Il Vestito Nuovo dell’Istituzione

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Gian Piero Fiorillo
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Il Vestito Nuovo dell’Istituzione

di Gian Piero Fiorillo

Nel precedente articolo, l’autore ha evidenziato come molti aspetti critici della Riforma psichiatrica del 1978 fossero già presenti nelle prime esperienze riformatrici e si siano aggravati nel tempo. Tra questi, la separazione tra terapia e riabilitazione, i diritti dei pazienti, e il difficile rapporto con la società civile e politica.

Un tema centrale, ma spesso ignorato, è quello degli psicofarmaci, oscurato da menzogne e mistificazioni. Questo travisamento è stato sostenuto da case farmaceutiche, università e associazioni di psichiatri e cittadini.

Oggi, le differenze rispetto a cinquant’anni fa sono sostanziali, ma non riguardano innovazioni scientifiche straordinarie. Piuttosto, si osserva un crollo della consapevolezza dei limiti dell’approccio bio-farmacologico, che può diventare dannoso se si limita a cercare un grado di “funzionamento” della persona.

Inoltre, cadono le divisioni tra scuole terapeutiche, distinzioni socio-economiche e difficoltà culturali, condensando la complessità della situazione nel paradigma “bio-psico-sociale”. (Marcello Maviglia)

 

Nel precedente articolo (1) ho sostenuto che molti aspetti critici della Riforma psichiatrica del 1978 (anno della Legge 180) erano presenti già nelle prime esperienze riformatrici e si sono aggravati negli anni successivi. Pensavo alla separazione del momento terapeutico da quello della riabilitazione, ai temi dell’intrattenimento, dei diritti, al difficile rapporto con la società civile e politica. Infine, alla questione degli psicofarmaci. Che personalmente considero centrale e ineludibile, ma che è stata invece colpevolmente ignorata da tutti gli attori e tutte le correnti della psichiatria. Oscurata dietro una catena montuosa di menzogne, mistificazioni e silenzi sigillati da un discutibile imprimatur di scientificità. A questa operazione di travisamento hanno collaborato le case farmaceutiche, le università, le équipe curanti e un alto grado di cecità da parte delle associazioni “democratiche” di psichiatri e cittadini. Le eccezioni, almeno in Italia, si contano sulle dita di una mano.

Tornando con la memoria alla fine degli anni ’70 e a quella Comunità per degenti psichiatrici dalla quale è partito il mio discorso, mi sono chiesto quali erano i farmaci più usati all’epoca, dentro e fuori le mura manicomiali. Neurolettici e benzodiazepine venivano prescritti praticamente a tutti. Fra i primi, il più diffuso era il Serenase (aloperidolo). Sempre affiancato dal Disipal (orfenadrina), che serviva ad attenuarne gli effetti avversi più evidenti, come il tremore incontrollato e la rigidità muscolare causati dal blocco della dopamina. Il Serenase è ancora oggi nel prontuario farmaceutico, anche se in larga parte sostituito dall’Haldol che ha lo stesso principio attivo ed è spesso somministrato nella formulazione a lento rilascio. Il “vecchio” aloperidolo ha ancora piena cittadinanza nei servizi (forse a causa del prezzo contenuto). È però sempre più spesso sostituito dai cosiddetti “antipsicotici atipici” o di “nuova generazione”. Ma bisogna fare attenzione: vecchio, nuovo, tipico, atipico, sono attributi che riguardano più il marketing dei prodotti che la loro efficacia o gli effetti riscontrabili. Quanto ai meccanismi d’azione, si tratta in ogni caso di modificare l’attività di uno o due neuro-trasmettitori, potenziandoli o inibendoli in nome di un mai provato squilibrio chimico del sistema nervoso centrale. (2)

Fra le benzodiazepine, i più prescritti erano Librium e soprattutto Valium, utilizzato come tranquillante ben al di là dei confini di una diagnosi psichiatrica. Secondo P. Adamo e S. Benzoni: “Tra il 1969 e il 1982 è il farmaco più prescritto negli Stati Uniti, con la maggior parte delle prescrizioni effettuate da medici generici, ginecologi e pediatri. Nel 1974 i medici scrivono Valium su 70 milioni di ricette. Un anno più tardi si dice sia già spacciato per strada. Nel solo 1978 si consumano 2,3 miliardi di dosi.” (3)

Assai usati erano i sali di litio, classificati come stabilizzatori dell’umore, prescritti a chi aveva una diagnosi di sindrome maniaco-depressiva (4). Già allora, ma con minor frequenza di oggi, i farmaci anti-epilettici (valproato e carbamazepina) venivano utilizzati come stabilizzatori dell’umore. Ed erano sempre presenti nell’armadietto dei medicinali perché le persone con epilessia venivano ancora ricoverate nei manicomi e affidati alla cure degli psichiatri. Gli antidepressivi più usati erano i cosiddetti “triciclici”, così chiamati per la struttura chimica a tre anelli. Oggi perlopiù sostituiti da SSRI e SNRI, dei quali, giocando sulla indebita sovrapposizione fra trasmettitore bersaglio e stato soggettivo della persona, viene molto sottolineata la “specificità”, oltre a una dichiarata e vaga “maneggiabilità”. (5)

Ora, se escludiamo l’epilessia, che non viene più considerata di pertinenza psichiatrica, il quadro concettuale terapeutico di cinquant’anni fa non era diverso da quello attuale. Voglio dire che, nel passaggio dalla diagnosi alla terapia farmacologica, praticamente tutte le “malattie mentali” venivano e vengono affrontate secondo una partizione molto riduttiva. Le numerosissime diagnosi e sotto-diagnosi presenti nei manuali internazionali sono ricondotte, al momento della prescrizione, a poche meta-categorie: psicosi, ansia, depressione e altri disturbi del tono dell’umore, disturbi della personalità o del comportamento.

Nello stesso momento cadono anche altre divisioni: quelle in base alla scuola d’appartenenza del terapeuta e alle modalità d’intervento psicoterapeutico; cadono le distinzioni socio-economiche delle persone in cura, le implicazioni relazionali, le difficoltà culturali, le storie individuali e collettive. Cadono come foglie morte, insomma, gli elementi costitutivi della complessa situazione di fronte a cui si trova l’equipe curante, complessità condensata nel “paradigma bio-psico-sociale”. Di questo paradigma resta solo l’aspetto biologico, ridotto a sua volta a pochissime variabili e a una concezione arcaica della biologia. La triplice eziologia “bio-psi-socio” continua a essere sbandierata ai quattro venti, ma è da tempo diventata un illusorio slogan propagandistico, come già denunciato da Benedetto Saraceno negli anni Novanta. (6) Scrive Luigi Anepeta in un libro importante su cui dovremo tornare: La pratica neopsichiatrica, in una grande maggioranza dei casi, esaurisce nella cura farmacologica il progetto terapeutico al quale, tutt’al più, si associa qualche intervento riabilitativo. (7)

Di tutti gli infiniti discorsi intorno alla malattia mentale resta solo una basilare ripartizione in poche meta-categorie, che corrispondono alle ripartizioni del prontuario farmaceutico: ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici, stimolanti, stabilizzatori dell’umore, sedativi e poco altro. Non inganni la magnificente ricchezza dei nomi commerciali e neppure l’alto numero di sostanze immesse sul mercato. Marcia Angell, nel libro Pharma & Co (8), ha dimostrato come, una volta che una molecola è commercializzata da una casa farmaceutica, tutte le altre si affrettano a produrne una simile, aggirando in mille modi e con mille trucchi le leggi sui brevetti. Questo produce una illusoria impressione di varietà e grande disponibilità di strumenti terapeutici, e prontuari misteriosi ed enciclopedici che contribuiscono a creare un alone di magia sapienziale intorno alla figura del medico prescrittore.

Una delle conseguenze è che in questo modo la stessa diagnosi viene immiserita. Rimane nella mente del terapeuta e del paziente, dei familiari e degli amici, come etichetta che non spiega niente, nel migliore dei casi descrive un comportamento, e quasi sempre determina destini di emarginazione. Anche perché i trattamenti stessi tenderanno non solo a confermare la diagnosi, ma a realizzarla nel corpo del paziente. A trasformare  fattualmente le difficoltà psicologiche ed esistenziali in malattie del cervello.

Tutto come cinquant’anni fa, dunque? No. Le differenze sono sostanziali, ma non riguardano, come si legge ogni settimana su giornali e riviste, straordinarie innovazioni scientifiche. Riguardano invece il crollo della consapevolezza che l’approccio bio-farmacologico è tragicamente limitato e che, se l’azione terapeutica si limita a cercare un qualche grado di “funzionamento” della persona, diventa gravemente dannosa e non risponde più all’obbligatorio primum non nocere. Fino agli anni Novanta, seppure in maniera sempre più fievole, il dibattito su tutto questo era vivo. Poi, a parte qualche voce inascoltata, ogni idea critica si è spenta. Bisogna ammettere che anche chi aveva partecipato al processo di riforma ha tirato i remi in barca lasciandosi trasportare dalla corrente (o dalla carriera). Davanti a difficoltà enormi e impreviste quasi tutti, presto o tardi, hanno preferito “appoggiarsi” allo strumento chimico, nell’illusione di rendere meno conflittuale il cambiamento istituzionale. Seppure fra mille difficoltà, sembra che la tensione critica stia ritrovando oggi nuovi protagonisti.

Continuerò il mio discorso e tornerò sui passaggi meno chiari. Ineludibili motivi di spazio mi costringono a chiudere qui. Voglio però riportare un altro brano del già citato libro di Luigi Anepeta: “Occorre (…) tener conto che lo sfacelo psichico terminale, da cui la psichiatria ha tratto e trae le prove della natura morbosa e infausta del processo schizofrenico, è in gran parte effetto dei trattamenti terapeutici: in passato dell’istituzionalizzazione manicomiale, oggi degli psicofarmaci. Si tratta di discutere questi due aspetti.

Note

1: Mad in Italy, 27 luglio 2024: Gian Piero Fiorillo, Grande era il disordine sotto il cielo.

Grande era il disordine sotto il cielo – Mad in Italy (mad-in-italy.com)

2: Su questo tornerò a lungo nei prossimi articoli.

3: P. Adamo, S. Benzoni: Psychofarmers®, Isbn ed. 2005

Psychofarmers® : Adamo, Pietro, Benzoni, Stefano: Amazon.it: Libri

4: Oggi detta “Disturbo bipolare”. Sulla mania dei medici di trovare sempre nomi nuovi alle malattie ironizzava già il vecchio Kant nel breve Saggio sulle malattie mentali del 1764, disponibile in italiano in diverse traduzioni.

Immanuel Kant, 1764: ‘Saggio sulle malattie della testa’ (2022) – PsyPolitics

5: SSRI: inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina; SNRI: inibitori ricaptazione serotonina e noradrenalina.

6: B. Saraceno: La fine dell’intrattenimento. (Etas ed. 1995).

La fine dell’intrattenimento. Manuale di riabilitazione psichiatrica – Benedetto Saraceno – Libro Rizzoli 2000, ETAS Medicina | Libraccio.it

7: Anepeta: Miseria della neopsichiatria (Franco Angeli ed. 2001).

Miseria della neopsichiatria. (francoangeli.it)

8: Sul fenomeno del me-too in questo ambito, è sempre attuale il classico di Marcia Angell: Farma&Co, tr. it. Laterza, 2006.

Farma&Co. Industria farmaceutica: storie straordinarie di ordinaria corruzione : Angell, Marcia, Viviani, S.: Amazon.it: Libri

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Gian Piero Fiorillo è sociologo e ha lavorato per oltre vent’anni nei servizi psichiatrici del Lazio, come operatore di base in contesti riabilitativi, e occupandosi di epidemiologia psichiatrica, formazione e organizzazione. Ha fondato il centro di Documentazione sulla Salute Mentale della ASL Roma C (oggi Roma 2) ed è stato tra i fondatori del Forum Salute Mentale nel 2003. Da sempre critico nei confronti della cosiddetta psichiatria biologica, considera la questione degli psicofarmaci centrale per ogni valutazione della ragione psichiatrica e della realtà dei servizi.