Oltre la 180…qualche riflessione

0
224
Renato Ventura
Latest posts by Renato Ventura (see all)
Nave dei folli (Hieronymus Bosh)

Oltre la 180…qualche riflessione

Prendo spunto dall’ottimo articolo di Giuseppe Galdi del 19.03.2025 comparso su questa rivista (1).

Particolarmente convincenti e condivisibili sono le sue osservazioni riguardo la legge 180 e l’uso degli psicofarmaci. Nell’elenco dei rimedi che propone per uscire dalla logica attuale che presiede all’organizzazione dei servizi di salute mentale (tutti meritevoli di interesse e approfondimento) mi paiono decisamente da sottoscrivere gli ultimi due argomenti:

  • Gli psicofarmaci, allo stato dell’arte, sono utili ma solo se si ha ben chiaro in mente che sono dei sintomatici e che la somministrazione prolungata non è priva di danni.
  • Bisogna investire nella psichiatria: la libertà costa, la cura costa, i diritti costano.
  • La legge 6 del 2004 è un inasprimento degli aspetti illiberali già presenti nella 180.
  • In particolare bisogna porre un limite all’arbitrio e alla vaghezza dei criteri di applicazione di entrambe le norme.
  • È indispensabile riorganizzare i Centri di Salute Mentale, garantendo agli utenti il diritto alla de-prescrizione nelle terapie croniche e alla prescrizione di breve durata negli esordi. In quest’ottica, il mio contributo nell’ultimo libro del Professor Antonio Esposito, che consiglio vivamente, offre spunti di riflessione utili (14).
  • In ogni caso è essenziale incrementare il sostegno psico-sociale del disagio mentale, favorendo la de-medicalizzazione.

Con Cavicchi condivido l’idea (blasfema in certi ambienti psichiatrici) che la difesa miope della legge 180 rappresenta un grave inciampo per una revisione del sistema dell’assistenza psichiatrica. In numerosi interventi su QS, l’ultimo del 21 marzo 2025 (https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=128527&fr=n), e nel suo saggio (Oltre la 180), con dovizia di argomenti e largo uso di metafore (la 180 come “sinfonia incompiuta”, i suoi difensori come “ascensori guasti”, “prigionieri e apologeti” di questa legge…) sostanzialmente accusa certi ambienti (Psichiatria democratica, la CGIL, certa sinistra e la Bindi in particolare) di essere ostaggio di una concezione neoliberista che ha comportato in sanità una sostanziale controriforma in senso privatistico e la sconfitta elettorale: “senza una sinistra neoliberista cioè una sinistra farlocca è mia convinzione che la destra nel nostro paese non avrebbe mai potuto vincere”. La vis polemica di Cavicchi è ben nota ai lettori di questa rivista.

Più modestamente ho spesso scritto che esiste un settore della psichiatria che mi ricorda la tendenza dei reduci a magnificare i momenti esaltanti che hanno portato a vincere la loro battaglia…ma forse non la guerra!

La legge 180, come è abbastanza noto, è stata emanata grazie alla concorrenza di un insieme di circostanze favorevoli (fortunose e, a posteriori, non forse fortunate) per la necessità di evitare i referendum, uno dei quali promosso dal partito radicale, che chiedeva l’abrogazione della normativa giolittiana sui manicomi e sugli alienati, all’epoca ancora in vigore, sia per effetto della crisi di governo del gennaio ’78, cui si aggiunse poi anche, a marzo, il rapimento dell’onorevole Moro, che contribuì ad accelerare l’approvazione della legge.

L’opzione referendaria era invisa a tutte le forze politiche e pure Basaglia vi si era dichiarato fermamente contrario, dicendosi certo di un responso negativo da parte degli elettori. La legge era ispirata senza dubbio a Basaglia e al movimento internazionale antipsichiatrico. Ma non è corretto attribuirla a Basaglia. Basaglia infatti era critico e aveva dichiarato a La Stampa che la nuova legge «cerca[va] di omologare la psichiatria alla medicina, cioè il comportamento umano al corpo. È come se volessimo omologare i cani con le banane […]. È sul territorio – aveva poi precisato – che prima di tutto bisogna intervenire. Con strutture non ghettizzanti, combattendo l’emarginazione a tutti i livelli, facendo opera di prevenzione, lottando contro le contraddizioni della società. Negli ospedali ci sarà sempre il pericolo dei reparti speciali, del perpetuarsi di una visione segregante ed emarginante».

Ritengo che sia stato forte l’influsso del professor Cazzullo (cattedratico dell’ancien regime anche se aperto e credo vicino al socialismo) e della psichiatria accademica che rappresentava – era allora presidente della Società Italiana di Psichiatria – che operò perché la psichiatria si appropriasse dei servizi di salute mentale, allora di competenza della Provincia che gestiva le strutture manicomiali. Nella sua idea dovevano essere costituiti negli ospedali piccoli primariati (poi diventati SPDC) coerentemente con una visione sostanzialmente ospedalocentrica e medico biologica del disturbo mentale. Ricordo che Cazzullo era un neurologo ma, primo in Italia, aveva creato un reparto psichiatrico ospedaliero (la Guardia Seconda, per distinguerlo dalla Guardia Medico Chirurgica) e scisso la psichiatria dalla neurologia; fino allora era Clinica delle malattie nervose e mentali. Sono stato testimone dei suoi viaggi a Roma in preparazione della legge 180 in quanto allora ero tra i suoi allievi più vicini a lui.

Ho anche affermato che l’inserimento della legge 180 all’interno della legge 833 del 1980, istitutiva del SSN, fu un peccato originale che spiega le difficoltà che poi si sono rivelate insuperabili di considerare il disturbo mentale come problema psicosociale oltre che espressione di alterazione neurobiologica. Come si vede Basaglia aveva la vista lunga.

Come temevo ed era prevedibile, l’ostinata difesa della fortezza Bastiani (la legge 180) non ha potuto impedire che, essendo cambiato il vento (bisogna che ci facciamo una ragione che ha vinto la destra), venga portato in discussione al Senato nei prossimi giorni il disegno di legge (DDL) a prima firma Zaffini (FDI). E’ una revisione fortemente conservatrice della legge 180: vedi Pellegrini su QS sempre del 21 marzo 2024 (https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=128522&fr=n).

Io credo che si possa spiegare la necessità per i basagliani di arroccarsi in una sorta di ridotta nella difesa della legge 180 in quanto sono stati effettivamente (e affettivamente) rappresentanti di una rivoluzione nella concezione dell’assistenza psichiatrica. Sono infatti personalmente convinto che tuttora i principi della legge 180 siano validi e lo dimostri il fatto che nei progetti di revisione della legge l’impianto complessivo della 180 viene di fatto conservato. Credo però che si debba avere il coraggio di andare oltre la 180 non tanto e non solo nel senso che Cavicchi si sforza di ribadire, cioè riconoscere il fallimento dell’organizzazione che presiede alla gestione della salute mentale e proporre un confuso efficientamento dell’organizzazione dei servizi di salute mentale. Le parole d’ordine le conosciamo tutti: più fondi, più personale, più formazione, ecc… Anche se è legittimo sostenere la necessità di adeguare alle mutate richieste della popolazione i servizi dedicati alla salute mentale non si deve erroneamente ritenere che sia il “mercato” della cura di tali disturbi quello che deve dominare l’adeguamento dei servizi. C’è infatti il rischio di un circolo vizioso: più richieste di salute mentale, più servizi più servizi, più richieste.

La biopolitica (Foucault) con il biopotere controlla il corpo umano lungo l’arco della vita, dalla nascita alla morte, operando per definire la normalità degli individui attraverso mezzi sempre più razionalizzati. La psicopolitica  (vedi il filosofo della scuola di Francoforte Byung Chul Han) (https://www.ibs.it/psicopolitica-neoliberismo-nuove-tecniche-del-libro-byung-chul-han/e/9788874526123?srsltid=AfmBOor907RJi6V5yB-tNSmIOv3qXeOIfD5mmvh6oJ1x-v3y5FsYuTNP#:~:text=Un%27infinita%20possibilit%C3%A0%20di,In%20questo%20s) controlla le nostre menti e comportamenti attraverso il big data con una sorta di panotpicon. Il panopticon è il carcere ideale progettato dal filosofo Jeremy Bentham nel 1971 che permette il controllo totale delle persone a loro insaputa. Potrebbe essere l’ideale per le REMS…

Seguendo questo ordine di idee mi sono molto interrogato sulla possibilità, soprattutto in termini di prevenzione e di gestione a livello territoriale e sociale del disagio mentale, di integrare e associare la psicologia, con le sue articolazioni, nei servizi di salute mentale non solo a titolo residuale come accade attualmente, ma con una reale, e parallela costituzione di una rete di servizi psicologici che possono affiancare i servizi psichiatrici in maniera autonoma e integrata nel SSN. Se è vero che salute mentale non è psichiatria e che il disturbo mentale è parte di un disagio che trae la sua origine da un complesso di fattori, che in modo un po’ troppo semplicistico si definiscono di tipo bio-psico-sociali, allora Io credo che non sia la psichiatria che possa in modo onnipotente farsene carico ma che debba trovare, nell’incontro con altri saperi (psicologia, sociologia, sociologia…) una chiave di lettura meno riduttiva che quella dominante attualmente fondamentalmente psicofarmacologica.

Si tratterebbe di riconoscere che il disturbo mentale, sia pure visto nell’ottica datata e onnicomprensiva – pertanto scarsamente capace di fornire una gerarchia dei fattori in gioco nella produzione del disturbo mentale – del modello bio-psico-sociale (Engel), sposato anche dall’OMS, non sia da “curare” per “normalizzarlo” assimilandolo a una malattia somatica (vedi sopra Basaglia), integrando semplicemente le pratiche psicologiche con quelle psicofarmacologiche. Bisogna fare un salto di qualità culturale e considerare che tutto porta a ritenere attualmente che le varie e multiformi espressioni di disagio mentale certificate nel DSM non sono malattie da curare bensì modi di essere e di manifestarsi della peculiari traiettorie di vita e di esperienze dell’individuo che possono bensì essere biologicamente determinate  ed esprimersi con evidenti anomalie del pensiero e del comportamento ma che fondamentalmente devono trovare accoglienza ed essere interpretate alla luce e con il conforto di una visione antropologica della persona: una visione cioè che assegna a ogni persona una sua peculiarità e non una diagnosi.

Oltre a segnalare la presenza di vissuti traumatici e di deprivazione i determinanti sociali richiedono un’attività di tipo riparativo in senso psicologico oltre che a un insieme di provvedimenti di natura sociale (casa, lavoro ecc.) che non sono di competenza della psichiatria ma dipendono dalle politiche sociali (il welfare).  Il riduzionismo farmaco biologico e la tendenza, molto attuale, a gestire queste problematiche in chiave securitaria neo- manicomiale (REMS e Comunità Terapeutiche) assecondano il custodialismo che denunciano Cavicchi e Angelozzi (QS sempre del 18.marzo 2025).

La costituzione di una Rete Psicologica Nazionale inserita nel SSN, come indicato nella Proposta di legge di iniziativa popolare (https://elearning15.unibg.it/pluginfile.php/350831/mod_resource/content/1/pdlpop%20rete%20psi%20nazionale%2020%20giugno%20senza%20) della quale sono stato onorato di partecipare in veste componente del comitato promotore, potrebbe rappresentare una alternativa a una visione eccessivamente medicalizzata dei disturbi mentali ed evitare il rischio di una “pan psichiatrizzazione” della sofferenza mentale.

Dott. Renato Ventura

Psichiatra e Psicoanalista SPI

Bibliografia

(1)  Giuseppe Galdi. Chiaroscuro basagliano – La crisi della psichiatria. Mad in Italy, 19 Marzo 2025

Chiaroscuro basagliano – La crisi della Psichiatria  – Mad in Italy (mad-in-italy.com)

SHARE
Previous articleTutte le discipline scientifiche evolvono: la psicologia non fa eccezione. Cosa cambia nel lavoro con i Pazienti?
Next articleSpecialisti alla pari: Presente e Futuro – Intervista con Donald Hume
Presentazione Dott. Renato Ventura La mia formazione professionale (psichiatra e psicoanalista oltre che, per una ventina di anni, neurologo ospedaliero) e l’esperienza di familiare di persona affetta da disturbo mentale, mi ha indotto ad aderire alle associazioni di famigliari, prima Aiutiamoli e successivamente la Tartavela, di cui sono stato presidente dal 2020 al 2024. Nel tempo ho maturato la convinzione che la c.d. malattia mentale è un costrutto medico biologico in gran parte privo di fondamenti epistemologici, nonostante i grandi progressi delle neuroscienze. Il mio interesse si è indirizzato alla difesa dei diritti delle persone affette da disturbo mentale e alla critica dell’attuale organizzazione dei servizi di salute mentale (a impronta prevalentemente sanitaria) che privilegiano l’uso (spesso assai dannoso per la salute e cronicizzante i disturbi) degli psicofarmaci e pratiche, sostanzialmente violente e anti terapeutiche, che utilizzano la contenzione e l’istituzionalizzazione come soluzione al problema della non conformità sociale delle persone affette da disturbo mentale.