Apro finalmente gli occhi, il passato si dissolve e volo libera e leggera- Storia di Milena

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Susanna Brunelli

Presento oggi la storia di Milena, che come me frequenta il progetto EX – IN (EXperinced – INvolment). (1)

Quando apri gli occhi e butti fuori tutta la rabbia, ti accorgi che la convinzione di vivere nella disarmonia non è per sempre, puoi riprenderti quello che ti spetta di diritto.

STARE BENE e iniziare a vivere, valorizzando tutte le aree della propria vita.

(prima storia di Recovery del progetto formativo EX – IN)

(Susanna Brunelli)

Apro finalmente gli occhi, il passato si dissolve e volo libera e leggera- Storia di Milena

Mi chiamo Milena Negri ho 58 anni e da 3 anni la mia vita è cambiata. Ho sofferto di depressione fin da quando ero piccola, mi sentivo diversa, strana e così non ho mai detto niente anzi mi sono creata un mondo solitario dove mi estraniavo e riuscivo a soffrire meno.

Eravamo io e mia sorella gemella, sole in una casa in mezzo alla campagna con la compagnia della famiglia di mio padre. Mio nonno mi faceva paura, soffriva molto e si sfogava su chi gli capitava a tiro con urli e bestemmie. Sono susseguiti molti lutti ravvicinati nella nostra famiglia anche drammatici che hanno pesato sulla mia condizione.

Diventando ragazza quel mondo mi stava stretto, la necessità di stare coi miei coetanei era forte, ma mi era vietata o limitata qualunque relazione amicale dai miei genitori, non capivo perché, ma obbedivo dovevo essere una brava bambina ubbidiente e remissiva, solo così pensavo di ottenere quell’amore che non sentivo. Da noi veniva preteso rispetto e obbedienza e fare ciò che volevano la mamma e il papà, per poi avere in cambio nulla.

Aspettavo, aspettavo ma non arrivava niente, dovevamo essere grate di avere un tetto sopra la testa. Anche la scelta della scuola superiore non la potei fare, i miei genitori volevano un dottore un avvocato con una laurea, mi iscrissero al liceo classico, ma non riuscivo a prendere una sufficienza, mi dicevano che ero svogliata, non studiavo abbastanza, che li deludevo.

Così ebbi la mia prima crisi, volevo morire, interrompere quel dolore. Risultato io non ebbi il coraggio di farmi del male e loro mi chiusero in casa aspettando che passasse.

Mi ritirai da scuola, ma il dolore che provavo non passava era sempre lì con me. Pensarono anche di portarmi un mese in montagna, che cambiando aria mi sarebbe passato, ma invece tutto rimase uguale.

Poi mi iscrissero alle scuole magistrali, con dolore, fatica e tanti rimproveri arrivai al terzo anno e abbandonai anche quella scuola.

Soffrivo, stavo male e pensavo di meritare tutto ciò, visto che li avevo delusi e “non ero una brava bambina”. Così cominciai a fare tutti i lavori più umili di casa, assistei anche una prozia invalida che abitava con noi.

Il tempo passava e il mio malessere non si attenuava, mi convinsi che ero fatta così, che lo star male faceva parte del mio essere. Quello che mi pesava di più era la solitudine, ma qualcosa cambiò, entrò nella mia vita la ragazza di mia sorella che ci mostrò che fuori c’era un mondo da scoprire, con lei si facevano gite vacanze, presi la patente e mi innamorai di suo fratello. Era molto più grande di me, ma era il primo uomo che si mostrò gentile e premuroso nei miei riguardi e che non mi trattò da idiota.

Lui non mi voleva, ero troppo giovane, ma io lo perseguitai, finché, per sfinimento ci mettemmo insieme. Furono anni leggeri dove al dolore si contrappose a un sentimento incontrollabile…l’amore… che mi portava su su, ma la disapprovazione dei miei genitori giù giù. Rimasi incinta, fu drammatico, un’altra delusione, mi sposai in fretta e in furia e così cominciò un nuovo capitolo della mia vita.

Fu dura, l’amore non basta per fondare un matrimonio e i figli non aiutano. Ero sola con una bambina piccola, un marito assente, prima veniva il lavoro poi gli amici e il vino.

I miei genitori mi tormentavano perché lasciassi mio marito, dovevo tornare a casa ad occuparmi di loro, dovevo rinunciare a quella piccola libertà anche se solitaria per tornare rinchiusa in una casa che detestavo. Decisi di restare con mio marito, era il male minore.

Le uniche figure positive erano mia sorella e la sua compagna, con le quali mi confidavo e avevo un po’ di sollievo. La loro omosessualità però creava problemi, perché la si doveva nascondere, far finta e nel momento del loro coming out feci un passo indietro, litigai ed esclusi mia sorella dalla mia vita, perché quello che stava facendo, avrebbe compromesso la mia vita piatta.

Feci la mamma di due splendide bambine per 12 anni, loro mi davano la forza di alzarmi la mattina, le accudivo facevo quello che mi era stato inculcato” la brava donnina di casa”.

Subivo la vita senza opporre resistenza, senza progetti, senza voglia di vivere. Mi alzavo alla mattina e andavo a letto la sera, non mi interessavo a niente solo delle mie figlie.

Andavo alle riunioni a scuola, ero disponibile per le varie feste che si organizzava all’interno della scuola, ma ero sempre sola.

Cominciai a farmi qualche amica nella cerchia delle mamme, e le usavo per non tornare a casa in quella piccola prigione che mi ero creata. Ogni occasione era buona per stare fuori casa, per non dover affrontare i problemi che sentivo pesare sempre più.

Cominciai a dedicarmi anche nel sociale, facendo volontariato. Provavo ogni cosa che mi si poneva davanti per avere un po’ di gratificazione. Ho sempre finto che tutto andasse bene con tutti, soprattutto con la mia famiglia e con le mie figlie. Era un peso che mi portavo addosso, ma me lo meritavo, visto che non avevo fatto nulla di buono nella mia vita.

Poi avvenne un miracolo, trovai un lavoro, finalmente qualcosa di mio, qualcosa che mi realizzava, ero felice. Mi impegnai per imparare quel mestiere di aiuto fornaio, e ci riuscii, stavo bene. Non durò molto, io che mi affidavo, mi prodigavo, credevo negli altri ricevetti una amara delusione.

Avevo dato tutto, amicizia confidenza alla mia titolare che credevo amica, di ritorno lei voleva solo sapere cose per spettegolare o insegnarmi a vivere perché come vivevo io era sbagliato.

Mi irrigidii e cercai di essere più riservata perché quella situazione la sentivo come una violenza nella mia vita privata. Questo fu l’inizio lento, ma costante del mobbing. Cominciò piano piano con qualche contrasto, poi sempre di più.

La malattia e la morte di mio padre non aiutarono affatto, invece di comprendere affondava la sua cattiveria e insensibilità. Dopo la morte di mio padre mi riconciliai con mia sorella questo mi diede un po’ di sollievo nel gestire l’eredità e la mia mamma.

Un lutto è difficile da affrontare da soli, ancora di più se dovevo essere forte per le mie figlie, e mia madre che sprofondò in una depressione fatta di visioni e non accettazione della morte di mio padre.

Era come un fiume in piena che cercavo di tenere dentro agli argini, tappando varie falle con bugie assenze e salti mortali.

Il malessere cresceva e con lui la voglia di morire, e così anche la stanchezza e la solitudine, ma il far finta che tutto andasse bene mi faceva andare avanti, ma era una bugia.

Dopo 4 anni di malattia morì anche mia madre tra le mie braccia e questo non lo dimenticherò mai. Cominciai a stare male non riuscivo più a tamponare gli argini che continuavo a rompersi, il mobbing sempre più serrato, i lutti, il fingere, il malessere erano sempre con me, erano diventati insopportabili mi dicevo che ormai vivere non aveva più senso, ero una nullità.

Cominciarono gli attacchi di panico, ansia, insonnia. Il malessere che mi invadeva sempre più, non avevo tregua, il dolore era fortissimo, andavo al lavoro con le lacrime e spesso fuggivo tra i singhiozzi, mi dissi che quella non era vita, tanto valeva morire.

Quel giorno tra un pianto irrefrenabile il cuore che batteva all’impazzata, i singhiozzi che non mi facevano respirare, il dolore insopportabile scappai dal lavoro e chiesi aiuto, chiamai il mio medico che mi mandò al CSM (centro si salute mentale).

Mi visitarono, mi diedero dei farmaci e piano piano mi calmai. Ci misero un po’ per trovare il dosaggio giusto, ma alla fine stavo meglio, mi dissi “è tutto finito adesso sto bene”.

Invece no, il mobbing continuò anche se ero a casa in malattia, mi telefonava, cercava in tutti i modi di incontrarmi per denigrarmi e annientarmi, questo mi fece crollare, presi la macchina e me ne andai in un posto isolato piangevo non volevo più vivere, pensavo a come la morte avrebbe portato via tutto quel dolore, come sarebbe stato bello non sentire più niente.

Il telefono cominciò a squillare non cessava, suonava, suonava e alla fine risposi. Era mia figlia preoccupata della mia assenza e mi cominciò a parlare, non ricordo cosa mi disse, ma mi calmò e tornai a casa. Mi ricoverarono in day hospital al CSM.

Non accettavo quel posto, tutti erano nemici, non volevo ammettere di essere malata. Passarono le settimane e io non volevo restare là, io non ero come gli altri ricoverati.  Odiavo la mia psicoterapeuta, ce l’aveva con me, mi stuzzicava sempre, non mi lasciava mai in pace, finché un giorno mi fece esplodere la rabbia che covavo dentro di me e il mio fiume ruppe gli argini, l’acqua usciva a frotte incontenibile e lei calmissima mi disse… “finalmente”.

Io lì capii. Capii che ero malata, che non ero sola e cominciò il mio cammino. Fu un duro lavoro: il mio mondo di bugie e falsità crollò e da quelle macerie nacque una nuova Milena, che cambiava. Non ero più un’ameba a cui non interessava niente, ma cominciavo a conoscermi, ad accettarmi, assimilavo nuovi strumenti per gestire la rabbia, le paure e la tristezza che per tanti anni avevo represso, riuscivo a parlare, a dire la mia, ad avere un’opinione.

Dopo mesi di lavoro mi fu proposto un corso per facilitatore fuori dalla mia area di confort (Correggio) nel dire sì mi misi in gioco. Divenni più forte sicura, riuscii a tornare a studiare, a fare una relazione e cominciai a svolgere quel lavoro che ho sempre desiderato, aiutare gli altri.

Ora col nuovo corso EX-In… volo… ho trovato la mia dimensione, mi piace quella che sono e quello che faccio, anche se ogni tanto ho qualche “strabucchino”, ora ho gli strumenti e la voglia di continuare a vivere. È come un bimbo che comincia a camminare è una continua scoperta e quando cade si rialza, più spronato di prima.

Milena Negri

Note

Il Progetto EX – IN nasce da un progetto europeo denominato Experienced – Involvement. Ha come obiettivo il coinvolgimento e l’inclusione nel lavoro dei servizi di persone ‘esperte per esperienza’, per aver vissuto un’esperienza di sofferenza psichica e per aver vissuto un’esperienza come utente dei servizi di salute mentale.

https://www.menteinpace.it/2023/02/10/progetto-ex-in-esperienza-e-partecipazione-susanna-brunelli/

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Il mio nome è SUSANNA, dal 1963, ma sono rinata il 18 marzo 2019. La mia vita è ricca di episodi e di esperienze gioiose, ma anche molto tristi e drammatiche. Non c'è bene o male, giusto o sbagliato, ma solo ciò che evidentemente serviva per portarmi dove sono ora. Da molti anni conosco l’ambiente psichiatrico, prima come familiare, poi, per un periodo relativamente breve ma intenso come l’inferno, ho vissuto un'esperienza come diretta interessata. Tutto il resto lo racconto a chi mi vuole leggere o ascoltare oppure conoscere personalmente. Il mio motto è: TUTTO E’ POSSIBILE !