Il Caso di Chiaravalle: un “TSO Volontario”

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Marcello Maviglia

 

Introduzione

Si discute molto di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e di contenzione sia sui “social” italiani che su quelli di altri paesi. Per TSO, in pratica, si intende una serie di “interventi sanitari” che possono essere applicati in caso di estrema necessità ed urgenza quando l’individuo bisognoso di assistenza, la rifiuta. Per essere condotto, il TSO necessita del “nulla osta” del sindaco, che si aggiunge al certificato di due medici (di cui almeno uno appartiene all’Asl di competenza territoriale). Le osservazioni e le critiche sulla legittimità, i potenziali benefici e conseguenze del trattamento involontario sono simili in quasi tutti i paesi del mondo, pur con le dovute differenze ambientali e culturali. Questo pezzo, ispirato dall’articolo contenuto nel link, mostra alcune delle dinamiche che conducono ad un episodio di TSO, apparentemente “pacifico”, un “TSO volontario” ma che, a mio parere, viola i diritti del signore che lo ha subito e quindi fornisce degli spunti interessanti per ulteriori riflessioni.

 

Il protagonista è un signore di 65 anni, il quale da un po’ di tempo viveva letteralmente nel suo veicolo, parcheggiato in una strada di Chiaravalle, un comune in provincia di Ancona. Chiaravalle è un posto dove tutti si conoscono e in cui la salute ed il benessere comune sono ancora parte della coscienza civica della popolazione, come del resto di tanti comuni italiani, che oppongono all’incessante incalzare della cultura della globalizzazione, i valori delle culture locali, basate su un senso di solidarietà reciproca. Ma è proprio in questo contesto di coesione sociale che l’episodio di violazione dei diritti individuali riguardo la scelta o il rifiuto dell’intervento terapeutico, si è sviluppato. Come descritto nell’articolo, il protagonista della storia alloggiava da un po’ di tempo nella sua auto, rifiutando l’assistenza e gli aiuti di conoscenti e amici. Questa sua scelta di vita si era verificata, ma questa è una speculazione, come conseguenza di una relazione sentimentale problematica e, come sembra, conclusasi amaramente. L’uomo viveva così, alla meglio, accettando qualche piccolo aiuto finanziario da amici e concittadini, pacificamente, senza dimostrare comportamenti potenzialmente rischiosi verso se stesso o altri. Come si dice, “si faceva i fatti sui”.

Tuttavia, nell’articolo il giornalista, sottolineando la preoccupazione della gente del luogo riguardo la necessità di un intervento sanitario, afferma che “il sessantacinquenne non avrebbe potuto sostenere ancora per molto tempo quel tipo di vita”. In realtà, l’articolo non fornisce alcun dato concreto circa una sua presunta precarietà sia fisica che mentale tale da giustificare un intervento di TSO. E cosi, in questo clima di genuino supporto locale, si è inserita l’ordinanza del sindaco di Chiaravalle, che “ha firmato l’ordinanza per sottoporre l’uomo ad un trattamento sanitario obbligatorio”.

A questo punto la vicenda prende una svolta il cui significato non è stato ben evidenziato nell’articolo del giornalista. A seguito dell’ordinanza, dopo che si erano mobilitati i vigili urbani per eseguire le fasi iniziali del TSO, l’uomo inaspettatamente cambia idea e non “oppone più resistenza”; viene così, pacificamente, trasportato all’ospedale a bordo di un’autoambulanza. Ci tengo a sottolineare questo passaggio della storia, poiché è doveroso osservare che la mancanza di coercizione fisica, nel caso, non esclude la possibilità di coercizione psicologica. Infatti, è probabile che si sia attivato proprio un meccanismo di questo tipo, che seppure “a fin di bene”, in realtà, non gli lasciava via di scelta. E quindi, verosimilmente, si è verificato quello che definirei un “TSO volontario”, in cui la comunità e le autorità, insieme, hanno “benignamente” leso i diritti individuali, senza il verificarsi di una contenzione fisica e psicologica nel senso tecnico del termine. Capisco che su questo punto ci possano essere delle obiezioni ma, vado a ripetere che, in questo caso, non c’è chiara evidenza per la necessità di un ricovero involontario.

Tuttavia, comprendo anche che non siano in pochi a pensare che l’aiuto della comunità e delle autorità di Chiaravalle sia legittimo in quanto motivato da un senso universale di umanità, codificato anche nel principio bioetico di Beneficenza, secondo cui è obbligatorio prendere tutti i provvedimenti ritenuti necessari per la tutela della salute e del benessere degli individui. Ma, rimanendo nell’ambito dell’etica, il “far del bene” non è sempre cosa semplice, poiché le buone intenzioni non sempre si traducono in benefici tangibili, anzi possono a volte arrecare dei danni notevoli. Per esempio, quando si cerca di aiutare il prossimo, bisognerebbe fare attenzione a non ledere la libertà di scelta individuale, chiaramente espressa in un altro principio essenziale della bioetica, quello dell’Autonomia, secondo cui l’individuo ha il diritto inviolabile di rifiutare gli interventi proposti dagli operatori sanitari ed altri coinvolti nell’assisterlo. Ma non finisce qui.

Ci sarebbero altre considerazioni pertinenti al caso, fondate su due altri principi di bioetica. Uno, quello della Non Maleficenza che, in sostanza, sostiene che si debba evitare di danneggiare l’individuo ad ogni costo; l’altro quello di Giustizia, secondo cui le risorse sanitarie debbono essere distribuite in modo equo e responsabile. Anche questi due principi hanno rilevanza riguardo al “caso di Chiaravalle”. Il primo perché il danno è riscontrabile almeno nella privazione della libertà individuale e nelle potenziali conseguenze che comporta in senso lato, inclusa quella di essere stigmatizzato come “malato di mente” e di “soggetto pericoloso” o perlomeno di “diverso”. L’altro è applicabile, a mio avviso, in quanto, in uno stato di precarietà di risorse del sistema sanitario, un trattamento forzato non necessario, intacca e diminuisce potenzialmente le risorse a disposizione per coloro che ne hanno veramente bisogno.

Aggiungo che questa ultima ipotesi dovrebbe essere considerata da noi operatori sanitari ogni qualvolta si sviluppa un piano di trattamento per gli utenti. In realtà, il principio di Giustizia è violato non infrequentemente in quasi tutti i paesi, per cui al problema della carenza di risorse, si aggiunge spesso anche quello di una gestione scorretta ed inappropriata delle stesse.

In sostanza, ritengo che queste considerazioni e principi siano molto pertinenti al “TSO volontario” di Chiaravalle. Ma purtroppo, come trapela dall’articolo, non sono stati presi in considerazione dalle autorità e, a quanto sembra, almeno da buona parte della cittadinanza. Il tutto, purtroppo, contribuisce all’idea erronea che sia legittimo decidere per coloro che mostrano comportamenti al di fuori della norma, anche se oggettivamente non dimostrano segni evidenti di incompetenza mentale, che necessitino di interventi forzati.

Ma c’è anche da osservare che l’episodio di TSO di Chiaravalle e simili, che vengono ormai quasi quotidianamente riportati dai media, si svolgono in un contesto territoriale i cui dati mostrano notevoli differenze regionali. Per esempio, i dati del 2016 dimostrano che in Sicilia sono stati eseguiti quasi 30 TSO per 100.000 abitanti, rispetto ad una media nazionale del 16 per 100.000. Anche la Puglia, la Sardegna, la Calabria e l’Emilia-Romagna mostrano una percentuale superiore alla media. In realtà, un’analisi che confronta le cause responsabili per le differenze nel tasso di utilizzo del TSO a livello regionale è estremamente impegnativa in quanto gli eventi che conducono all’intervento sono complessi e includono diversi aspetti come la disponibilità di risorse, fattori ideologici, sociologici e culturali in relazione sia con tassi di utilizzo più alti che più bassi della media nazionale.

Queste statistiche, rafforzate da frequenti testimonianze su un utilizzo inappropriato del TSO, sollevano ovvie e pertinenti riflessioni sul sistema sanitario. Tuttavia, una valutazione condivisibile del sistema della salute mentale, rivela che ci sono ancora delle lacune molto problematiche riguardo la continuità del percorso terapeutico, che è spesso frammentario e non soddisfa i bisogni degli utenti e, soprattutto, non contribuisce alla qualità della vita. In questo contesto, i dati evidenziano in maniera chiara la spiccata prevalenza dei trattamenti farmacologici, dei ricoveri ospedalieri, dell’utilizzazione di strutture residenziali per trattamenti di lunga durata, del livello insufficiente dell’organico negli ambienti ospedalieri, dell’elevata variabilità all’accesso alle cure sanitarie e delle differenze della loro qualità tra le diverse regioni.

Queste carenze sono evidenziate nel rapporto del 2018 della SIEP (Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica) che fornisce dati molto utili per comprendere i problemi legati alla qualità dei servizi. Per citarne alcuni: il tasso di riammissioni non pianificate entro trenta giorni negli ospedali è a un livello complessivo del 17,7%; il “follow-up” per le cure psichiatriche ambulatoriali, entro quattordici giorni dopo la dimissione dall’ospedale, è del 40% circa.
Queste statistiche non sono molto rassicuranti, in quanto suggeriscono un’enfasi sul trattamento ambulatoriale e comunitario, come auspicato dal sostenitore e riformatore italiano per la salute mentale Dr. Basaglia, ideatore della legge 180, che mirava a creare un sistema di salute mentale centrato primariamente sul reinserimento dell’individuo nella comunità e in cui avrebbe assunto un ruolo centrale riguardo la scelta di un corso di “recovery” personale.

Nella stessa ottica, interventi basati sul modello del “recovery” che sottolineano l’importanza dell’”esperienza vissuta”, dei determinanti sociali della salute, degli aspetti culturali, tra cui la salute mentale degli immigrati che sono esposti a tragiche esperienze traumatiche, non sembrano trovare un posto sicuro nel sistema di salute mentale. Vale la pena sottolineare che il termine “recovery” si applica a quegli individui che hanno sperimentato il disagio emotivo e si sforzano di condurre un’esistenza significativa e gratificante in cui l’autonomia, la dignità e la qualità della vita giocano un ruolo essenziale. L’assistenza degli specialisti alla pari (peer specialists), individui con storia di disagio emotivo, che hanno acquisito le competenze per gestirlo e sono disposti ad assistere gli altri nel loro corso di “recovery”, sarebbe molto preziosa in questo senso. Ma questi hanno trovato un’applicazione esigua sul territorio, dove spiccano alcune iniziative innovative in diverse comunità in cui il ruolo dei peer specialists trova seria considerazione.

Un altro sviluppo positivo è il progetto in corso riguardante la modalità del “Dialogo Aperto” (originato in Finlandia), volto ad adattarlo alla realtà culturale e sociale del sistema sanitario italiano. Da tutto questo si deduce che la vicenda del protagonista della storia, e simili, non sono imputabili soltanto alla volontà di alcune persone, medici ed autorità di esercitare controllo sulla vita altrui. Questo aspetto potrebbe senza dubbio essere uno dei fattori. Ma la ragione alla radice dei tanti episodi di TSO è, in verità, riscontrabile nella mancanza di un vero e proprio sistema territoriale di salute mentale basato su principi di “recovery” e di assistenza psicosociale, che genererebbero un approccio più consistente con i bisogni reali dell’individuo in disagio emotivo. Se si riflette sulla dimostrata efficienza degli specialisti alla pari, si può speculare con cognizione di causa, che la loro assistenza avrebbe potuto aiutare a coinvolgere il signore di Chiaravalle in un percorso di riabilitazione psicosociale proprio mentre “viveva per la strada” e probabilmente ad evitare il “TSO volontario”.

A questo riguardo è necessaria una considerazione: mentre le proteste contro il TSO sembrano svolgersi ad un livello prettamente legale, con risultati finora esigui, una strada più praticabile e potenzialmente più efficace consisterebbe nel cambiare le relazioni e gli equilibri di potere tra il sistema sanitario e gli utenti nella quotidianità concreta del servizio sanitario, introducendo nel sistema la figura dello specialista per esperienza, che assiste l’utente nel corso del trattamento sanitario e soprattutto nella prevenzione di crisi che spesso portano ad episodi di ricovero volontario ed involontario. Il ruolo degli specialisti alla pari nel ristabilire un equilibrio nel rapporto tra operatore sanitario e utente è dimostrabile da molteplici testimonianze, articoli e studi sul soggetto. I loro interventi in difesa dell’utente, si traducono, non infrequentemente, in cambiamenti molto favorevoli sia da parte degli operatori sanitari che degli utenti e aiutano allo sviluppo di protocolli più rispettosi dei bisogni e della libertà individuale.

Sono cosciente delle differenze culturali e sociali tra i diversi paesi e continenti, e pertanto del fatto che ogni intervento sia clinico che psicosociale richieda un forte adattamento culturale. Ma questo non è un ostacolo insormontabile, dato che gli specialisti alla pari si stanno diffondendo in tutti i sistemi sanitari del mondo occidentale. Citerei, a questo proposito, Donald Hume, uno dei padri del movimento del “recovery”, il quale durante la sua recente intervista pubblicata su questo sito si è espresso sul soggetto nella seguente maniera: “In un mondo globalizzato, lo sviluppo di networks di specialisti alla pari incontra più o meno le stesse difficoltà in quasi tutti i paesi. Ma questo vale anche per le opportunità. Se consideriamo che il modello del “recovery” si sta diffondendo in tutto il mondo occidentale, non vedo perché l’Italia, con tutta la sua ricchezza sociale, debba costituire una eccezione”.

In sostanza, l’episodio di Chiaravalle, esaminato nel contesto del sistema della salute mentale, offre degli spunti di riflessione sulle cause dell’utilizzazione problematica del TSO. Senza contemplare rimedi e interventi concreti, efficaci e di costo non eccessivo, come l’introduzione della figura dell’esperto per esperienza per sopperire alla frammentarietà del sistema della salute mentale, i problemi attuali, riguardanti l’utilizzo del TSO, non troveranno facile soluzione.

 

Bibliografia

CHIARAVALLE / DA QUASI UN ANNO VIVEVA IN AUTO, IL SINDACO FIRMA PER IL TSO
 https://www.qdmnotizie.it/chiaravalle-da-quasi-un-anno-viveva-in-auto-il-sindaco-firma-per-il-tso/
Cose Da Pazzi https://estremeconseguenze.it/2018/12/17/cose-da-pazzi/

Principi della bioetica http://www.webethics.net/principidellabioetica

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Come posso prendermi cura della mia Salute Mentale – AIRInforma, http://informa.airicerca.org/it/2018/04/23/prendermi-cura-salute-mentale/

SIEP Salute Mentale in Italia La Mappa delle Disuguaglianze http://www.condicio.it/allegati/353/Salute_mentale_Italia_2_2018.PDF

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Peers; https://www.samhsa.gov/brss-tacs/recovery-support-tools/peers.

Luigi Basso, Ileana Boggian, Paola Carozza, Dario Lamonaca & Alessandro Svettini (2016) Recovery in Italy: An Update, International Journal of Mental Health, 45:1, 71-88, DOI: 10.1080/00207411.2016.1159891

Peer working. L’orientatore esperto in supporto fra pari in salute mentale;https://www.ausl.re.it/comunicazione/congressi/xiii-settimana-della-salute-mentale-20-settembre-1-ottobre-2018

Raffaella Pocobello; Marcello Macario; Giuseppe Tibaldi (2016); Open Dialogue UK Conference “Towards openness and democracy in mental health services. Open Dialogue and related approaches in the UK and internationally” 2nd February 2016 – Friends House, Euston, London

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Marcello Maviglia, psichiatra e specialista in tossicodipendenza, si interessa di problemi di salute mentale nel contesto dei determinanti della salute in generale e dei principi che facilitano il Recovery degli individui.

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