Quale cura della mente per quale futuro. Costruire salute o alimentrare patologia?

La diagnosi effettuata attraverso il DSM-5 dipende totalmente dall'osservazione soggettiva dello psichiatra che osserva il paziente in quel momento, poco o nulla è concesso alla storia di vita delle persone, pazienti e famigliari.

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Miriam Gandolfi

 

Di Miriam Gandolfi Psicologa. Psicoterapeuta.

Ho ricevuto la lettera che segue da uno dei tanti genitori che lottano contro un “ospite ingombrante” nella vita familiare: un disturbo alimentare psicogeno. Questo il termine corretto per indicare un grave disturbo del comportamento alimentare, indipendentemente dalle diverse manifestazioni sintomatiche. Come tutte le psicopatologie, oltre a danneggiare la/il paziente che lo esprime, altera e danneggia tutti i membri della sua famiglia. Potremmo dire che la psicopatologia diventa ” il padrone di casa”.

Non ho modificato nulla della mail inviatami, per chiedermi informazioni, tranne l’area geografica di provenienza per garantire la totale privacy, ma potrebbe giungere da qualunque luogo, non solo d’ Italia. Proprio per questo motivo mi è parsa un’occasione per evidenziare la confusione in cui si muovono sia i pazienti che gli operatori che si occupano di psicopatologia.

 

Potremmo riassumere i quesiti posti in una domanda: possiamo ancora definire scientifico il modo in cui si affronta la salute mentale, aspetto importante della vita e cruciale del nostro futuro di umani?

 

Sono il padre di una ragazza di 26 anni che soffre da dieci anni di un grave disturbo nel comportamento alimentare (anorexia nervosa restrittiva che si è recentemente trasformata in ‘binge eating’). Oltre a questo è stato diagnosticato un disturbo dell’umore (bipolare e schizotipico) ma anche un disturbo della personalità (borderline) a seconda con quale psichiatra avevamo a che fare. La ragazza è stata presa in cura da strutture pubbliche (come il Servizio di Salute Mentale di XXX ) e private (come Residenza XXX a XXX -altra regione ( ndr)) – ma anche da vari professionisti privati. L’approccio verso il suo problema è stato prevalentemente psichiatrico basato sulla prescrizione di un numero elevato di psicofarmaci (che sta prendendo fino ad oggi).

Come genitore sono molto preoccupato per la cronicizzazione dei problemi di mia figlia, per la mancanza di una diagnosi differenziale, per l’elevato carico emotivo familiare, le conseguenze imprevedibili degli psicofarmaci e per la mancanza di una vera e propria psicoterapia. (gennaio 2020).

 

I quesiti di questo padre, al quale ho cercato di dare una risposta personalizzata, ne pongono altri generali molto importanti:

1) Come è possibile che ogni psichiatra o specialista faccia una diagnosi diversa dello stesso sintomo?

2) Se una patologia affrontata per dieci anni e con molti interventi resta invariata, anzi aumenta l’espressività sintomatica, con quali criteri è stato scelto il trattamento specifico adatto al problema?

3) Cosa ne sappiamo dei Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP)? Quale teoria, cioè quale spiegazione scegliamo per comprendere come mai si sviluppano, o ci accontentiamo di controllare/inibire i comportamenti indesiderati (quasi sempre senza riuscirci stabilmente)?

Infine, una Nota importante: tutti i personaggi citati in questo articolo sono medici psichiatri, scelta voluta per evitare che questo contributo sia considerato “antipsichiatrico”. Ho lavorato e continuo a collaborare con medici e psichiatri che condividono con me la passione per la conoscenza e l’interesse per il rispetto delle persone. Se la lista è breve è solo per mancanza di spazio!

 

Curare deve essere un atto scientifico

Qual è la differenza tra un approccio scientifico ad un problema, nel nostro caso un comportamento psicopatologico, e un approccio magico o da ciarlatani?

La scienza deve rispondere ad alcune regole fondamentali: osservare e descrivere in dettaglio un fenomeno, formulare una teoria che spieghi perché quel fenomeno avviene e poi verificarla attraverso l’efficacia dell’intervento attuato. La capacità di comprendere con precisione il fenomeno studiato permette di intervenire ai primi segnali (prevenire il peggioramento) e di evitare i danni da interventi tardivi e/o scorretti. A queste regole deve rispondere un intervento che voglia chiamarsi scientifico: sia che serva a costruire un ponte, a prevenire i danni del dissesto idrogeologico o a curare un tumore. La verifica della correttezza della teoria che spiega un problema coincide con la sua capacità di fare una previsione e contemporaneamente di risolvere o ridurre il problema.

Solo questo modo di procedere crea e aumenta conoscenza.

 

Chi si occupa scientificamente delle psicopatologie?

Il loro studio scientifico è compito di alcune discipline strettamente connesse tra loro. La psicologia, scienza del comportamento degli animali, di cui l’uomo è un caso particolare. La neurobiologia, la scienza che si occupa di comprendere le basi anatomiche, funzionali e biologiche del cervello e del sistema nervoso/sensoriale periferico di tutti gli esseri viventi (oggi anche dei vegetali). La psichiatria, una specializzazione della medicina organicista classica, che si occupa di controllare/contenere i sintomi dei comportamenti definiti patologici attraverso l’uso di farmaci. La psicopatologia, una specializzazione della psicologia clinica, che cerca di agire sulle cause psicologiche (non organiche) dei comportamenti definiti patologici.

Per un corretto intervento tutte quattro queste discipline devono collaborare e scambiarsi conoscenze.

Dal momento che esistono diverse teorie della mente che spiegano il comportamento fisiologico (“normale”) degli umani, anche le spiegazioni delle cause delle psicopatologie e le forme di psicoterapia sono diverse.

Le differenze tra queste teorie sono fondamentali per comprendere i diversi modi di affrontare il problema, ma spesso le persone le ignorano. Sarebbe come, in medicina, confondere un ortopedico con un fisiatra, o un gastroenterologo con un chirurgo addominale. Specializzazioni tutte importanti, che però devono essere scelte in modo appropriato. Resta comunque fondamentale che tutte devono rispondere al criterio della verifica dell’efficacia e della corretta applicazione: non tutti i mal di schiena si curano con operazioni chirurgiche!

 

Come si valuta l’efficacia in medicina?

Fino alla seconda guerra mondiale la medicina organicista generale non era in grado di comprendere le cause della maggior parte delle malattie. Riusciva con grande fatica solo a lenire i sintomi, perché ancora priva delle grandi scoperte in campo biochimico e fisico che hanno potuto metterle a disposizione conoscenze e strumenti tecnici fino a quel momento impensabili. Pensiamo ai raggi X, all’ uso della radioattività per la diagnosi e cura dei tumori, alla scoperta degli antibiotici sperimentati per la prima volta sui soldati al fronte, la scoperta del DNA e il mezzo per riconoscere le malattie genetiche e la loro trasmissibilità, la comprensione dei processi tossici dei cibi mal conservati, salvando lattanti da gastroenteriti mortali e persone, maggiormente donne, dai pregiudizi e dai roghi della superstizione popolare e religiosa.

Alla fine del 1800 la psicologia scientifica muoveva appena i primi passi mentre la psichiatria era la branca della medicina più considerata.

Tra gli anni ’20 e ’30 del ‘900 un salotto non era veramente alla moda se non si parlava di Jung e di Freud, insignito nel 1933 del prestigiosissimo premio letterario (!) Goethe, e se non ci si organizzava per “giocare” con le macchie d’inchiostro che il giovane dottor Rorschach aveva scoperto essere una produzione di una nuova categoria di malati ” battezzati” con un nuovo termine: schizofrenici.

Da quel momento tutte le altre branche della medicina via via si specializzarono (forse anche troppo) cominciando a sviluppare teorie sulle cause e i meccanismi sottostanti alle varie alterazioni biologiche del corpo e delle sue funzioni, applicando il principio, fondamentale in ambito scientifico, della verifica e della eventuale falsificazione in assenza di risultato positivo. La psichiatria organicista classica rimase al palo perché orfana di strumenti e risultati sperimentali che dimostrassero le cause organiche di comportamenti, sì alterati, ma in assenza di danni organici documentabili. Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 psicologia clinica e psichiatria critica si unirono alla ricerca di una spiegazione complessa della sofferenza mentale collaborando e creando centri di studio e ricerca scientifica sulle psicopatologie e le prime vere scuole di psicoterapia. Cito solo i nomi più famosi a livello mondiale. Franco Basaglia e Mara Palazzoli Selvini (Italia), Ronald Laing e Aaron Esterson (Inghilterra), Eugene Minkowski (Francia), Julian de Ajriaguerra (Spagna), Salvador Minuchin (Argentina-Stati Uniti), Jay Haley (Stati Uniti). Ho citato solo psichiatri e non psicologi, di diversa formazione teorica clinica, ma tutti accomunati da senso etico e volontà di conoscere e affrontare la sfida della cura della malattia mentale considerata fino lì incurabile.

La psichiatria ‘dissidente’ ha compiuto una grande rivoluzione culturale in tutto il mondo, ma ancora oggi la disputa con la psichiatria classica è più che mai accesa.

Uno degli esiti importanti di questo processo è stato fissare i criteri che definiscono la specificità e la formazione di uno psicoterapeuta. Sia medici che psicologi per potersi fregiare di tale titolo devono seguire una formazione in psicologia clinica e tecniche psicoterapiche della durata minima di quattro anni.

In Italia è stata emanata, dopo molte lotte, una legge che autorizza e regolamenta questa specifica professione (Nr. 56/89 del 1993). Spesso pazienti e Istituzioni non sanno o non controllano se un laureato in Psicologia sia anche psicoterapeuta. Da anni ormai l’Ordine dei Medici ha deciso di considerare la sola specializzazione medica in psichiatria organicista come equiparabile ad una scuola di specializzazione in psicoterapia, consentendo agli psichiatri di fregiarsi del titolo di psicoterapeuta. Ciò crea ambiguità e confusione nei pazienti, riduce la loro fiducia e impedisce di offrire sempre un servizio qualitativamente all’altezza della complessità dei problemi.

Inoltre dagli anni ‘ 90 la psichiatria organicista conosce una crisi interna profonda. Infatti, passato il momento di prestigio, da branca medica all’ ultima moda si è trovata confinata nel solo ruolo di controllore di comportamenti inspiegabili.

Oggi la psichiatria organicista è considerata la parente povera della sempre più ricca famiglia delle branche della medicina scientifica. Come tutti i nobili decaduti ha dovuto ricorrere a un matrimonio d’interesse e sono gli stessi psichiatri impegnati scientificamente ed eticamente a lanciare l’allarme dell’abbraccio mortale con le lobby farmaceutiche. Così Allen Frances: “sono stato costretto a schierarmi in quella che era diventata una lotta intestina per il cuore della psichiatria: mi sono trovato a combattere una battaglia, che si annunciava disperata, per proteggere la normalità dalla medicalizzazione e la psichiatria da un’espansione eccessiva“. (1)

 

Come ha fatto la ragazza protagonista della storia a collezionare 5 diagnosi, alcune contraddittorie tra loro?

Per fare una diagnosi psichiatrica ci si deve avvalere del famoso Manuale Diagnostico Statistico. L’ ultimo editato è il numero 5, il DSM -5 (2). Chiunque può andare in Internet e leggere i criteri secondo cui vengono emesse le diagnosi: si tratta di puri criteri descrittivi.

Il difetto del DSM-5, così potente e pericoloso, è che dipende totalmente dall’osservazione soggettiva dello psichiatra che osserva il paziente in quel momento, poco o nulla è concesso alla storia di vita delle persone, pazienti e famigliari. Mai vi si trova una guida a comprendere le cause del disagio. Ecco spiegato il miracolo della moltiplicazione delle diagnosi e dell’uso improprio del termine comorbilità (somma di malattie diverse).

Una disciplina scientifica dura come la fisica ha dimostrato da tempo che l’osservatore di un fenomeno interferisce con ciò che osserva e lo altera mentre lo fa. Ancora Frances: “Qualsiasi cambiamento del sistema diagnostico doveva essere orientato al metodo scientifico e basato su prove oggettive, e non certo influenzato dai miei ghiribizzi personali, o da quelli di qualcun altro… non c’erano dati scientifici stringenti che corroborassero la gran quantità di proposte che ricevemmo. Ogni giorno la ricerca psichiatrica di base aveva da offrire nuove entusiasmanti informazioni sul funzionamento del cervello, ma nessuna si traduceva in nuovi modi di diagnosticare e curare i pazienti (op. cit.).

Ma questo gravissimo difetto non è il peggiore.

 

Non sola (la paziente e la sua famiglia) e molto male accompagnata.

La lettera sopra riportata ne è una tragica testimonianza: ognuno procede confondendo un pezzo delle proprie osservazioni con una spiegazione, che non viene data né al paziente né alla famiglia, entrambi ricevono solo un’etichetta e il trattamento del sintomo sembra più una roulette russa che un progetto di intervento scientifico.

Questo è il più grave difetto del DSM-5. Del resto i matrimoni di interesse hanno le loro regole: trascinarsi nella routine senza pensare, senza chiedersi il prezzo che si paga per sé e per gli altri. Anche gli psichiatri e/o alcuni psicologi psicoterapeuti non si chiedono il perché del disastro, nemmeno quando riguarda bambini, futuri adulti con la vita compromessa.

Questa è la situazione in Italia, documentata della giornalista Elisabetta Ambrosi: “secondo i dati ufficiali dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco: tra il 1999 e il 2013 più 129% per gli antidepressivi, più 104% per i sedativi, più 65% per gli antipsicotici e più 144% per gli stimolanti” (3)

Ma l’allarme riguarda tutto il pianeta, Mad in Italy, (4) fornisce dati aggiornati e fonti scientificamente attendibili.

È noto che il problema dell’uso scorretto o dell’abuso di farmaci è presente e segnalato dagli stessi Medici di diversa specializzazione. È allarme ad esempio per le conseguenze dell’abuso di antibiotici che crea batteri resistenti. Ma lo stesso principio di cautela curiosamente non viene ottemperato per le sostanze psicotrope.

Dunque il quesito finale che la lettera di questo padre solleva e pone ai vari professionisti del settore è: siamo scienziati o siamo piazzisti?

 

Note sull’autrice:

Miriam Gandolfi, psicologa psicoterapeuta. Responsabile scientifico di Officina del Pensiero di Bolzano e Trento. Libera professionista, collabora con varie istituzioni pubbliche e private per la formazione e la ricerca. È cofondatrice della Onlus La faretra: lasciar volare i bambini. Ambito elettivo di intervento Età Evolutiva. Il suo lavoro scientifico, oltre che in numerosi articoli, è presentato in Manuale di tessitura del cambiamento. Un approccio connessionista alla psicoterapia. Giovanni Fioriti, Roma, 2015.

Bibliografia:

(1) Allen Francis. Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie. Bollati Boringhieri, 2013

(2) American Psychiatric Association. DSM-5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore

(3) Elisabetta Ambrosi. A ciascuno la sua droga. Un italiano su cinque assume psicofarmaci. Millenium, Nr. 13/2018

(4) Mad in Italy    sito web      https://mad-in-italy.com/

Facebook     https://www.facebook.com/maditalymad/

 

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Si laurea in Psicologia nel luglio 1976 presso l'Università di Padova e da subito di occupa di temi di integrazione e contrasto alle istituzioni segreganti, ambito che resterà sempre di suo maggior interesse. Infatti nel settembre 1976 accetta di lavorare per il neocostituito Centro Spastici di Bolzano che dopo alcuni anni diventerà il Servizio Provinciale Specialistico per la Riabilitazione dei Neurolesi e Motulesi, occupandosi del superamento delle scuole speciali e degli istituti per adulti incluse le strutture manicomiali. Completa la sua formazione presso il reparto di psicosomatica della Clinica Pediatra dell'Universita di Innsbruck ( 1977) dove si avvicina all'approccio sistemico alla malattia mentale, noto poi come Milan Approch. Proseguirà e concluderà la sua formazione in questo indirizzo a Milano, nel periodo 1980- 1985 divenendo, nel momento della sua fondazione, membro e didatta della Società Italiana di Ricerca e Terapia Sistemica (S.I.R.T.S.). Dal 1999 al 2018 è docente presso l' Istituto Europeo di Terapia Sistemo-relazionale di Milano.( EIST riconosciuta MIUR nel 2001). Lascia il Servizio pubblico nel 1992 mantenendo attività di formazione e supervisione per vari servizi socio-sanitari pubblici e docenze a contratto universitarie. Dal 2020 è docente a contratto presso l'Universita di Bergamo per il corso di Alta Formazione sui Disturbi Specifici dell'Apprendimento. Dal 1992 è co-titolare del Centro di Psicologia della Comunicazione e dell'Officina del Pensiero ( Bolzano e Trento) dove svolge e coordina attività di ricerca in particolare nell'ambito di autismo, DSA e ADHD , temi su cui ha prodotto pubblicazioni. Si è sempre impegnata anche per valorizzare la categoria professionale degli Psicologi assumendo la carica di Segretario provinciale del sindacato degli psicologi prima della costituzione dell'Ordine Professionale (1989) è poi quella di primo presidente dell'Odine Provinciale Provincia Autonoma di Bolzano. Dr. Miriam Gandolfi Psicologa psicoterapeuta Bolzano/Trento www.officinadelpensiero.eu 0471/261719

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