- TSO: punto di arrivo o punto di partenza? Esiste una possibile via d’uscita? - 30 Dicembre 2020
TSO: punto di arrivo o punto di partenza? Esiste una possibile via d’uscita?
Quando in un gruppo familiare non si riesce a gestire la situazione dei suoi componenti e a dare un ruolo (normalmente sottomesso) ad un suo elemento recalcitrante e che ha preso o pensa di intraprendere una strada di autonomia anche se socialmente del tutto lecita e che spesso ricalca semplicemente quella accordata ad altri componenti del clan (i ritenuti giusti), si elabora un “progetto di sottomissione forzata”. Le gerarchie devono essere quelle stabilite da chi gestisce e comanda, punto e basta.
Si cerca prima di attuare strategie di “convincimento e manipolazione” (espedienti vari, indicazioni fuorvianti, falsi amici, contesto fortemente condizionato, scarso o inefficace supporto del gruppo, spesso artisticamente malcelato … e poi si passa alla “piegatura coatta” che già comporta l’uso di mezzi illeciti come l’intimidazione e la minaccia, l’uso della falsità e della mistificazione, l’inganno e il tradimento e addirittura il trauma. Infine, si approda al comportamento anomalo, alla bizzarria, all’inaffidabilità sociale e operativa conclamata, alla presunta pericolosità violenta del soggetto sottoposto a pressioni sociali ed affettive insopportabili che facciano emergere allarme, “squilibrio”, comportamento anomalo o antisociale… e quindi si approda al “TSO”.
Gli psicofarmaci completano il quadro di induzione alla sottomissione, fino a condurre all’idea suicidaria.
Quella da “psichiatrizzato”, se va bene… è la nuova via, la nuova partenza per una seconda vita all’insegna della sofferenza, dell’esclusione, del controllo sociale e dello stigma.
Una “spremitura” esistenziale a svantaggio di uno ma normalmente per il vantaggio di qualcun altro (il giusto). ”Più lo butti giù… e più ti tira su!” proprio come in una famosa e riuscitissima reclame pubblicitaria di molti anni fa.
I “giusti”… non amano l’ombra e prediligono andare sempre sul sicuro… i possibili competitori, se non accondiscendenti, vanno annichiliti come donatori sani di vita e di energia.
I clan familiari, in questo modo, non rubano niente a nessuno perché trovano al loro interno le risorse e le risposte migliori per proporsi ed affermarsi socialmente secondo quanto da loro stessi preconizzato e senza perdere nemmeno un centimetro della considerazione e del rispetto di cui godono all’esterno.
Cinismo sociale, ipocrisia relazionale e algido utilitarismo non scandalizzano più di tanto… nessuno vede, nessuno sente… nessuno sa esattamente… e tutti insieme voltano le spalle al malcapitato di turno per pensare principalmente ai fatti loro che sono per tutti la cosa più importante in assoluto.
Chiari e facilmente comprensibili sono anche presupposti reali su cui ogni clan si poggia per poter agire e raggiungere i propri obiettivi: poteri forti, amicizie, tribunali, pubblica amministrazione, professionisti, disponibilità economica… senza sottovalutare i giudici, i medici, gli psichiatri e i preti, e quindi anche la religione e i suoi dettami: strumenti di pazzia e di morte per il controllo e il mantenimento dello status quo. Giudici, psichiatri e preti sono il triunvirato stabile di ogni pazzia.
A questo proposito faccio solo una breve digressione citando solo due aspetti su cui regge la religione cristiano-cattolica, di chiara e indubitabile derivazione ebraica: la “selettività aprioristica” dell’unico Dio verso un solo popolo (eletto), modificato nel popolo di Dio dei Cristiani, appunto… e il “peccato originale” (geniale quanto insensata invenzione di Paolo da Tarso) con le sue implicazioni di trasmigrazione divina e transgenerazionale dei peccati, “il destino”.
Se questa fosse la sostanza delle cose vorrei sapere come uno psicoterapeuta potrà mai intervenire con efficacia… chi mai lo abiliterà ad operare in modo libero ed opportuno secondo deontologia professionale?… gli stessi soggetti che hanno sancito quella sottomissione coatta?
Se qualcuno riesce ad allentare la presa è perché è riuscito a liberarsi dal quel contesto che gli psicologi, molto garbatamente, ma in modo tendenzialmente connivente definiscono eufemisticamente e alquanto falsamente solo come “disfunzionale”… ma che in realtà è una vera e propria “associazione per delinquere” in modo inumano… per devitalizzare e annientare alterando anche irreversibilmente… è la radice di ogni mafia che alberga nei clan familiari… è il sistema!
Se l’uso degli psicofarmaci aumenta sensibilmente mentre l’adozione degli strumenti psicosociali trova sempre maggior resistenza applicativa… è perché si ha sempre più bisogno di spremere qualcuno e di “destinarlo” efficacemente e velocemente, come in un campo di concentramento… in nome e per conto di un inesistente dio.
Quando intervengono i primi fatti strani nella vita di una persona, indicatori di instabilità… tutti si rendono subito conto che è necessario un intervento psicoterapico sul gruppo familiare e non solo su quella persona. Per quello che ricordo io, parlo di circa 40 anni fa, ed erano altri tempi, già si sapeva perfettamente, se ne parlava ma non si agiva mai in quella direzione.
Molti utenti dopo le prime crisi andate in remissione, chiedevano con forza e determinazione la disponibilità degli altri attori del contesto familiare a mettersi in gioco e a partecipare ad una analisi aperta e condivisa… ma ricevevano sistematicamente diniego scandalizzato o lievi e false accondiscendenze, solo verbali, sfuggenti e strumentali (quasi a voler accordare un contentino simbolico, una sorta presa in giro funzionale) ma mai fattuali.
Nessuno ha mai voluto rinunciare al suo ruolo, specie se dominante… nessuno ha minimamente voluto mettere in discussione la sua identità fittizia mentre la paura di perdersi e di poter modificare o perdere il proprio status faceva il resto.
Prevenire è meglio che curare ma in questa fase così importante psicologi, psicoterapeuti e psichiatri… dov’erano? Forse ad aspettare che il frutto maturasse per poterlo addentare in sicurezza e con tutte le tutele legali di cui godono?
Ehi Tu?… solo il terminale debole su cui scaricare ogni immondizia… e non perché realmente debole… ma solo perché destinato: “capro espiatorio” di ogni loro mancanza, incapacità, vergogna.
La vita sembra richiedere con indomita forza e strafottenza i suoi “perdenti” ma forse è possibile almeno tirarsi di lato e guardare quell’indegno campo di battaglia, un inferno in terra, da una diversa prospettiva e a debita distanza. Niente di più.
La sofferenza va condivisa solo se in modo consenziente e alla luce del sole… non si può scaricare a piacimento nel primo angolo nascosto, sulle spalle di un figlio o di un fratello reso strumentalmente colpevole anche se non c’entra niente… vivere nell’inganno e nell’illusione di essere “giusti”.
Il “TSO” non può più essere come un numero di matricola stampigliato sull’avambraccio.