Teoria degli squilibri chimici del cervello, cronicizzazione dei disturbi mentali e recovery

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Laura Guerra

I disturbi psichici non sono determinati da uno squilibrio chimico del cervello, mentre questo si crea in seguito all’uso degli psicofarmaci. Gli psicofarmaci possono esseri efficaci a breve termine, mentre il trattamento a lungo termine induce dipendenza e tolleranza ed ha come conseguenza la cronicizzazione dei disturbi. La ripresa (recovery) è facilitata dalla sospensione degli psicofarmaci.

La teoria degli squilibri chimici e il modello bio-medico

Le persone che soffrono di depressione si sentono spesso dire che il loro cervello produce poca serotonina, mentre le persone psicotiche che produce troppa dopamina, al contrario dei bambini con diagnosi di ADHD che ne produce troppo poca e così via.

La teoria degli squilibri chimici che caratterizza il cosiddetto modello bio-medico nei disturbi mentali, proposta in origine da Schildkrawt (1), è stata successivamente promossa e abbracciata dall’APA (Associazione Psichiatrica Americana) e dalle case farmaceutiche.

Come spiega David Healy nel libro The Creation of Psycopharmacology, la teoria è stata accolta con grande favore dagli psichiatri perché “preparava la scena” al loro “diventare dei bravi medici”. Gli internisti avevano a disposizione gli antibiotici e, in questo modo, anche gli psichiatri avrebbero avuto a disposizione le pillole per curare i disturbi psichici che venivano presentati come malattie del cervello (2).

Gli psichiatri, infatti, grazie alla teoria degli squilibri chimici potevano dire che i disturbi nervosi hanno una causa organica e che lo psicofarmaco ha la funzione di ripristinare l’equilibrio; in questo modo la teoria era strumentale anche per gli interessi delle case farmaceutiche perché avrebbe incentivato la vendita degli psicofarmaci.

Nonostante non vi siano evidenze scientifiche che la avvalorino e che gli squilibri chimici non siano mai stati dimostrati (3), tale teoria viene ancora promossa e presa per buona dalla stragrande maggioranza del pubblico.

Meccanismi biochimici alla base dello squilibrio indotto dagli psicofarmaci

Quello che succede, in realtà, è l’esatto contrario, cioè in un sistema in equilibrio, nonostante la presenza di un disturbo psichico, l’uso degli psicofarmaci crea uno squilibrio chimico (4). È noto, infatti, che per i meccanismi di mantenimento dell’omeostasi il cervello si oppone alle perturbazioni che arrivano dall’esterno (5). Così, quando vengono introdotte sostanze che modificano la concentrazione di un dato neurotrasmettitore, il cervello mette in atto meccanismi per mantenere inalterato il segnale nervoso: modifica il numero dei recettori e i sistemi di rilascio e riassorbimento di quel dato neurotrasmettitore.

Ad es., un antidepressivo SSRI che blocca il riassorbimento della serotonina, ne provoca un aumento nel sistema nervoso nel giro di un paio di settimane.

Tuttavia, questo accumulo che deriva da processi biochimici, di cui non riporto gli elementi più tecnici, è soltanto temporaneo e instabile, in quanto segue un andamento ad onda che comporta un aumento iniziale della serotonina a cui segue una sua diminuzione.

In sostanza, il cervello stesso, si oppone alla perturbazione provocata dal farmaco diminuendo il rilascio di serotonina da parte del neurone presinaptico (6-7).

Un altro esempio di induzione di uno squilibrio chimico è l’effetto prodotto dall’uso dei neurolettici o antipsicotici che agendo come antagonisti della dopamina, presunta responsabile dello stato psicotico, provocano fondamentalmente lo stesso fenomeno onda. Pertanto, il periodo iniziale di riduzione della dopamina viene seguito da un susseguente rialzo che diminuisce l’effetto del farmaco.

In pratica, partendo da un sistema nervoso in equilibrio, nonostante il disturbo psichico, dopo l’introduzione di uno psicofarmaco l’equilibrio iniziale viene alterato; il cervello mette in atto una serie di modificazioni compensatorie per opporsi all’azione del farmaco e mantenere inalterata la sua omeostasi.

Le modificazioni descritte si verificano per tutte le classi di psicofarmaci e, dal momento che il sistema nervoso è altamente integrato, l’alterazione di un sistema recettoriale si ripercuote anche su altri sistemi recettoriali (le alterazioni in una zona del cervello si diffondono anche in altre) e di conseguenza, a livello cerebrale e di funzionamento mentale, iniziano ad insorgere modificazioni più ampie. L’ampiezza dell’alterazione è determinata anche dal fatto che pochi farmaci (se non addirittura nessuno) sono assolutamente specifici per un recettore o un sottotipo recettoriale, infatti la maggior parte è dotata di una selettività relativa (8).

Le alterazioni hanno come conseguenza i fenomeni di tolleranza e dipendenza, dove la tolleranza è la perdita di risposta al farmaco ed è quindi richiesta una dose maggiore per produrre lo stesso effetto di partenza, mentre la dipendenza consiste nella necessità di assumere continuamente il farmaco per non incorrere in una crisi di astinenza (9-10).

Cronicizzazione dei disturbi mentali

L’alterazione dell’equilibrio chimico fa sì che il farmaco, dopo un certo periodo di tempo, non produca più l’effetto desiderato e, contemporaneamente, che l’assunzione non possa essere interrotta bruscamente senza creare quello che viene definito “effetto di rimbalzo” o rebound (11). L’effetto rebound è causato dal fatto che interrompendo bruscamente l’uso del farmaco, il cervello si trova in uno stato altamente alterato, con un numero di recettori superiore o inferiore rispetto al normale, a seconda dello psicofarmaco e con un’alterata quantità di neurotrasmettitore rilasciata.

Nel caso dell’antidepressivo, si troverà con un numero di recettori ridotto rispetto al normale e un rilascio di serotonina anch’esso ridotto. La via serotoninergica, cioè, funziona in modo molto diverso dal normale e l’interruzione brusca del farmaco causerà effetti da astinenza che possono anche essere dolorosi e a volte persino pericolosi per la vita, includendo in casi estremi anche ideazioni suicidarie e violenza (11).

Lo stesso discorso vale per gli antipsicotici. Dopo un uso prolungato del farmaco l’interruzione brusca può provocare gravi effetti di astinenza in quanto il sistema recettoriale si trova con un numero di recettori superiore al normale ed un rilascio di dopamina più abbondante del normale (12). L’interruzione brusca del farmaco fa sì che la sinapsi venga inondata da una grande quantità di dopamina. Dal momento che il controllo dei sintomi psicotici potrebbe essere dovuto all’inibizione della dopamina, ora il sistema viene potenziato all’opposto con molta più dopamina. Come dice Robert Whitaker “I neurolettici mettono un freno alla trasmissione della dopamina e, come reazione, il cervello preme l’acceleratore della dopamina (aumentando i recettori D2). Quando il farmaco viene sospeso bruscamente, è come se si smettesse di frenare, continuando a tenere premuto l’acceleratore” (13).

Per ovviare a questi inconvenienti, nella pratica psichiatrica, si ricorre spesso allo “switch” con altri psicofarmaci, cioè gli psicofarmaci in uso vengono tolti e sostituiti con altri psicofarmaci. Ma, dopo un certo periodo di tempo, si ripresenteranno anche per questi gli stessi inconvenienti dei precedenti che richiederanno un nuovo switch. Gli psicofarmaci, oltre all’effetto desiderato, possono provocare molti effetti avversi che, se non riconosciuti come tali, vengono erroneamente considerati come un peggioramento dello stato psichico dell’individuo e trattati di conseguenza con altre classi di psicofarmaci (10). Breggin descrive molti casi in cui, partendo da uno psicofarmaco, se ne aggiungono via via di nuovi fino ad arrivare a veri e propri cocktail, con un conseguente peggioramento psichico e la cronicizzazione dei disturbi mentali.

Recovery

Sono molti gli studi che indicano che il trattamento a lungo termine con gli psicofarmaci ha come conseguenza la cronicizzazione e il peggioramento dei sintomi psichici con progressiva perdita della stabilità emotiva e l’aumento del numero di ricadute (11, 13). Fenomeni, questi, che possono avere come conseguenza la perdita dell’autonomia dell’individuo.

D’altra parte, l’interruzione brusca dell’uso degli psicofarmaci, come detto, ha come conseguenza l’effetto di rimbalzo dovuto all’astinenza dal farmaco.

La conseguenza delle modificazioni dell’assetto neurobiologico, come spiega Robert Whitaker, si potrebbe sintetizzare dicendo che gli psicofarmaci sono efficaci a breve termine, ma aumentano la vulnerabilità alla psicosi a lungo termine e contribuiscono anche ad un aumento del tasso di riospedalizzazione nel periodo successivo al primo ricovero (13). Dall’analisi degli studi fatti sull’argomento, risulta, infatti, che il tasso di ricaduta è significativamente correlato alla dose di psicofarmaci assunti dal paziente: tanto maggiore è il dosaggio assunto, tanto più alta sarà la probabilità di ricaduta (14).

Un metodo sicuro che consente di recuperare e uscire dalla cronicizzazione consiste nella sospensione graduale degli psicofarmaci e nell’intraprendere una buona psicoterapia per risolvere i problemi che avevano fatto iniziare il trattamento farmacologico (11).

Dal momento che l’uso prolungato nel tempo degli psicofarmaci, come descritto sopra, induce uno squilibrio chimico, occorre che la sospensione avvenga molto lentamente, attraverso molti piccoli “step” o passaggi di riequilibrio, nei quali una piccola percentuale di farmaco viene tolta e la nuova concentrazione viene mantenuta per qualche settimana o più a lungo, prima di procedere alla successiva riduzione. Questo procedimento consente al sistema nervoso di riequilibrarsi gradualmente in quanto il ripristino del numero originario di recettori e la regolazione del rilascio dei neurotrasmettitori che era stato alterato dal farmaco richiede un certo tempo.

A questo proposito, Peter Breggin nel libro La sospensione degli psicofarmaci, un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie indica quello che definisce Metodo centrato sulla persona per la sospensione degli psicofarmaci, che si rivela utile nei casi particolarmente difficili di sospensione (11). In sostanza, utilizzando un metodo di sospensione lento e graduale il sistema nervoso può tornare al suo equilibrio inziale evitando l’effetto rebound, causato dall’astinenza dal farmaco.

BIBLIOGRAFIA

  1. Schildkraut JJ. (Nov 1965). The catecholamine hypothesis of affective disorders: a review of supporting evidence. Am J Psychiatry. 122(5), 509-22.
  2. David Healy, The Creation of Psychopharmacology, 2002(217), Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts.
  3. Pies R.W. (Jul 2011). Psychiatry’s New Brain-Mind and the Legend of the “Chemical Imbalance” Psychiatric Times.
  4. Moncrieff J. (May 2009). How do psychiatric drugs work? BMJ. 338, b1963.
  5. Hyman S.E. (Feb 1996). Initiation and adaptation: a paradigm for understanding psychotropic drug action. NCBI. 153(2), 151-62.
  6. Montigny C. (Dec. 1990). Modification of serotonergic neuron properties by long-term treatment with serotonin reuptake blockers. J Clin Psychiatry. 51, Suppl. B:4-8.
  7. Guzman F. (Sep 2013). Mechanism of Action of SSRIs Published in: Antidepressants, SSRIs. Psychopharmacology Institute
  8. Abimbola F. (Ott 2016) Interazioni farmaco-recettore. Manuale Msd
  9. Ostrow L. (Dec 2017). Discontinuing Psychiatric Medications: A Survey of Long-Term Users. Psychiatry Serv. 68(12):1232-1238.
  10. Moncrieff J. (Nov 2013). The Psychoactive Effects of Psychiatric Medication: The Elephant in the Room. J Psychoactive Drugs. 45(5): 409–415.
  11. Peter R. Breggin, La sospensone degli psicofarmaci – Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie. (2018), Giovanni Fioriti Editore. Tradotto da Laura Guerra
  12. Alan F. Schatzberg, Textbook of Psychopharmacology. (2003), The American Psychiatric Publishing.
  13. Robert Whitaker, Indagine su un’epidemia. (2013), Giovanni Fioriti Editore
  14. Prien RF. (Jan 1971). Discontinuation of chemotherapy for chronic schizophrenics. Hosp Community Psychiatry. 22(1):4-7.
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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Ha inoltre tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici". Recentemente, insieme a Marcello Maviglia e Miriam Gandolfi, ha pubblicato il libro "Sospendere gli psicofarmaci: Come e perché. Costruire un percorso personalizzato ed efficace.

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