Aiutare le persone profondamente disturbate

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Laura Guerra

In questo video, lo psichiatra americano Peter Breggin espone la sua visione dei problemi che affliggono le persone che attraversano un periodo di psicosi e il suo approccio per aiutarle. La sua visione non è condivisa dalla maggioranza degli psichiatri che segue il modello biologico dei disturbi psichici. Col presente video non si sta suggerendo in alcun modo di sospendere gli psicofarmaci, processo che deve essere intrapreso, se si desidera, sotto controllo medico e con una psicoterapia di accompagnamento.

Aiutare le persone profondamente disturbate

Traduzione del video di Peter Breggin: Helping Deeply Disturbed Persons

Salve, sono Peter Breggin, sono uno psichiatra e questo è il quarto video della serie “Semplici verità riguardo la psichiatria” e l’argomento di oggi riguarderà “Il paziente psicotico che viene etichettato schizofrenico e cosa lo potrebbe veramente aiutare”.

La prima delle 3 presentazioni di questa serie riguardava i limiti degli psicofarmaci e come essi siano dannosi per il cervello. Penso che sia ora di fare una pausa dall’argomento e vedere come possiamo aiutare alcune delle persone più sconvolte senza usare i farmaci. Successivamente, farò una presentazione su come aiutare la persona che è così depressa da essere sull’orlo del suicidio, per affrontare più direttamente l’argomento.

Ho cominciato in psichiatria quando avevo 18 anni ed ero appena uscito dal College di Harvard pensando di continuare e probabilmente laurearmi… beh, mi stavo laureando in Storia della Letteratura Americana e pensavo, forse, di diventare in futuro un professore.

Un mio amico mi aveva invitato a fare volontariato nell’Ospedale Statale della metropoli. Era il 1954 e noi andammo verso l’ospedale che a detta di alcuni, aveva tutta l’apparenza di una fortezza in cima alla collina fuori dalla città; quando entrammo nell’ospedale, la mia prima immediata impressione del tanfo, della fatiscenza, dei pazienti piegati su sé stessi e umiliati mi ricordò la descrizione che mio zio mi aveva dato sulla liberazione dei campi di sterminio alla fine della Seconda guerra mondiale. Ne rimasi profondamente toccato.

Io non so perché, ma sentii che se fossi stato in queste condizioni, a vivere così, confinato in questo modo, abusato, deprivato e solo nemmeno io sarei stato capace di mantenere la mia sanità (mentale, ndt).

Ogni qualvolta visitassi i pazienti, non ho mai avuto la sensazione che quello che era accaduto a loro non potesse accadere a me; ma avevo la sensazione di essere nelle mani della provvidenza, che questo potesse accadere a chiunque, che la vita potesse distruggere emotivamente chiunque e questa era la mia sensazione “di ciò”. E certamente, pensai a quei tempi, all’età di 18 anni, che io non ero invulnerabile.

Beh, alla fine ho finito per lasciare questo lavoro e ho persino scritto un libro a riguardo, il mio primo libro, anche per esprimere delle considerazioni sul Servizio di Salute Mentale, ricevendo critiche del tipo “è semplicemente un giovane ragazzo che vuole dire la sua nel campo della salute mentale”. Così andai dal soprintendente e dissi chiaramente “Ci sono una dozzina di persone che vorrebbero fare di più che semplicemente visitare i pazienti ed assisterli durante le gite, le pulizie dei reparti, nell’organizzare festini e cose simili; noi pensiamo che sarebbe molto utile se ad ognuno di noi venisse affidato un paziente che visiteremo ogni settimana durante l’anno scolastico, sotto la supervisione del nostro bravissimo assistente sociale che è disposto ad aiutarci per un paio d’ore alla settimana.

Il principale disse che: “È una proposta interessante perché è un po’ come essere a scuola, suppongo, forse in una delle situazioni peggiori…” Il soprintendente dell’ospedale non era in realtà arrabbiato con me riguardo alla proposta; infatti, pur capendo che avremmo in futuro portato l’iniziativa altrove, riconobbe che l’idea sarebbe stata una buona pubblicità per l’ospedale.

Quindi diede ad ognuno di noi, più o meno 12 da quanto ricordo, un paziente a testa con cui potevamo lavorare: pensavano che i pazienti fossero così messi male che non avremmo potuto arrecare loro alcun danno e che avevano la prospettiva di passare tutto il resto della loro vita dentro l’ospedale.

E io descrissi questa “scena” dell’ospedale e i suoi risultati nel capitolo di apertura di Toxic Psychiatry. In realtà aiutammo a far uscire tutti i pazienti dall’ospedale all’infuori di tre. E solo 2 o 3 di loro tornarono indietro.

Così imparai che i trattamenti psichiatrici potevano fare più male che bene; nel caso dell’ospedale statale, orribilmente più male che bene e che la soluzione per aiutare anche l’essere umano più sconvolto dal disagio emotivo e nelle peggiori condizioni possibili consisteva nel valorizzare le relazioni sociali.

E ancora non so dirvi esattamente perché, ma sin dall’inizio mi sembrò come se tutto ruotasse intorno all’amore e all’affetto che ci manifestiamo l’un con l’altro.

Così, indietro negli anni ’50 stavo già scrivendo sull’amore come guarigione, non avendo ancora letto le pubblicazioni più importanti sul soggetto.

E questo era il mio approccio quando decisi di diventare psichiatra. Ma la psichiatria stava cambiando, perché nello stesso periodo gli psicofarmaci fecero il loro ingresso, come ad es. esempio laTorazina, il primo psicofarmaco, pesantemente lobotomizzante. La psichiatria si mosse così fortemente nella direzione degli psicofarmaci che non lasciava quasi nessuno spazio già agli inizi della mia professione agli aspetti sociali e psicologici.

Dovetti riconoscere così, che mentre la psichiatria stava andando in una direzione, io andavo nella direzione opposta, interessandomi appunto degli aspetti psicologici e sociali ed opponendomi alla psicofarmacologia.

Ora diamo un’occhiata al tipo più grave di problema della persona che si destabilizza veramente.

Facciamo l’esempio di una ragazza di 16 anni che bruscamente, di solito dopo un periodo di timidezza, con un temperamento ritirato, distaccato che la fa sembrare un po’ diversa dagli altri ragazzi, comincia ad avere allucinazioni, comincia a sentire le voci che la perseguitano e che la incolpano di qualcosa.

La ragazza comincia a pensare di essere molto speciale e in qualche modo al centro di una grande quantità di attività da parte di altre persone che stanno forse cospirando contro di lei.

Pensa che la madre e il padre stiano lavorando per la CIA o per qualche altra organizzazione contro di lei.

In qualche momento potrebbe pensare di aver visto per un minuto che suo padre avesse una coda o che sua madre si presentasse come un diavolo con le corna e si spaventa.

Bene, quello che le sta succedendo non è così complicato come può sembrare.

Quello che sta succedendo è che i legami sociali di questa persona si stanno dissolvendo.

Quando le persone funzionano normalmente sono molto creative, possono fare una gran varietà di cose e hanno un aspetto davvero diverso le une dalle altre, ma quando le persone vanno in crisi mostrano un denominatore comune e i comportamenti di queste persone iniziano ad apparire più simili tra loro.

Così le persone che diventano psicotiche hanno allucinazioni o illusioni, i loro pensieri possono essere molto strani e non avere alcun senso, si sentono impotenti e di solito finiscono con una diagnosi di schizofrenia.

Io non uso quelle diagnosi, ma di solito sono quelle persone che erano timide e riservate e si può vedere in loro un processo di cambiamento.

Nel processo queste persone perdono la fiducia.

Ora, dove possono andare quando sono così spaventate, provano tanta vergogna di se stesse e sono così spaventate che non credono che qualcuno possa prendersi cura di loro?

Non credono che qualcuno potrebbe fidarsi di loro e loro non si fidano di nessuno, dove possono andare?

Bene, se sei il tipo di persona creativa e fantasiosa che sta per essere etichettata schizofrenica stai andando verso ciò che metaforicamente può essere definita una poesia spezzata, letteralmente verso un incubo.

Questi incubi e questo tipo di esperienze raramente sono confortanti. La crisi non è confortante.

Ma qual’è l’inizio del recupero per queste persone?

Non è molto complicato e consiste nella costruzione di un rapporto di fiducia con qualcuno.

Nella speranza che i genitori siano responsabili e siano disposti a partecipare al processo di guarigione (recovery), la guarigione del tessuto sociale lacerato della famiglia è la risposta.

Questa è la risposta, anche senza preoccuparsi nemmeno sul perché una persona sia diventata molto disturbata mentre un’altra no o quanto sia la madre da incolpare o se la colpa sia dei genitori o se la colpa sia dei legami sociali compromessi.

Senza preoccuparci di ciò, sappiamo cosa guarisce e la famiglia guarisce, una relazione di psicoterapia accurata può guarire.

Sorprendentemente uno dei momenti più incredibilmente efficaci nella psicoterapia è la prima sessione nella quale con una giovane persona che non sia pesantemente sedata o meglio non sedata per niente, che sia appena entrata in crisi e che sia molto disturbata, ti siedi tranquillamente e la rassicuri.

Io comincio dicendole che è al sicuro nel dirmi tutto quello che vuole, perché non ho mai mandato le persone che lo fanno in ospedale contro la loro volontà e le dico che ho sentito che c’è qualcosa che la minaccia e che potrebbe tenerla in ostaggio.

Le dico ciò che non faccio e cioè che io non dò farmaci quando le persone hanno grossi disturbi emotivi.

Quello che intendo dire è che può dirmi la cosa più spaventosa possibile, ma non ho intenzione di darle uno psicofarmaco, quindi le spiego che possiamo anche solo parlare e io posso vedere alcune delle sue che paure che svaniscono, quando la persona comincia a pensare che io sono davvero interessato ai suoi sentimenti e voglio creare uno spazio sicuro con lei.

Quando vede che voglio creare uno spazio sicuro di cura dove diffondo quasi un’aura di guarigione, un’aura di cura e un’aura di empatia è perché in realtà mi sento veramente di farlo, altrimenti non funziona.

Credetemi in quelle condizioni vedrete che la persona torna dal suo stato di profonda follia in un tempo relativamente breve.

Lo si può vedere nel giro di pochi minuti ed è anche possibile vedere che nel giro di mezz’ora o un’ora la persona non gira più sospettosamente la testa come e ascoltasse qualcosa o qualcuno, non guarda più preoccupata fuori dalla finestra o non fissa più i suoi piedi.

La persona si relaziona a voi e se voi vi fermate e le chiedete se sente ancora quelle cose, lei potrebbe dire di no.

Ciò non significa che nella sua vita sia tutto superato e diventi rose e fiori dopo, ma si può vedere che questo processo di ritorno accade rapidamente.

Ora se la mamma e il papà e magari anche la nonna o qualcun altro della famiglia o un amico sono in sala d’attesa, li chiami tutti insieme per parlare di come li vuoi aiutare a migliorare le relazioni nella loro famiglia, senza cercare di attribuire colpe, ma andando a parlare di come si relazionano tra loro in un modo amorevole e supportivo.

Uso il concetto di “amore” pur sapendo che la maggior parte delle persone che vanno dallo psichiatra per 10 anni non lo sentono mai, ma penso che sia la parola chiave per instaurare rapporti amorevoli e pieni di supporto e forse di un inizio di rispetto reciproco.

Cerchiamo di provare un approccio diverso e se la famiglia, i genitori sono disposti a collaborare per aiutare la persona, nel giro di qualche settimana lo si riesce a fare.

Non sono necessari mesi o anni, si può aiutare qualcuno che è entrato in crisi in estate a tornare a scuola in autunno.

Queste non sono informazioni nuove, questo non è un “grande terapeuta” in azione o cose del genere, infatti, un buon terapeuta vuole che la gente esca dall’ufficio sentendosi bene e per diventare un buon terapeuta si deve rinunciare a sentirsi grande.

Tutto questo è stato fatto molte volte nel corso dei secoli scorsi.

Nel 1800 e alla fine del 1700, ad esempio, c’era la cosiddetta “Terapia morale” dove in strutture di solito gestite in famiglia dai Quaccheri, in Inghilterra, trattavano le persone più disturbate con gentilezza e cura secondo istruzioni dettagliate su come gli assistenti dovevano essere istruiti, essere rispettosi e premurosi e non reagire in modo esagerato, con lo scopo di mantenere le persone lontane da medici e dai loro trattamenti tossici.

Si può dire che la percentuale di persone che recuperavano era almeno come quella attuale e le persone non subivano tutte queste orribili reazioni ai farmaci come i terribili disturbi neurologici e l’accorciamento della durata della vita, la demenza che i farmaci che vengono utilizzati per trattare queste persone sono in grado di produrre.

Poi in questo paese (USA) lo psichiatra Loren Mosher ha creato la cosiddetta Soteria House.

E’ possibile cercare su Google la Terapia morale, così come è possibile cercare Soteria House.

Lo si può leggere anche sul mio libro Brain Disabling Treatments in Psychiatry che contiene una sezione che riguarda questo argomento e anche in Toxic Psychiatry dove c’è una sezione che parla di Soteria House.

Loren Mosher ha fondato Soteria House nella quale un gruppo di persone potevano vivere in una casa residenziale gestita da operatori sociali, che non fossero psichiatri, e dove tutte le persone che aiutavano non erano scelte per le loro credenziali, ma per la loro capacità di prendersi cura degli altri e per la loro delicatezza, evitando la coercizione.

Mosher ha poi confrontato i risultati ottenuti con questo gruppo con quelli di un gruppo di persone che venivano mandate all’ospedale psichiatrico locale, in modo casuale, come controllo, dimostrando che le persone senza farmaci di Soteria House stavano meglio di quelle in trattamento.

Il sistema psichiatrico rispose mandando via Loren Mosher che era il capo del ramo psichiatrico della ricerca sulla schizofrenia al NIMH (National Institute of Mental Health) quando fece questi studi e poi lo stato della California, alla fine, dopo qualche anno chiuse Soteria House, ma senza impedire che libri e articoli venissero scritti sull’argomento.

La ragione per cui sono stato veramente critico verso i farmaci nelle mie prime presentazioni dipende dal fatto che c’erano ottime soluzioni per aiutare le persone ma andavano contro le aziende farmaceutiche e i programmi governativi della medicina ufficiale.

Abbiamo bisogno che il pubblico chieda queste cose e sia esigente verso di esse.

C’è un altro buon programma che è possibile cercare su Google e si chiama Dialogo Aperto (Open Dialogue).

Il Dialogo Aperto è un programma finlandese, nella Comunità della Lapponia.

In quel programma, quando la persona entra in crisi, una squadra va a casa sua e ha un dialogo aperto, gli operatori parlano tra loro, parlano con la famiglia, parlano con il paziente.

Hanno un modo di dire che è “la schizofrenia esiste nello spazio tra i membri della famiglia” e sono così efficaci che raramente usano gli psicofarmaci e ancora più raramente utilizzano i pesanti farmaci antipsicotici.

Sono così efficaci che la percentuale dei cosiddetti schizofrenici è scesa quasi a zero, poiché le persone vengono aiutate da questi interventi pieni di empatia e orientati verso la famiglia.

Noi non siamo ignoranti sul come aiutare le persone, non siamo ignoranti sul come aiutare le persone più disturbate. Io lo facevo già in gioventù. Terapeuti nel mondo lo stanno ancora facendo.

Abbiamo progetti in tutto il mondo, ma abbiamo bisogno di voi, abbiamo bisogno che le persone dicano che hanno bisogno di avere un luogo sicuro, di serenità ed empatia quando si trovano in preda alla disperazione.

Grazie

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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