Perché è importante parlare degli effetti collaterali degli psicofarmaci con gli utenti

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Marcello Maviglia

 

Quello che scrivo si basa su domande e testimonianze di utenti, che si verificano, non di rado, durante la settimana lavorativa. Sono anche corroborate dalla letteratura specializzata sul soggetto e dall’esperienza degli utenti nel corso del trattamento con lo psichiatra.

Inizio con la domanda più ricorrente che ci viene rivolta:

Dottore, ma quali sono gli effetti collaterali del farmaco che mi prescrive?

Gli utenti spesso si lamentano che a questa domanda apparentemente semplice non segua generalmente una risposta chiara e concreta. Le testimonianze sui social sembrano confermare questa esperienza così irritante e sfiduciante per l’utente.

Non c’è nessun dubbio sul fatto che l’utente abbia il diritto di formulare domande riguardo le terapie che gli vengono proposte e ricevere risposte il più possibile accurate dall’operatore sanitario.

A questo riguardo, penso che una lista di domande pertinenti potrebbe includere le seguenti:

Dottore, mi potrebbe dire se nel bugiardino sono elencati tutti gli effetti collaterali?” “Dottore, mi potrebbe elencare prima gli effetti collaterali più comuni (cioè che occorrono a circa il 5% o più dei pazienti); quelli meno comuni (che occorrono tra l’1 % ed il 5%), e quelli insoliti (meno dell’1%)? (Forse un po’ dettagliata, ma “il diavolo è nei dettagli”).

Dottore, mi potrebbe dire quali sono gli effetti collaterali più dannosi del farmaco e la loro frequenza?

Inoltre, gli utenti si lamentano che gli operatori sanitari tendono a rassicurarli con una certa disinvoltura sugli effetti collaterali. Per esempio, mi sento spesso dire da utenti seguiti da altri operatori sanitari cose del genere “Il dottore mi dice che la stanchezza, l’irritabilità, il mal di stomaco scompariranno in poco tempo”. In realtà, questa rassicurazione sommaria non tranquillizza gli utenti. L’enfasi è specificamente sugli effetti collaterali più passeggeri.

Quasi uniformemente c’è mancanza di attenzione a quelli più sostanziali, che si riscontrano a lungo termine (per esempio problemi di cognizione). Inoltre, l’approccio non esamina gli effetti collaterali singolarmente, ma in maniera superficiale e sommaria.

È anche fondamentale rilevare che c’è un gruppo specifico di utenti che hanno notevoli difficoltà con gli psicofarmaci. Sono coloro che si percepiscono come “molto sensibili” o “allergici” agli psicofarmaci. La capacità di ascoltare ed assistere questo gruppo di utenti che si definiscono “sensibili/vulnerabili” a trattamenti medici in senso lato ed agli psicotropici in particolare è forse uno degli aspetti fondamentali per distinguere l’operatore sanitario sensibile ed affidabile dall’operatore “dilettante”, cioè colui che ascolta e si coinvolge nel problema in maniera superficiale ed inconsistente.

In questi casi, l’attenzione dell’operatore sanitario va rivolta innanzitutto a valutare il grado di ansia dell’utente durante il corso della giornata. Gli individui più ansiosi sono tra quelli che si lamentano più frequentemente degli effetti collaterali. O meglio, gli “individui ansiosi” avvertono in maniera più spiccata gli effetti collaterali del farmaco.

L’ansia si accompagna spesso a manifestazioni fisiche (somatiche) che sembrano essere in molti casi ingigantite dall’uso degli psicofarmaci.

Un altro aspetto che contribuisce alla manifestazione di effetti collaterali più consistenti è la possibilità di interazione tra diversi farmaci, qualora l’utente ne prenda diversi. Senza scendere in dettagli, alcuni farmaci possono contribuire all’aumento della concentrazione nel sangue degli psicofarmaci e quindi ad un aumento degli effetti collaterali.

Ci sono anche casi in cui (e non sono così infrequenti), l’utente metabolizza (in sostanza trasforma e distrugge) il farmaco più lentamente o meno efficacemente, contribuendo, anche in questo caso, ad una sua concentrazione più elevata nel sangue e di conseguenza ad una accentuazione degli effetti collaterali.

Ma un’altra ragione importante alla base di una terapia farmacologica farraginosa è la scarsa fiducia che l’utente nutre per l’operatore sanitario. Questo è un problema abbastanza comune, che viene sottolineato spesso da un numero non trascurabile di utenti. Purtroppo, l’impatto degli effetti collaterali in un contesto di sfiducia terapeutica sembra essere più accentuato rispetto alla media.

Inoltre, c’è da considerare un altro elemento essenziale: il concetto di base che gli utenti hanno del trattamento con gli psicofarmaci: come spesso discusso sul gruppo facebook Mat in Italy, la pagina e sito Mad in Italy ed altri social, non ci sono dati per affermare che gli psicofarmaci siano efficaci e sicuri a lungo andare e ne segue che, pertanto, il loro uso andrebbe limitato a quando essenzialmente necessario ed a periodi di tempo limitati.

Molti utenti sono consapevoli di questi aspetti poco rassicuranti ed è inevitabile che rispondano con una certa dose di scetticismo ed ansia al trattamento farmacologico. Purtroppo, ci sono individui in cui la diminuzione e la sospensione non sono praticabili al presente o nell’immediato futuro. Per affrontare queste situazioni, è necessario che l’operatore sanitario sia molto vicino all’utente e che lavori con lui per sviluppare un piano terapeutico che gli sia perlomeno “accettabile”.

Alcune di queste strategie potrebbero essere d’aiuto: l’operatore sanitario dovrebbe assolutamente evitare frasi come:

“Non puoi fare a meno delle medicine…ecc.”;

“Dovrai continuare a prendere le medicine per il resto della vita”.

È importantissimo (come spesso ripetuto), che l’utente sia seguito a livello emotivo e psicologico da un terapista, ed abbia accesso ad altre forme di supporto psicosociale (per esempio, gruppi di supporto online).

L’utente, in casi di spiccata “sensibilità” agli psicofarmaci, potrebbe frantumare la pasticca dello psicofarmaco e utilizzare il frammento più piccolo. Questa procedura andrebbe ripetuta fino a quando l’utente si sente a suo agio per esplorare dosaggi più alti. La eventuale mancanza di uniformità di dosaggio a questi livelli molto bassi non causa generalmente delle conseguenze cliniche spiacevoli o dannose.

Questo approccio, con variazioni marginali, è suggerito da diversi operatori sanitari, quando ritenuto appropriato. Essenzialmente ci dimostra che diversi utenti possono trarre benefico da dosi piccolissime.

Bisogna ricordare che ci sono parecchie variabili alla risposta ai farmaci. Pertanto, non dobbiamo insistere sulle cosiddette “dosi standard”. Infatti, se lo psichiatra afferma con calma e chiarezza che, con una dose moderata, gli effetti collaterali saranno ridotti di molto, questo probabilmente sarà d’aiuto a placare, o almeno controllare l’ansia, soprattutto in quegli individui particolarmente sensibili agli effetti collaterali.

In questo stesso contesto andrebbe spesso ripetuto all’utente che un aumento di dosaggio accadrà solo in caso sia strettamente necessario e soltanto con la sua approvazione.

Lo psichiatra dovrebbe essere assolutamente chiaro sul fatto che il paziente è in controllo del proprio piano terapeutico. Di solito una tale impostazione favorisce il coinvolgimento dell’utente ed il suo prezioso input. Bisognerebbe essere molto chiari sul fatto che le divergenze di opinioni tra l’utente e lo psichiatra non saranno percepite come una sfida, ma come un segno che l’utente è coinvolto nel processo terapeutico. Quindi vanno rispettate ed anche incoraggiate.

In conclusione, il soggetto degli effetti collaterali è importantissimo. L’operatore sanitario deve sforzarsi ad affrontarlo con il più alto grado di rispetto per l’utente, il quale ha diritto ad essere ascoltato ed a partecipare attivamente allo sviluppo del proprio piano terapeutico. Un approccio di questo genere può contribuire ad una diminuzione degli effetti collaterali, nel caso l’utente non sia ancora pronto per affrontare un corso di riduzione o dismissione.

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