La “cinquantena” dello Stato sordo alle necessità dei cittadini. Fase 2. L’ascolto!

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Maria Quarato

La “cinquantena” dello Stato sordo alle necessità dei cittadini. Fase 2. L’ascolto!

Di Maria Quarato
Italiana,expat, psicologa, psicoterapeuta 

Il dopo cosa sarà si chiedono?

Cosa volete che sia, se non un generale e collettivo disturbo post traumatico da stress?

Problemi psicologici di varia natura prodotti dallo shock autobiografico di ognuno, alimentato dall’isolamento che dura da 50 giorni, corredato da sentimenti di smarrimento, confusione esistenziale e terrore. Ognuno starà male nei modi che ritiene più adeguati e confacenti a sé stesso.

Quando scenderà a tutti l’adrenalina dell’emergenza, saranno problemi per tutti; ma non per l’effetto del problema socio igienico in sé, ma per come è stata gestita l’emergenza e la crisi in termini di narrazione, divulgazione, utilizzo e gestione delle risorse collettive.

Se non si agisce in tempo, virando la rotta verso orizzonti più costruttivi, per creare cooperazione e sentimenti collettivi di solidarietà, promossi dallo Stato, attraverso l’ascolto dei bisogni dei cittadini per categoria esistenziale e professionale, valutando le risorse di ognuno, vedremo le stesse cose che i miei colleghi americani hanno rilevato nei soldati tornati a casa dal Vietnam.

In Italia, però, non c’è una guerra come in Vietnam e noi non siamo soldati, in Siria c’è la guerra: da noi non crollano palazzi, ma speranze; non lanciano bombe che esplodono sulle città seminando la morte, lanciano titoli terrorizzanti che esplodono nella testa di chi li legge gettando il panico, che dopo tre mesi di giornalismo sciacallo e fobico, iniziano a portare alle scelte di fine vita; da noi i bambini non hanno i volti insanguinati e le pance vuote (o almeno non tutti), sono confusi e disorientati per la loro prigionia bianca, senza colpa, della quale non riescono a mettere bene a fuoco la ragione; da noi la gente non cammina tra le macerie, vive con la cultura al macero e gli investimenti sulla formazione rasi al suolo.

Noi non siamo in guerra, è solo stato utilizzato un linguaggio e delle strategie di gestione da guerra perché erano le uniche risorse che come Stato avevamo accumulato nel tempo, e non si sono intervistati, ascoltati e presi in considerazione i bisogni dei cittadini nelle loro individualità e sofferenze.

Ma come si può ascoltare, capire, gestire, se siamo tutti nel panico?

Siamo tutti italiani, ma non soffriamo tutti allo stesso modo, non abbiamo tutti le stesse risorse e gli stessi bisogni. Chi ha più risorse andrebbe educato ad usarle anche nei confronti del prossimo che ne possiede meno. Con gentilezza. Non parlo di denaro, di tasse in più da pagare, parlo di competenze, prime tra tutte quelle della ragione e della libertà di parola. Per questo sono qui che scrivo, anche se vivo in Austria e sono una cittadina libera di muovermi. Scrivo e penso per responsabilità sociale nei confronti dei cittadini italiani, che è uno dei valori su cui si fonda il mio lavoro di psicoterapeuta. Mi hanno scritto in tanti ponendomi al tre domande, ed ho sentito il dovere di rispondere ad ogni dubbio, domanda, perplessitá.

Sappiamo bene che le parole sono gli strumenti più potenti, perché costruiscono idee che a loro volta diventano realtà concrete, e questo non l’ho detto io, l’ha detto Wittgenstein, che è un filosofo della scienza, e lo vediamo tutti i giorni, quotidianamente, sotto i nostri occhi.

Giornalisti e divulgatori dovrebbero avere ben chiaro che hanno il compito dell’informazione e della formazione per chi non è scolarizzato o incapace di analizzare un contesto: questo è il loro mandato sociale, che pare abbiano barattato per la solita pagnotta in più, costruendo titoli fantasmagorici, deliranti, che attirano l’attenzione ed attivano il panico per vendere più copie dei colleghi concorrenti.

Abbiamo barattato la qualità dell’informazione con la quantità delle vendite. Il nostro giornalismo italiano, la televisione, che nel dopo guerra è arrivata anche nelle campagne più impervie, ed ha insegnato l’italiano a tutti. La televisione ha unito uno stato che era frammentato dai mille dialetti e ne ha fatto un popolo con una lingua unitaria che finalmente poteva condividere, comunicare, costruire un ‘Italia unica. Ora quegli stessi professionisti dividono, spaventano a morte, mettono gli uni contro gli altri.

Disturbo post traumatico da stress dicevamo, ma il termine è tecnico e ve lo racconto bene a partire da un esperimento che è stato condotto da uno psicologo sociale americano, che ha origini siciliane, che si chiama P. G. Zimbardo e dal quale vengono fuori un libro “L’effetto Lucifero: cattivi si diventa? “ ( P.G. Zimbardo, 2008, Raffaello Cortina Editore, Milano) ” e un film “ The Stanford prison experiment” (2005, regia K.P. Alvarez) doppiato anche in italiano.

Lo riassumo.

Zimbardo decise di studiare come le azioni del singolo individuo si costruiscano a partire da interazioni collettive e cultura, dimostrando, peraltro, che nessuno viene corredato alla nascita dai geni della cattiveria o della malattia mentale, della devianza, checché ne dicano gli scienziati che studiano solo neuroni e danno pastigliette chiamate psicofarmaci, al fine di correggere comportamenti nel singolo. Comportamenti e sentimenti che invece nascono come qualità emergenti di forme di interazioni private ed educazione sociale. Tanti psico cercano nel singolo quello che non funziona, piuttosto che studiare i contesti socio culturali e relazionali entro cui quella sofferenza si genera.

Ma lo spiego meglio.

Allora Zimbardo , nel 1971, all’Università di Stanford, prese 24 studenti universitari sani e mentalmente equilibrati, secondo la definizione socialmente condivisa, li suddivise in due gruppi, attribuendo loro i ruoli di “prigionieri” e di “guardie” e li chiuse in una piccola prigione costruita apposta per l’esperimento. Quelli che ebbero il ruolo di prigionieri dovevano rimanere in cella per 14 giorni consecutivi, invece quelli a cui era stato dato il ruolo di guardie, dovevano rimanerci in turni di 8 ore, avvicendandosi in questi 14 giorni.

Quello che accadde, invece, è che l’esperimento fu interrotto dopo solo 6 giorni, perché gli studenti sani ed equilibrati, chiusi nelle loro celle, nel ruolo unico di devianti, delinquenti e sottomessi, nonostante sapessero che si sarebbe trattato solo di un esperimento di 2 settimane, si erano così tanto identificati nel ruolo di prigionieri e devianti ( educazione sociale ed attribuzione di ruolo), che iniziarono ad agire episodi di violenza fisica e malessere mentale. Le guardie risposero con altrettanta violenza e l’esperimento fu interrotto perché tutti i partecipanti mostravano segni di sofferenza psicologica, dissociazione dalla realtà, sadismo e disturbi psicosomatici. Effetti della totalizzazione di ruolo e della relazione strutturata sull’esercizio di potere.

Esperimento sociale molto discusso, anche nei risultati, perché il professore stesso venne considerato sadico, visto che poteva anticipare, da psicologo, gli effetti che poteva produrre quella costruzione di realtà nei suoi studenti sani, prima dell’esperimento. Finito l’esperimento, sani non lo erano più, ma erano in uno stato di shock post traumatico da stress. Lo stress causato della reclusione e delle azioni di potere esercitata dalle guardie.

Vi ricorda niente questo esperimento criticato, contestato e conosciuto da tutti i professori di psichiatria e psicologia delle università italiane (e non solo) che ora tacciono seduti sui loro troni? O almeno, non si sono fatti ascoltare abbastanza?

Lo Stato italiano, per un’emergenza socio igienica, ha usato la polizia e i militari, costruendo negli italiani un’identità deviante, che vediamo già emergere. Persone che vengono fatte passare per delinquenti ed irresponsabili se, anziché esplodere in violenza domestica, scendono in giardino o passeggiano per strada tentando di non impazzire perdendo la salute mentale.

Chi ha letto il precedente articolo, sa che lo Stato austriaco, invece, ha investito in formazione e tutela dei lavoratori il prima possibile.

Ma sapete quanto variegata sia la sofferenza umana, per cui è un reato esercitare forme di potere così totalizzante e repressivo su tutti i cittadini, senza ascoltarne i bisogni necessari per la sopravvivenza? Sapete quante persone con forme di invalidità congenite, acquisite o indotte da intossicazione di dosi massicce di psicofarmaci che avete somministrato negli anni, anziché investire sulla formazione alla salute, anche relazionale, pesano solo sulle spalle dei famigliari o chi di loro si prende cura, che in tanto, in 50 giorni, si stanno ammalando anche loro?

Se come Stato formo alla salute e alla convivenza civile, contribuisco a far crescere cittadini consapevoli e liberi, se invece diagnostico, isolo, faccio ammalare, produco consumatori di case farmaceutiche e non solo.

Alcune persone, dopo l’uscita dell’articolo “Induzione alla psicosi da virus”, mi chiedevano se ci fosse un complotto sotto, contro gli italiani da parte dello Stato, delineando benissimo, tra l’altro, che in Italia circola l’idea malsana per cui i cittadini italiani non sono lo Stato, come se la classe politica fosse altro dai cittadini. Io non penso ci sia un complotto, penso che lo Stato, abbia investito, negli anni precedenti, in difesa militare e chi rappresenta lo Stato in questo momento ha usato e messo in campo le risorse che aveva a disposizione: la forza militare e repressiva. Tutto il resto era già traballante prima. Difficile da usare in emergenza quello che non funziona neanche in tempi normali.

Però, detto così tra concittadini, tra coabitanti della stessa scialuppa smarrita in mezzo al mare, veramente era necessario rincorre un povero cristo che correva sulla spiaggia con un elicottero? Veramente servono i militari in divisa con i mitra che spaventano i cittadini segregati in casa? Che ne dite, ci salviamo in calcio d’angolo investendo quelle risorse in altro? Visto che la benzina all’elicottero poi l’avete pagata o no? I soldi, li avete tirati fuori o no?

Ma caspita, il problema è il modo in cui il virus si diffonde attraverso gli scambi relazionali, “i nemici” sono la disinformazione; la formazione igienico relazionale inadeguata ed inefficace; l’informazione delirante; e non i cittadini italiani, le risorse da mandare in campo non sono quelle militari, ma formative e sociali.

Le ragioni le descrivo in dettaglio, affinché ognuno possa fare le proprie riflessioni.

Nell’educazione dei bambini si commette un errore molto comune, ma drammatico nei suoi effetti. Vietiamo anziché formare alla collettività.

Cosa accade se diciamo ai bambini, che non hanno ancora abbastanza esperienza del mondo e conoscenza: “Non buttare la carta per terra! “ ? Che la butteranno per terra! perché se il contenuto formativo è espresso come divieto di azione e non come azione, non capiranno dove metterla questa carta, ed ognuno userà la libera interpretazione per liberarsi dalla carta. Ai bambini andrebbe detto che la carta si butta nel cestino, indicando anche dove si trova il cestino, ed il bambino apprenderà l’azione del cestinare.

Se ci spostiamo sull’emergenza socio igienica, siamo tutti bambini a cui mancano le informazioni adeguate a proteggerci. Cosa è accaduto con le mascherine in Italia? Usa la mascherina! No, non usarla! Fai la giravolta, falla un’altra volta!

Gli Italiani sono confusi e nella confusione e senza adeguata formazione, ognuno fa un po’ quello che gli pare in modo ritorsivo. Ritorsivo perché non si sente tutelato, ma ingannato e perseguitato. La differenza consiste nella capacità dello Stato di saper ascoltare i bisogni dei cittadini trattandoli con rispetto. Quindi a chi dice: “gli italiani sono un popolo di incivili che non sanno seguire le regole sociali”, dico:” no, non è vero” o almeno, sicuro non tutti.

Gli italiani sono un popolo di confusi ed ingannati da decenni, che non capiscono più neanche quale sia il modo per cestinare i politici inadeguati che abbiamo avuto negli ultimi decenni, perché tanto, fanno la giravolta, la fanno un ‘altra volta e per magia, con un po’ di fumo negli occhi, aiutati dalla stampa, li vediamo riseduti sulle loro poltrone, costosissime per noi.

L’Italia è una Repubblica senza cestini per la spazzatura, fondata sui giochi di prestigio.

Gli stessi che poi vediamo fare ai nostri concittadini, quelli che hanno avuto meno risorse per accedere alla formazione scolastica (che non è sempre garanzia di abilità relazionali e sociali), ed imparano dai nostri politici come fare per garantirsi di che mangiare.

Quindi gli italiani non sono incivili, sono civilizzati dai politici che non hanno ben compreso che sono al servizio dei cittadini; che devono offrire l’esempio, prima di garantirsi lauti stipendi; che hanno un mandato sociale e collettivo e non si deve usare il ruolo politico per i propri interessi personali. Ma così, intanto, abbiamo imparato a fare tutti. Avete visto quanto sono capaci di apprendere le regole sociali gli italiani? Dalle persone sbagliate però.  La questione rilevante è definirle le regole sociali, in modo adeguato al bene collettivo.

In Italia invece, ormai, vige il “si salvi chi può, come può!

Torniamo alle soluzioni e alla ricerca delle risorse per gestire l’emergenza socio igienica.

Le risorse per un’azione efficace di tutela dei cittadini sono i servizi sociali per aiutare la gente in difficoltà: anziani soli impossibilitati a fare la spesa, ambulanze che vadano a casa di quelli che stanno morendo di infarto (triplicato il numero delle morti per infarto) perché non si fidano ad andare in ospedale.

Gli italiani sono disperati, smarriti, confusi, ma non scemi. L’hanno capito bene, prima dell’esperto al microscopio che guarda il dito anziché la luna, che la grande incubatrice virale è l’azienda sanitaria che vende sanità e non salute, e negli ospedali non ci vogliono andare più.

Napoli non ha più contagi, perché hanno funzionato i protocolli anti infettivi, messi in atto dal personale sanitario. Che ne dite, lo chiamiamo il direttore dell’ospedale di Napoli, visto che si è dimostrato così competente e virtuoso ed adottiamo le stesse misure per gli altri ospedali? Lo abbiamo chiamato? No, lo abbiamo insultato con lo stupore dei giornalisti stupiti (e stupidi) che fosse Napoli la città virtuosa anti contagio.

La scaltrezza nel chiedere le ricette a chi cucina meglio, si apprende dalla mamma ( o da chi cucina in casa) in età prescolare. A nulla son serviti allora tutti i programmi di cucina che propinano in TV.

Andiamo avanti. Vediamo quali altre risorse si possono mettere in campo.

I servizi di formazione all’igiene per rendere le persone libere di continuare le loro vite e offrire a loro volta, secondo le proprie competenze, servizi ai cittadini, di cui si ha bisogno in emergenza, con strumenti operativi e cognitivi per ridurre la paura del contagio. Le risorse sono anche gli psicologi dell’emergenza e della salute, per gestire l’insolito, la paura che è diventato terrore. È anche il garante per l’informazione che sappia promuoverla l’informazione, tutelando la formazione dei cittadini, dando strumenti cognitivi per impedire di contagiarsi, smettendola di offrire stupore e tremore.

Vengono idee ad altri esperti di complessità, così diamo una mano a quello che sta cercando ancora la soluzione in un vetrino?

Brutta cosa non saper definire bene un problema. Non permette di trovare le soluzioni adeguate.

Vi racconto una breve storia personale sul potere dei mezzi di comunicazione nel costruire stati d’animo, sentimenti, “cultura” e capacità di gestire un problema.

Era gennaio, ero sono stata con mio figlio, giovanotto italo austriaco di 7 anni, in Puglia dai nonni per una delle presentazioni del mio libro. Solo pochi giorni, con il televisore acceso costantemente sui notiziari, ma sufficienti per promuovere in lui un sentimento di razzismo che non gli appartiene, visto che studia in scuole internazionali, ha amichetti provenienti da ogni parte del mondo ed è educato al rispetto e alla comprensione della diversità altrui, e conosce bene il principio per cui ognuno è diverso a modo suo, e diverso non vuol dire pericoloso, ma arricchimento culturale. Arriviamo all’aeroporto di Vienna di ritorno da Bari dopo 3 giorni di formazione giornalistica italiana e mi dice: “guarda mamma, attenzione, ci sono i cinesi, stai lontana”. Era fine gennaio. Gli ho risposto che un virus non ha identità nazionale e colorazione di pelle e che il problema è il modo in cui il virus si trasmette, aggiungendo che era pericoloso chi non si lavava le mani e tossisce in faccia alla gente, e non chi ha gli occhi a mandorla.

L’idea che si era costruito a partire da quanto udito in TV, è che dovevamo avere paura dei cinesi, e non del virus, e come lui, che ha solo 7 anni, tanti italiani. E come tanti italiani, anche gli esperti che non sono abituati a fare l’analisi della complessità dei contesti conoscitivi. Risultato? Abbiamo picchiato i cinesi piuttosto che chiedere loro come stavano gestendo il contagio, ricorrendo preventivamente alla formazione all’igiene fuori dagli ospedali, e all’iper igiene negli ospedali.

Un altro effetto del non aver ben configurato il problema, che è l’emergenza socio igienica, né i cinesi, né gli italiani che fanno passeggiate “salva salute mentale”, è che non stiamo lavorando per il sociale, non si sta promuovendo la salute dei cittadini italiani secondo le indicazioni dell’OMS, ma si sta blaterando solo a partire dallo studio del vetrino attendendo il vaccino ( sempre il ruolo di consumatori) e si spaventano a morte i cittadini con i mitra per strada e i titoloni shoccanti acchiappa click, aspettando che l’oracolo riduttivista fornisca soluzioni.

La posizione ormai è: lo stato contro i cittadini ed ognuno contro tutti, piuttosto che uniti contro la diffusione del virus offrendo tutti le proprie risorse umane e professionali.

Anche il giuramento di Ippocrate è venuto meno durante questa quarantena emozionale e sragionante, che intanto è diventata cinquantena. Ho letto e sentito medici dire:” Se esci di casa non ti curo. Prima di uscire, scrivi su un foglio che rinunci alla cura se ti infetti “

Ma dico, ci rendiamo conto che così funziona sempre?! Tutti gli endocrinologi ad esempio non dovrebbero più curare i diabetici perché mangiare zuccheri in quantità eccessive è un atto volontario di rinuncia alla salute? Ma è solo un esempio, perché ogni malattia è un atto volontario di rinuncia alla salute, fatta eccezione forse per le malattie congenite e genetiche, gli errori diagnostici e gli inquinamenti di varia natura.

Ci hanno reso un popolo di sragionanti attraverso l’induzione al terrore, medici compresi. Ci credo che abbiano fatto fatica a trovare le cure adeguate.

Un altro esempio personale. Ieri ho letto di sfuggita il titolo di una rivista on line mentre cercavo altro:

“Bimba di 4 anni vittima del corona virus”.

Il titolo mi ha attivato in pochissimi secondi una serie di pensieri e paure. Milligrammi di cortisolo che mi sarei risparmiata volentieri. L’attivazione emozionale della paura aumenta il consumo e ci rende vulnerabili e manovrabili. Questo i giornalisti lo hanno imparato alla scuola di giornalismo.

Sapete in che direzione ci vogliono manovrare? Al consumo. Patto con le banche, già fatto! Perché pensano che se gira l’economia uno Stato è salvo.

Se gira la solidarietà lo Stato è salvo, perché dove mangiano 3, riescono a mangiare anche 4, il quarto in cambio lava i piatti, tutti contribuiscono e nessuno muore di fame. Lo sanno bene le mamme del dopo guerra, che hanno saputo sfamare intere famiglie con poche risorse.

Manovrare l’ho messo in corsivo perché possiamo ancora decidere se entrare nel ruolo unico e totalizzante di consumatori individuali spaventati a morte, o di cittadini cooperanti. La scelta la facciamo noi ogni volta che selezioniamo il modo in cui usare i nostri soldi e la nostra vita. L’ha fatta mia sorella quando ha bussato alla porta degli anziani vicini di casa ed ha portato loro la spesa, e l’ha fatta anche mio fratello, esperto giustappunto di igiene, che gestisce un laboratorio analisi H.A.C.C.P., e che, munito di protezioni adeguate, ha contribuito a valutare le qualità igieniche di quello che abbiamo mangiato durante tutta la cinquantena, affinché le risorse agroalimentari, prodotte quotidianamente dal nostro Sud tanto reso oggetto di pregiudizio, non andassero sprecate. Esempi solo per dire che poi, il modo, se c’è l’intenzione di cooperare, si trova. Esempi per dire anche che ogni regione può fornire risorse diverse.

Tornando al titolo da paura vendi copie “Bimba di 4 anni vittima del corona virus”. Mi sono detta:” Ma come, non colpiva solo gli adulti?” Ho pensato subito ai miei figli e mi sono spaventata. Io mi sono spaventata, con tutta la formazione decennale psicologica maturata, figuriamoci le altre mamme.

Ho letto tutto l’articolo e quello che ci ho trovato dentro non mi ha sorpresa come il titolo, conosco bene l’esperimento di Zimbardo e l’effetto lucifero prodotto dalle carcerazioni e so bene anche che gli italiani, chiusi in casa senza conoscere la data di liberazione, inizieranno a comportarsi come ergastolani e devianti, perché la percezione del tempo è soggettiva: tante persone, sprovviste di aiuto adeguato, percepiscono la realtà in cui sono inseriti come eterna, immodificabile.

Chi, grazie ai mezzi di comunicazione, pensa che ha già perso tutto, non ha più nulla da perdere se commette un reato. Un papà che ha perso il lavoro, se non viene aiutato ad avere speranza e a fare una valutazione delle risorse personali e relazionali, se non prende aria relazionale ai pensieri, vedrà solo nero, e le scelte di fine vita sono le uniche soluzioni che riuscirà ad intravedere per proteggere i figli dal dolore della precarietà esistenziale.

Non chiamate quel padre folle o depresso come fosse malato per aver ucciso sua figlia. Quella scelta è una scelta. Quel gesto chiama in causa tutti, quell’azione, deviante, che pare contro natura, è l’effetto di una particolare percezione della realtà catastrofica e rassegnata, costruita da media, politici, esperti riduttivisti che non riescono a vedere cosa accade fuori da un vetrino. Così come ci sono uomini educati a pensare che le donne siano oggetto e che possano disporre delle loro vite come vogliono, fino a scegliere per loro la morte. Ma questa educazione al rendere le donne oggetto parte anche dalle vallette scollacciate e mute a in tv che abbiamo visto tutti. In questa cinquantena ci sono anche persone rese oggetto, chiuse in casa, spaventate a morte dalla violenza dei mariti, e viceversa: la violenza non ha genere, ma matrice generativa che è culturale, non genetica. E di violenza tra politici ne abbiamo vista tanta, abbastanza da considerarla legittima. Sventagliare mitragliatrici in piazza a Roma è violenza psicologica che permette poi a un medico di picchiare un anziano che passeggiava per le vie del paese.

Quello che forse ci distingue dagli animali, è la condivisione di obiettivi comuni che chiamiamo valori: la vita di tutti è un valore umano, sancito dalla costituzione dei diritti umani secondo cui abbiamo tutti pari dignità, (fatto salvo poi, le assicurazioni, calcolano il valore economico di ognuno).

Madre natura può essere molto spietata con i più fragili perché l’obiettivo di madre natura è perpetrare la specie. L’obiettivo dell’uomo ormai, non sembra più la tutela della saluta collettiva e quindi della vita: di questi tempi, è il consumo di beni materiali, la produzione, la vendita. Tutto il resto è memoria storica che appartieni a chi la storia l’ha studiata e non si è formato su Istangram e Youtube, o non si lascia convincere che quella sia l’umanità, perché ha letto e si è socialmente e sentimentalmente educato da Autori di altre epoche e società non consumistiche come la nostra.

Però madre natura può insegnarci molto sul valore del sociale. Basta vedere come si muovono gli stormi, i lupi in cammino, ecc…. Ognuno è parte di un gruppo più grande dell’individuo e l’obiettivo è la tutela del gruppo, così si salvano tutti, non solo quelli dotati di più risorse.

I valori umani e contemporanei, ormai, figli del consumismo, prevedono la costruzione di un individuo solo e spaventato affinché consumi beni materiali o psicologici. Usiamo e consumiamo anche l’Altro da noi, tante volte, senza accorgercene tanto siamo abituati.  Non c’è da sorprendersi quindi per come sia stata gestita l’emergenza socio igienica.

La paura di avere la cellulite, di non essere abbastanza bello, alto, di non essere abbastanza ricco ed allora compriamo, consumiamo, lavoriamo per aumentare il prestigio individuale, dimenticando che anche l’uomo è un animale sociale e per sopravvivere ha bisogno di relazioni costruttive ed edificanti.

Viene quasi il dubbio che chiamiamo crisi l’impossibilità di ognuno ad avere barche, aziende e festini spolverati di bianco con signorine generose nell’offrire socialità corporea.  Educati da decenni a configurare questo come successo, si perde speranza e voglia di fare, che è quello che sta accadendo in Italia da qualche decennio.

Ma non voglio far polemica, mi sono formata e insegno ora io a mia volta, in una scuola di specializzazione in psicoterapia interazionista il cui principio è: “definisci quale è il problema ascoltando bene chi ti parla e cerca le soluzioni, concordate, negoziate con chi ti chiede una consulenza in funzione delle sue risorse.”

Come dicevo nel precedente articolo, il problema non è il virus, ma il modo in cui si contagia attraverso le dimensioni relazionali e di incontro. Già abbiamo cannato in pieno sulla protezione della categoria medici e professionisti sanitari, che ha moltiplicato i contagi, proviamo a pensare bene come passare alla fase di risocializzazione della popolazione.

La settimana scorsa mi ha intervistato un quotidiano Belga, per chiedermi come si può superare il lutto per le persone perse in questa pandemia, questo non è il tema dell’articolo che scrivo ora, perché non è ancora il momento, ora è il momento di tutelare le persone che devono tornare alla vita. Questo articolo belga titolava: “Poverina l’Italia che è stata lasciata sola dagli altri paesi europei.

Ma facciamo un’analisi lucida. Pensavate che ogni politico estero non anticipasse che i confini sono solo invenzioni politiche e che il virus non ha passaporto? Ognuno si è tenuto le risorse per sé. Questo il primo punto. Secondo punto: sapete che negli altri Stati, i politici, se indagati si dimettono? Per i nostri, pare ormai, invece, che l’essere indagato faccia curriculum per la carriera politica. Giochi di prestigio anche questi. Facile criticare gli altri politici, meno farlo con i nostri che forniscono pagnotte sottobanco.

È il sottobanco che ha mandato a rotoli l’Italia.

Pensate che agli altri politici Europei, che sono donne, uomini, essere umani che hanno scelto di dedicare le loro vite al paese, rinunciando ai piaceri personali per rendersi incorruttibili, e lavorando a favore del popolo che hanno scelto di servire, non gli roda della libertà di costume e legale di cui godono i nostri politici pagnotta sottobanco?

Non posso dire nulla su Conte dal punto di vista di immagine sociale, viene da dire: “finalmente uno che si offre come modello sociale coerente con il ruolo pubblico” . Conte ha il compito di fronteggiare questa emergenza con un Italia al precollasso. Io non vorrei essere al posto suo. Posto che è di coordinamento dei saperi operativi, però gli chiedo:” chi le ha consigliato di aprire per regioni? Che suona tanto come “quelli che hanno fatto i monelli non vanno in gita”.

Ma nel suo liceo, non si facevano le collette per quelli che la gita non potevano permettersela? Così, umanamente, in modo risolutivo, piuttosto che punitivo per chi arranca, che proprio andando in gita potrebbe prendere aria alla mente, arricchendosi di altre possibilità di pensiero e conoscenza?

Proviamo a fare una proposta meno adolescenziale.

Facciamo una valutazione delle figure professionali e risorse di cui abbiamo bisogno per ripartire e quali quelle meno a rischio contagio in un’Italia cooperante, e non divisa per regioni.

Penso che, se consultiamo gli assicuratori, sapranno certamente indicare quali sono le categorie a rischio contagio e quali meno. Avranno già stabilito chi assicurare e chi no, senza perdere tempo.

Sentiamo gli ordini per i professionisti, gli esperti di categoria per le altre professioni e chiediamo loro di cosa hanno bisogno per tornare a lavorare riducendo al minimo i contagi. Lei, Presidente, per esempio, non può saperlo di cosa ha bisogno uno psicoterapeuta per ridurre al minimo il rischio contagio. Chi può dirglielo se non il mio ordine? Le pare che ora possano andare dagli psicologi solo quelli che vivono in regioni virtuose? Ascoltiamo anche i bisogni dei più fragili e delle categorie meno protette. Di cosa hanno bisogno per sentirsi tutelati? Indipendentemente dal luogo in cui hanno avuto la sorte di nascere. Che idiozia il criterio “luogo di nascita”, siamo tutti essere umani nati in luoghi a caso, in un mondo grande e variegato.

Questa proposta la faccio da tecnico della mente umana, ed è chiaro anche a tutti che chi sente di ricevere dallo Stato e dalla collettività ascolto, attenzione e protezione, in quel momento stesso, apprende a dare altrettanto anche alla collettività.  Così si fa girare l’economia e la salute. Chi riceve dà, chi non riceve, prende come può, anche illegalmente. Chi prende e basta, andrebbe sanzionato. Ma sappiamo bene che in qualche abra cadabra qualcuno che ha il compito di offrirsi come esempio sociale ha preso e non è stato sanzionato. Visto che popolo capace di apprendere le regole sociali, gli italiani?!

Ma torniamo al ripartire, che il futuro ci aspetta, con molta più consapevolezza di prima e con molta più voglia di cambiare cercando bene il cestino della carta straccia.

Ripartire in modo adeguato, vuol dire anche fare una valutazione delle risorse progettando il futuro, esattamente come facciamo noi psicoterapeuti quando ci viene richiesta una consulenza, che è sempre progettazione di un cambiamento nella direzione richiesta dal nostro cliente. L’ascolto delle sofferenze altrui, che spesso non conosciamo bene, ci permette di trovare soluzioni adeguate alla sofferenza psicologica. Se quel padre avesse anticipato che qualcuno lo avrebbe ascoltato in modo adeguato offrendo speranze e possibilità e non messo a tacere sedato con psicofarmaci, se fosse stato aiutato a fare una valutazione delle risorse, piuttosto che sollecitato a vedere solo quello che nella sua vita non funzionava, quella scelta drammatica, probabilmente non l’avrebbe fatta.

Certo che ce la faremo se sapremo ascoltare e non imporre. Certo che ce la faremo se responsabilizzeremo e formeremo cittadini piuttosto che terrorizzarli e confonderli. Certo che ce la faremo se impareremo a pensare, piuttosto che far polemica leggendo solo titoli spaventosi. Certo che ce la faremo se eserciteremo il diritto all’informazione ed esigeremo la tutela dei lavoratori dagli enti deputati. Certo che ce la faremo se cercheremo bene il cestino della carta straccia.

Un’altra cosa importante. Ci arrivate da soli, vero, che il rischio zero non esiste?!

Non esiste quando vi mettere in macchina; non esiste sui posti di lavoro; non esiste nel rischio imprenditoria; per non parlare poi delle case, che hanno un tasso di incidenti altissimo; non esiste in sala parto, eppure non ci siamo estinti; non esisteva per quella bambina uccisa dalla disperazione del padre; e non lo sono neanche i figli e i matrimoni a rischio zero, e lo sanno bene tutte quelle persone che da 50 giorni tenete segregate in casa con le loro difficoltà o con i loro aguzzini.

Altro che virus!

 

Nota: Ringrazio tutti gli italiani che hanno letto e condiviso il primo articolo di sei pagine, e questo secondo di otto, dimostrando che gli italiani hanno voglia di formarsi e pensare e non consumare beni,  ostili verso il prossimo; ringrazio chi ha letto in anticipo gli articoli per correggere le virgole e i puntini che possono sfuggire in emergenza, figli h24 e pranzi, cene e lavatrici da fronteggiare: che sono papà e mamma dalla Puglia, Francesco e il dott.  Marco Vinicio Masoni, direttore di collana della Fabbrica dei Segni Editore, segregati nelle loro abitazioni, il dott. Giuseppe Galdi da un reparto psichiatrico della capitale italiana, il Prof. Antonio Iudici, dall’Università di Padova , e la dott.ssa Laura Guerra che gestisce la corrente pagina di informazione nell’ambito della salute mentale MAD IN ITALY.

Maria Quarato, autrice del libro ” Allucinazioni: sintomi o capacità? Racconti di errori diagnostici, soluzioni, ribellione e libertá”

 

Illustrazione di Chiara Aime

Per approfondimenti tecnico scientifici si possono consultare le pagine www.scuolainterazionista.it e il centro ricerca www.ediveria.com

Il presente articolo segue al primo articolo dal titolo Induzione alla psicosi da virus

 

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La dottoressa Maria Quarato, Psicologa Clinica e Psicoterapeuta, ha conseguito la laurea in Psicologia Clinica ad indirizzo neuropsicologico a Padova e il titolo di Psicoterapeuta presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Interazionista. Per anni cultrice della materia ed assistente alla cattedra di Psicologia Clinica e Psicoterapia, dipartimento di Psicologia Generale Università degli Studi di Padova. Ha partecipato ad un Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale, promosso dal Miur, Ministero Istruzione, Università e Ricerca . Autrice di diversi articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali e nazionali. Membro del comitato Scientifico della rivista " Scienze dell'interazione" Attualmente docente della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Interazionista e Presidente “Ediveria”, Associazione per la ricerca internazionale e la consulenza “dell’udire voci” con sede a Vienna. Da anni si occupa di ricerca e psicoterapia dell’udire voci, di neuropossibilità e complessità esistenziali, di processi migratori e di epistemologia delle scienze cliniche della psiche. www.ediveria.com www.scuolainterazionista.it

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  1. Buonasera, ho letto i suoi articoli dedicati alla quarantena e cinquantena. Molto densi e interessanti. Ho sempre pensato che questa prigionia infarcita di paternalismo, fate i bravi bambini e tutto andrà bene, avrebbe magari salvato la salute fisica di molti, ma minato la salute mentale di altrettanti. Guardando solo alla mia bolla sociale, in cui ho a che fare con persone che credevo dotate di strumenti culturali e cognitivi adeguati, non sono pochi quelli che hanno chiuso il cervello e cominciato a comportarsi come automi. Paradossalmente, se nella fase 1 non ero eccessivamente preoccupato, in fondo bastava seguire raccomandazioni basilari di igiene personale che sarebbe opportuno rispettare anche in assenza del covid-19 (mi occupo di sicurezza alimentare e nelle aziende alimentari le precauzioni sono molto più spinte), la fase 2 mi lascia qualche inquietudine per la mancanza di alcuni strumenti necessari alla convivenza con il virus e cioè tutti quegli strumenti che anche lei ha indicato nei suoi scritti: medicina sul territorio, igienisti, epidemiologi e psicologi. Non può bastare l’aspettativa messianica del vaccino, non può bastare la risposta medievale all’epidemia (chiudiamoci in casa e aspettiamo che passi).

  2. Buonasera, sono rimasta molto colpita da questi articoli. Anche io sono expat e trovo la sua visione estremamente illuminante. Al momento sto realizzando un documentario sulla quarantena e avrei piacere di riuscire ad inserire interventi di questo tipo. C’è modo di scriverle?

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