Il soggetto della validità delle diagnosi psichiatriche continua ad essere di attualità in quanto fondamentale per definire l’esperienza del disagio psicologico come vissuto dall’individuo e dal suo network di supporto. Con questo intendo sottolineare che è necessario capire e diffondere il significato reale e le limitazioni delle diagnosi dei disturbi mentali senza negare o sminuire l’esistenza del disagio emotivo, ma che non può essere riassunto in una semplice entità diagnostica, seguendo una linea di pensiero logico e scientifico. Infatti, concetti analoghi a quello appena espresso sono stati esternati da un numero non indifferente di specialisti, autori, esperti per esperienza ed individui “con esperienza di vita”.
Come già dimostrato, la validità delle diagnosi psichiatriche è stata spesso confutata per il fatto che queste non hanno un riscontro biologico accertato e che, come conseguenza, costruire un modello medico / biologico attorno ad esse non è scientificamente corretto. A questo proposito, vorrei precisare che questa critica non afferma categoricamente che non esistono cause biologiche del disagio emotivo, ma che non ce n’è chiara evidenza, per cui non è corretto parlare di un modello biologico in psichiatria. In realtà c’è più evidenza riguardo alle possibili cause socioculturali del disagio emotivo, inclusa la diffusissima esperienza del trauma, per cui sarebbe più razionale parlare di un modello socioculturale, che tenga bene in vista i determinanti sociali, sia della salute fisica che mentale.
Il recente studio dell’università di Liverpool, che vado ad illustrare brevemente, si inserisce in questo quadro critico della validità diagnostica in psichiatria tenendo, al tempo stesso, presente la realtà inconfutabile del disagio emotivo individuale.
Gli autori hanno analizzato i diversi capitoli del corrente Manuale Statistico Diagnostico (DSM-5) che riguardano lo spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici, disturbo bipolare e correlati, disturbi depressivi, disturbi d’ansia e traumi e disturbi legati allo stress. In sostanza, l’analisi ha rivelato che i criteri diagnostici dei differenti disturbi psichiatrici si sovrappongono ed accavallano in maniera consistente e non tengono, tra l’altro, in considerazione il ruolo del trauma nella genesi dei sintomi, soggetto su cui c’è effettivamente un’ampia letteratura, ma ancora negletta. Da queste osservazioni ne deriva la conclusione che le categorie diagnostiche offrono una certa flessibilità al clinico, ma non possono essere considerate come entità discrete, ovvero aventi una propria identità.
Il prof. Peter Kinderman, uno degli autori, è in realtà molto esplicito quando afferma che lo studio fornisce ulteriori prove del fatto che l’approccio diagnostico biomedico in psichiatria non è adatto allo scopo che si prefigge. Dichiara: “Le diagnosi frequentemente e acriticamente riportate come “malattie reali” sono infatti formulate sulla base di modelli internamente incoerenti, confusi e contraddittori e di criteri ampiamente arbitrari. Il sistema diagnostico presuppone erroneamente che la totalità del disagio emotivo derivi da disordini psichiatrici e si basa in gran parte su giudizi soggettivi su ciò che è normale”.
Questa impostazione ha in realtà un effetto riduttivo nell’interpretazione del disagio emotivo, come ad esempio l’opinione che l’esperienza del trauma sia collegata solo ad un numero ristretto di disturbi psichiatrici nonostante ci sia, come già osservato, una convincente letteratura al riguardo che articola con efficacia il ruolo del trauma in molte sindromi psichiatriche.
In aggiunta, questi schemi diagnostici finiscono per sottovalutare l’esperienza del disagio individuale in senso lato, che attraverso un approccio più sensibile ai bisogni individuali potrebbe invece essere preso in maggiore considerazione ed affrontato in un contesto più ampio e personalizzato.
Tra questi modelli va annoverato quello del “Recovery”, attuato tramite il supporto degli Esperti per Esperienza (Peers Specialists) che esalta, per l’appunto, il valore dell’esperienza individuale conferendone una narrativa personalizzata che non riguarda solo il contenimento dei sintomi, ma il miglioramento della qualità della vita.
Tuttavia, questo modello è ancora lontano dagli schemi del servizio sanitario italiano, come del resto di altri paesi. Inoltre, il processo d’integrazione del modello potrebbe potenzialmente restringere e limitare l’indipendenza degli Esperti per Esperienza se verranno ristretti ad un ruolo clinico tradizionale, basato appunto sul modello medico / biologico e non psicosociale.
In sostanza, questo nuovo studio si aggiunge alla già robusta letteratura riguardante le limitazioni implicite nelle diagnosi psichiatriche. Evidenziare queste lacune è doveroso per continuare il percorso verso un sistema di salute mentale in cui il disagio emotivo possa essere inquadrato in una dimensione più ampia che rifletta i bisogni individuali in contesto socioculturale così complesso come quello odierno.
Riferimenti bibliografici
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What’s Recovery? SAMHSA’s Working Definition. https://store.samhsa.gov/product/SAMHSA-s-Working-Definition-of-Recovery/PEP12-RECDEF
Peer working. L’orientatore esperto in supporto fra pari in salute mentale;
https://www.ausl.re.it/comunicazione/congressi/xiii-settimana-della-salute-mentale-20-settembre-1-ottobre-2018