Tele-medicina ed esperti per esperienza durante la pandemia da Covid19: l’esperienza in una clinica delle doppie diagnosi di Albuquerque nel New Mexico.

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Marcello Maviglia

By Marcello Maviglia

Introduzione:

l’articolo descrive brevemente lo sviluppo di un piano di emergenza in una clinica per le doppie diagnosi (salute mentale e tossicodipendenza) del New Mexico per fronteggiare la crisi sanitaria causata dall’epidemia da Covid-19.

L’approccio utilizzato dal personale della clinica include lo sviluppo del servizio di tele-medicina e tele-psicoterapia (collegamento col paziente tramite computer) col supporto sostanziale degli esperti per esperienza o specialisti alla pari (Peer specialists).

Sebbene sia troppo presto per un’analisi definitiva, alcuni dati preliminari si mostrano incoraggianti.

L’esperienza della clinica, nel contesto di una rete di esperti per esperienza sul territorio, offre una prospettiva non solo riguardo alle esigenze dell’epidemia corrente, ma anche per le fasi di “normale” funzionamento dei servizi sanitari.

 

Tele-medicina ed esperti per esperienza durante la pandemia da Covid19: l’esperienza in una clinica delle doppie diagnosi di Albuquerque nel New Mexico.

Forse non è più necessario fare il punto sulle statistiche riguardanti l’epidemia causata dal Covid-19, per comprenderne l’impatto sulla vita delle comunità di quasi tutto il pianeta.

Non è nemmeno il tempo di riempire gli spazi sui media con considerazioni e critiche di fondo che non contribuiscono a una gestione pratica e razionale della corrente crisi sanitaria.

Ci sono momenti in cui le nostre capacità devono concentrarsi su soluzioni celeri ed immediate; insomma, sulle esigenze del momento.

L’articolo è essenzialmente un riassunto della mia esperienza di specialista dei disturbi psichici, delle tossicodipendenze e di sanità pubblica in Albuquerque, New Mexico, durante questa crisi mondiale di carattere sanitario, sociale ed economico.

Svolgo la mia attività in una clinica che assiste pazienti con doppie diagnosi, dove vengono distribuiti anche il metadone e la buprenorfina.

Le difficoltà che stiamo vivendo in clinica sono senza dubbio analoghe a quelle della maggioranza delle cliniche nel settore pubblico, non solo negli Stati Uniti, ma a livello mondiale. Queste derivano da diversi fattori e dinamiche che rendono l’esperienza clinica a livello quotidiano spesso quasi intollerabile soprattutto per i pazienti, ma anche per il personale sanitario.

Tra i problemi spiccano la scarsità di personale sanitario qualificato, di materiale di protezione adeguato e quelle derivanti dagli innumerevoli aspetti organizzativi, psicologici, familiari, sociali e politici.

In tutto questo quadro si articolano anche tematiche di fondo rappresentate dalle differenze di orientamenti riguardanti gli interventi terapeutici, che vanno da un approccio psicosociale ad uno più strettamente biologico, da uno ispirato alla riduzione del danno a uno più “purista”, il cui fine è l’astensione totale da ogni medicina e droga, inclusi gli psicofarmaci.

Durante un periodo critico come quello corrente, queste dinamiche possono accavallarsi e contribuire a creare un vero e proprio stato di confusione tra gli operatori sanitari che potrebbe interferire con le nostre capacità di assistere gli utenti ad affrontare le proprie problematiche.

Infatti, diverse statistiche palesano una certa fragilità emotiva tra gli operatori sanitari. Per esempio, sembra che la percentuale corrente di “sindromi ansiose da contagio” tra gli operatori sanitari sia di circa il 50% per quanto riguarda la possibilità di contagio individuale, ma sale ad oltre il 60% se si include la preoccupazione del contagio del proprio nucleo familiare. Dati che potrebbero incidere sulla “performance” di una fetta non esigua del personale sanitario.

Questo disagio è contiguo con l’esperienza degli utenti, che si manifesta all’interno delle dinamiche dell’ambiente familiare con un aumento sostanziale di episodi di violenza domestica (attorno al 20 %).

Va anche sottolineato che la dimensione psicologica dell’epidemia è molto ampia; varia da stati ansiosi di carattere più semplice a quelli di disagio emotivo più consistente, che includono anche atti suicidi. Ovviamente, dati più certi riguardanti le manifestazioni imputabili all’epidemia si otterranno col passare del tempo.

A partire da queste considerazioni, noi operatori sanitari della clinica in Albuquerque, NM (Courageous Trasformations, Albuquerque, NM), abbiamo deciso di sviluppare delle linee guida, avvalendoci della tecnologia e dell’utilizzo degli esperti per esperienza (ex utenti ed utenti con esperienza di disagio emotivo), che permettano una gestione del disagio emotivo degli utenti evitando episodi di “burn out” tra gli operatori sanitari.

Uno degli obiettivi primari riguarda un accesso ottimale ai servizi, in particolare per coloro con problemi di doppia diagnosi, psichiatrici e di tossicodipendenza, i quali sono ad alto rischio di crisi sia psicologiche che di astinenza se non ricevono giornalmente le dosi necessarie di metadone e di bupronerfina assieme ad un congruo supporto psicosociale.

In senso più lato, in una tale situazione è essenziale bilanciare le esigenze della prevenzione del contagio con quelle emotive e psicologiche. Il piano di lavoro che abbiamo sviluppato si fonda su queste necessità.

Durante la fase di pianificazione, si è chiarito a priori quale dovesse essere l’orientamento terapeutico condiviso dagli operatori e dal personale sanitario della clinica, con l’intento di evitare interventi terapeutici conflittuali che avrebbero potuto interferire con l’efficacia del trattamento stesso. Questo non è un obiettivo facilmente raggiungibile, in particolare delle doppie diagnosi, in quanto gli orientamenti terapeutici del personale sanitario variano in maniera sostanziale, come ho osservato in precedenza. Queste variazioni, ovviamente, sono più tollerabili e gestibili durante periodi di “normalità”, che di un periodo come quello corrente. Un soggetto veramente importante su cui sarebbe opportuno soffermarsi più a lungo.

Dopo esserci consultati ed aver dibattuto per qualche giorno, abbiamo deciso che il modello terapeutico più appropriato al momento si dovesse basare sia sulla “diminuzione del danno” sia psicologico che fisico (rappresentato dalla possibilità di contagio e dalla presenza di condizioni fisiche pregresse come diabete, ipertensione, problemi cronici dell’apparato respiratorio, ecc.).

Per ovviare alle limitazioni imposte dalla situazione, abbiamo sviluppato abbastanza celermente un sistema di telemedicina che ci permette di seguire i nostri utenti, dando precedenza alle situazioni più urgenti. I contatti con gli utenti avvengono frequentemente sia tramite cellulare che le diverse applicazioni della telemedicina, osservando tutti i criteri essenziali al rispetto della “privacy”. Non ritengo opportuno soffermarmi su aspetti di tipo tecnico riguardo il servizio di telemedicina, che si avvale anche di un sistema efficiente di cartelle elettroniche, con tutti i pregi ed i difetti che la tecnologia comporta.

Essenzialmente ci concentriamo sul disagio emotivo sia acuto che cronico e sui determinanti sociali della salute (per esempio, accesso alle risorse necessarie per una alimentazione perlomeno adeguata ai fabbisogni individuali, accesso a mezzi di trasporto, fattori ambientali ed accesso a cure mediche per condizione fisiche pregresse).

In realtà è molto importante porre attenzione sugli aspetti sociali dell’epidemia, in quanto, la mortalità da contagio col Covid-19 affligge le minoranze etniche ed i ceti sociali più vulnerabili in maniera sproporzionata.

Attualmente nel New Mexico, il 45 % dei casi positivi si riscontrano nei nativi americani, i quali costituiscono all’incirca il 10% della popolazione dello stato. Ovviamente, il nostro intervento ha una valenza limitata, in quanto il rimedio essenziale per le cause sociali che contribuiscono agli alti tassi di contagio e mortalità è di natura sociopolitica.

In questo contesto, gli specialisti alla pari sono coinvolti in un monitoraggio assiduo e personalizzato di quegli utenti con un grado di disagio emotivo elevato, con condizioni fisiche pregresse e con pesanti problematiche sociali.

Per evitare l’affollamento della clinica, stiamo distribuendo, oltre alle consuete dosi quotidiane di metadone, anche dosi multiple per dosaggio autonomo, sempre in linea con le necessità individuali. Ovviamente, siamo consapevoli della possibilità di “overdose”, per cui contattiamo frequentemente gli utenti più a rischio, anche più volte al giorno. Stiamo seguendo gli stessi criteri per la buprenorfina, che viene acquistata nelle farmacie.

In aggiunta, stiamo lavorando con il dipartimento della salute del New Mexico, ed altri enti preposti alla sanità pubblica, per lo sviluppo e miglioramento di protocolli specifici per una gestione corretta della crisi. Come parte del nostro piano, stiamo cercando di coordinare, per quanto possibile, i servizi per le malattie fisiche con quelle psichiatriche, in quanto la maggioranza degli utenti ha dei problemi di natura fisica (diabete, ipertensione, malattie cardiache, sindromi da dolore cronico, ecc.).

Il tutto costituisce uno sforzo notevole in quanto il sistema sanitario è ridotto all’essenziale essendo stato affidato da tempo alle compagnie di assicurazione, che rispondendo alle pressioni degli azionisti, hanno volutamente messo in secondo piano lo sviluppo di un sistema efficiente di salute pubblica.

La nostra esperienza iniziale con questo modello indica chiaramente che il contributo degli specialisti alla pari è fondamentale per assistere i nostri pazienti con la dovuta regolarità. Infatti, le statistiche dimostrano che i nostri specialisti alla pari riescono a stabilire un contatto sostenuto con gli utenti e rispondere ai loro bisogni psicosociali circa nel 95% dei casi.

Una percentuale che è abbastanza più alta di quella degli operatori sanitari della clinica, che si aggira attorno al 60%. Altri dati sugli specialisti alla pari, sia a livello locale che nazionale convalidano i nostri, in un contesto che include una diminuzione delle visite al pronto soccorso e dei ricoveri ospedalieri.

Se queste considerazioni iniziali verranno validate da dati più robusti tra qualche mese, ci si augura che l’esperienza dell’epidemia favorisca un cambiamento d’impostazione dei servizi sanitari, in generale, e in particolare quelli della salute mentale. Più concretamente si spera che favorisca lo sviluppo di un modello basato sul connubio tra l’espansione della network di specialisti alla pari e di una “tecnologia umana”, alla portata dell’utente e dell’operatore sanitario.

Non voglio trascurare in nessun modo le perplessità riguardo l’uso invadente della tecnologia nel campo della salute mentale a detrimento della possibilità del contatto umano. Anzi, ritengo che questo è un soggetto che deve essere esaminato con meticolosità in quanto non include solo aspetti relazionali, ma anche altri, più subdoli, legati alla raccolta e all’utilizzo di dati che riguardano sia l’utente che l’operatore sanitario e che potrebbero essere utilizzati per scopi non propriamente clinici. Ma anche questo soggetto richiederebbe delle considerazioni approfondite, sulle quali mi auguro che i lettori si soffermeranno.

Seguo la situazione italiana assiduamente, ricevendo spunti utili per migliorare i nostri interventi qui nel New Mexico. Ritengo che gli scambi d’opinione su come affrontare i problemi di salute mentale nel contesto della corrente epidemia siano essenziali per lo sviluppo di modelli volti a migliorare il trattamento del disagio emotivo sul territorio.

Nei prossimi mesi, la nostra esperienza nel New Mexico, assieme ai dati riguardanti esperienze analoghe, ci darà un quadro più chiaro sull’efficienza del modello che ho descritto. Quindi vi prego: “say tuned” – “rimanete sintonizzati”.

Grazie.

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