Miti e realtà. Una bibliografia ragionata – Mad in Italy (mad-in-italy.com)
Gandolfi M., Negri A.. Disturbi specifici (della relazione) di apprendimento. Un approccio ecologico alla didattica, alla diagnosi precoce e all’intervento sui DSA. G. Fioriti Editore, 2023
Manzotti R.. Il grande bluff delle neuroscienze, 2024 https://www.sinistrainrete.info/cultura/28167-riccardo-manzotti-il-grande-bluff-delle-neuroscienze.html
Ophir Y.. Reevaluating ADHD and Its First-line Treatment: Insights from DSM-5-TR and Modern Approaches. Clinical Neuropsychiatry, Giovanni Fioriti Editore