Abusi nei reparti psichiatrici: perchè servono le telecamere e una riforma del TSO

0
314
Cristina Paderi

 

Abusi nei reparti psichiatrici: perchè servono le telecamere e una riforma del TSO

L’orribile caso di Padova, in cui un operatore socio-sanitario è stato condannato per aver abusato di una minorenne ricoverata in un reparto psichiatrico, è solo l’ennesima dimostrazione di quanto sia urgente garantire maggiore sicurezza e trasparenza nei reparti psichiatrici. Secondo le informazioni disponibili, l’OSS ha continuato a lavorare nella stessa struttura anche dopo l’emersione delle accuse, venendo semplicemente trasferito in un altro reparto*.

Questa vicenda non è un caso isolato. Gli abusi nei reparti psichiatrici esistono, ma spesso restano nell’ombra. Perché? Perché chi li subisce non viene creduto. Le donne, in particolare, devono affrontare un doppio ostacolo: da un lato, il radicato scetticismo sociale che tende a minimizzare o mettere in dubbio le denunce di violenza; dall’altro, se hanno una diagnosi psichiatrica, il pregiudizio che le vede come inattendibili, confuse, incapaci di distinguere la realtà dalla fantasia. Così, anche quando trovano la forza di denunciare violenze, soprusi o trattamenti disumani, le loro parole vengono troppo spesso ignorate o screditate.

Nel caso di Padova, la verità è emersa solo grazie alla madre della vittima, che ha dato credito ai racconti della figlia e ha avuto il coraggio di denunciare. Ma quante altre storie restano sepolte nel silenzio? Quanti abusi non vengono mai puniti perché le vittime non vengono credute?

L’associazione ‘Diritti alla Follia’ da tempo denuncia le condizioni in cui versano gli SPDC e propone una riforma concreta per la tutela degli utenti psichiatrici. Uno dei punti cardine della nostra proposta è l’installazione di telecamere di sicurezza nei reparti psichiatrici, nel rispetto della privacy ma con la garanzia di un controllo esterno indipendente.

Molte persone da noi intervistate sul tema delle telecamere – iscritti all’associazione, simpatizzanti, utenti, ex utenti e sopravvissuti alla psichiatria – si sono espresse favorevolmente. Secondo la stragrande maggioranza, l’ago della bilancia pende a favore del diritto alla sicurezza piuttosto che del diritto alla privacy.

Troppi utenti psichiatrici hanno vissuto esperienze di violenza e soprusi nei reparti, e la possibilità di avere un controllo visivo rappresenta per loro una garanzia di tutela, non una minaccia. La paura di essere esposti a trattamenti degradanti o coercitivi senza possibilità di dimostrare quanto accaduto pesa molto più del timore di essere ripresi da un sistema di videosorveglianza regolato e accessibile solo in caso di necessità giudiziaria o difensiva.

Le telecamere nei reparti psichiatrici:
✔ Fungerebbero da deterrente contro gli abusi, riducendo il rischio di violenze e maltrattamenti
✔ Garantirebbero la trasparenza, permettendo di verificare eventuali segnalazioni di abusi o comportamenti scorretti
✔ Proteggerebbero sia gli utenti che gli operatori, evitando false accuse e ricostruendo oggettivamente gli eventi in caso di segnalazioni
✔ Darebbero voce a chi oggi non viene creduto, offrendo prove concrete di ciò che accade nei reparti.

Inoltre, la proposta di legge di iniziativa popolare dell’associazione ‘Diritti alla Follia’prevede l’installazione di telecamere non solo per i trattamenti sanitari obbligatori (TSO), ma anche per le degenze volontarie, che spesso di volontario hanno poco o nulla. Questo perché, in molti casi, le degenze cosiddette volontarie sono frutto di pressioni o mancanza di alternative, rendendo gli utenti altrettanto vulnerabili agli abusi.

L’installazione delle telecamere e la riforma del TSO non risolverebbero da sole tutti i problemi degli SPDC, ma sarebbero primi, fondamentali passi verso un sistema maggiormente garantista, più trasparente e più rispettoso dei diritti umani.

Ecco i punti della proposta di riforma fondamentali per prevenire gli abusi nei ricoveri ospedalieri in ambito psichiatrico:

  1. Maggiori garanzie procedurali e tutele legali per le persone direttamente coinvolte
  • Nomina obbligatoria di un difensore d’ufficio o di fiducia, con indicazione del suo nome e contatti già nell’ordinanza sindacale. Attualmente, la normativa non prevede nemmeno l’obbligo di notificaal diretto interessato, lasciandolo privo di qualsiasi strumento di tutela immediata
    Informazione chiara e accessibile sui propri diritti: la persona deve essere informata in un linguaggio comprensibile sui mezzi per tutelarsi e impugnare il provvedimento
    • Possibilità di ricorrere senza formalità contro il TSO e successiva convalida, con il supporto del difensore
    • Obbligo per il Giudice Tutelare di esaminare eventuali memorie difensive e rispondere entro 24 ore
  1. Limitazione del potere discrezionale e maggiori controlli sul TSO
  • Necessità di due certificazioni psichiatriche indipendenti per disporre il TSO, entrambe redatte dopo una visita formale
    • Divieto assoluto di somministrare farmaci coattivamente prima della notifica dell’ordinanza sindacale
    • Limite massimo di 96 ore rinnovabili solo tre volteper il TSO
    • Possibilità per familiari, difensori e associazioni di tutela di accedere al reparto senza restrizioni su richiesta del diretto interessato
    • Accesso garantito agli atti per il diretto interessato, il difensore e le associazioni di tutela
  1. Stop a violenze e abusi durante la degenza
  • Divieto assoluto di contenzione meccanica e farmacologica
    • Obbligo di video-sorveglianzain tutte le degenze psichiatriche, con conservazione dei filmati per 6 mesi, visionabili solo su richiesta dell’autorità giudiziaria o in ambito difensivo
    • Strutture psichiatriche aperte, con condizioni analoghe agli altri reparti ospedalieri
    • Diritto inalienabile alla comunicazione: la persona deve poter ricevere visite e usare mezzi di comunicazione (telefono, internet) senza limitazioni arbitrarie
  1. Trasparenza e monitoraggio pubblico
  • Ogni TSO viene notificato immediatamente al Garante Nazionaledei diritti delle persone private della libertà personale e ristrette
    • Obbligo per il Garante di pubblicare annualmente un’anagrafedei reparti psichiatrici e i dati statistici sui TSO

A chi ci accusa di voler trasformare i reparti psichiatrici in carceri rispondiamo con chiarezza: sono proprio i diretti interessati a chiederlo!

Le persone che hanno vissuto il ricovero coatto – utenti, ex utenti, sopravvissuti alla psichiatria – ci dicono che la vera prigione è già il reparto psichiatrico così com’è oggi: un luogo chiuso, con porte bloccate, guardie giurate all’ingresso e nessuna possibilità di difendersi da abusi e soprusi.

La videosorveglianza non trasforma il reparto in un carcere, lo rende più sicuro.
Perché mai dovrebbero essere vietate proprio nei reparti dove si verificano più facilmente contenzioni, abusi e trattamenti degradanti?

Il punto centrale è: chi ha paura della trasparenza? Se un reparto è davvero un luogo di “cura”, perché temere che ciò che accade al suo interno venga documentato?

Il vero problema non è la loro presenza, ma l’idea che un luogo di “cura” possa essere gestito come una prigione senza alcun controllo esterno.

Sostieni la riforma del TSO di ‘Diritti alla Follia’

Per approfondire la proposta di legge di iniziativa popolare sulla riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) e conoscere tutti i dettagli, puoi consultare il testo e la relazione illustrativa al seguente link:

Riforma della procedura di applicazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio

👉 Firma la proposta di legge!
La raccolta firme è attiva e puoi sottoscriverla online tramite la piattaforma ufficiale del Ministero della Giustizia. Tutte le informazioni su come partecipare sono disponibili qui: https://bit.ly/4gadjYU

*https://ossnews24.it/oss-accusato-di-violenza-sessuale-su-paziente-psichiatrica-minorenne-a-padova-chiesta-condanna-a-6-anni-e-8-mesi/139280

 

SHARE
Previous articleChiaroscuro basagliano – La crisi della Psichiatria 
Next article“Spaccare” le catene e tornare a vivere – La storia di Graziano
Cristina Paderi è nata e vive in Sardegna. Nel 1990 consegue la qualifica di interprete e traduttrice, per le lingue inglese e francese, presso la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Firenze. Inizia a viaggiare da giovanissima. La passione per i viaggi la porta anche in Romania dove, nel 2005, entra in contatto con la drammatica realtà dei bambini di strada e di quelli abbandonati nelle istituzioni totali post-dittatura. Impara la lingua rumena da autodidatta e decide di organizzare in Sardegna alcune tappe dei tour dei "Ragazzi di Bucarest" coordinando l'ospitalità dei giovani rumeni durante i periodi estivi. Attivista con anni di esperienza nel sociale e nel volontariato, anche internazionale. Per anni ha fatto parte di collettivi e associazioni e dal 2013 è impegnata in tematiche collegate all'ambito psichiatrico, in particolare quello giuridico/legale. E’ autodidatta. Grazie al contributo di alcuni avvocati cagliaritani, nel 2017 organizza un seminario e insieme ad altri apre uno sportello gratuito di informazione e consulenza legale. Nello stesso anno entra in contatto con l'avvocato Michele Capano di Salerno in occasione della presentazione a Cagliari della Campagna, portata avanti dallo stesso, relativa alla ‘Proposta di riforma della normativa del trattamento sanitario obbligatorio in ambito psichiatrico’. Decide di approfondirne i contenuti e nel 2018 aderisce alla costituzione a Roma dell'associazione "Diritti alla follia" di cui è attualmente segretaria.