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Pubblichiamo questo secondo articolo della storia di Sonia. La prima parte dal titolo: Quando la diagnosi sa di varechina… e l’esperienza di voglia di vivere – Storia di Sonia può essere letta qui
Mi chiamo Sonia e ho deciso di lasciare questa testimonianza sia perché spero possa aiutare le persone che hanno problemi simili a quelli che ho avuto, sia perché spero che aiuti chi con sincerità e senza dare etichette, in ambito medico cerca di aiutare le persone che hanno queste manifestazioni.
Io ho affrontato tutto abbastanza da sola, ma magari in un futuro si guarderà a questi fenomeni in modo diverso, non solo come patologici, ma come mezzi per interpretare il malessere.
Per questo ho accettato di descrivere quello che ho capito nel periodo in cui avevo le allucinazioni.
Quello che ho capito nel periodo in cui avevo le allucinazioni – Storia di Sonia
Quando ho avuto quelle che si possono definire allucinazioni era durante il periodo in cui su di me aleggiava la diagnosi di Disturbo Bipolare fatta da una psichiatra di Firenze qualche anno prima.
Fui portata da questa psichiatra su consiglio del medico di famiglia, perché avevo dei periodi in cui alternavo a fasi in cui mi chiudevo in casa e stavo male, soffrivo senza capire il perché, altre fasi in cui invece mi sentivo più euforica, energica, con tanta voglia di fare, senza però aver mai fatto cose pericolose, spese sopra le mie possibilità, solo si alternavano le due fasi.
Non ho mai accettato in maniera acritica e succube questa diagnosi, qualcosa dentro di me diceva che il tutto in questa diagnosi non quadrava e che l’origine dei miei disturbi erano da ricercarsi nel rapporto doloroso e conflittuale che avevo con i miei genitori in famiglia.
Per alcuni periodi ho preso dei farmaci che la psichiatra mi aveva prescritto sperando di stare meglio, ma non ho mai creduto fino in fondo alla sua versione che diceva che il mio cervello funzionava male, continuando a cercare altre strade tra un periodo difficile e l’altro.
In tutta la mia storia ad un certo punto ho avuto anche delle allucinazioni, cioè vedevo e sentivo qualcosa che gli altri non vedevano e anche una parte di me sapeva che quelle cose non erano davvero lì anche se io le vedevo.
Io ho cercato di capire da sola perché mi venivano queste allucinazioni e nel tempo ho tratto alcune conclusioni.
Innanzi tutto quando mi sono venute stavo attraversando un periodo difficile col mio compagno e padre di mia figlia e anche sul lavoro.
Sul lavoro subivo una sorta di demansionamento e mi sentivo fuori posto perché non accettavo di falsificare le analisi sui farmaci come veniva talvolta richiesto dai miei responsabili (il lavoro era analista di controllo qualità in una multinazionale farmaceutica). Non avevo il coraggio di licenziarmi perché era un “posto fisso sicuro” ma mi sentivo sotto pressione, imprigionata in qualcosa che non rispettava i miei valori e non sapevo come uscirne. Per lavoro dovevo guidare ogni giorno circa due ore di autostrada e tra le ore di lavoro e il viaggio stavo fuori casa 10 ore al giorno.
Per cercare di conciliare vita lavorativa e gestione della figlia, partivo di casa presto la mattina alle 7 per avere il pomeriggio con la bambina.
Nella vita di coppia mi trovavo spesso sola a gestire mia figlia perché il padre per lavoro era spesso fuori casa in orario serale fino a dopo cena e io mi dovevo occupare di lei.
Questo creava una conflittualità nella coppia, che è poi sfociata in una mia crisi; tutte queste cose mi portavano un livello altissimo di stress e iniziavo a non dormire, ma non per qualche giorno, per settimane.
Le allucinazioni non si presentavano improvvisamente, prima iniziavo a fare dei sogni molto vividi, anche entusiasmanti, poi arrivavo ad un punto in cui non capivo se una cosa era un sogno o se era accaduta nella realtà e nella fase finale arrivavo alle allucinazioni.
I contenuti delle allucinazioni erano anche indicativi di quello di cui avevo paura o che desideravo.
Ad esempio sentivo che qualcuno mi spiava, mi controllava, addirittura una volta pensai che qualcuno mi avesse sparato al finestrino dell’auto.
Pensavo che ci fossero degli extraterrestri sulla mia testa.
Pensavo di starmi trasformando in una statua e che mi avrebbero portato ad un santuario e una volta trasformata in statua sarei diventata meta di pellegrinaggi.
Pensavo che mio padre facesse parte di una loggia massonica.
Benché il contenuto delle allucinazioni possa apparire strano, quello che ho capito è che in una situazione dove fondamentalmente io mi sentivo sola e senza via di uscita, il mio cervello trovava in questi stati immaginativi delle soluzioni momentanee per andare avanti. Quando l’ambiente reale mi stava deludendo, lasciandomi sola, anziché avere la forza di analizzare l’incapacità delle persone vicine di starmi davvero vicine in un momento di difficoltà, io trovavo in una sorta di fuga dalla realtà le risposte.
Una parte di me voleva diciamo scagionare e idealizzare sia i miei genitori, sia il mio compagno, sia i miei responsabili sul posto di lavoro e quindi trovavo in queste allucinazioni una specie di via di fuga dalla realtà, un rifugio.
Oppure le allucinazioni mi mostravano una realtà che vivevo interiormente, ma in maniera simbolica, con lo stesso linguaggio dei sogni, quindi mi dicevano che mio padre faceva parte di una loggia massonica per dirmi che io sentivo che era una persona della quale non potevo fidarmi oppure che qualcuno mi aveva sparato al finestrino per dirmi che non mi sentivo protetta nella mia situazione.
Questo l’ho capito negli anni, quando ho analizzato le mie paure e i miei sentimenti verso quello che mi accadeva e quando ho compreso prima le mie paure, le mie difficoltà e meditavo sulle soluzioni non ho più avuto le allucinazioni, come se non avessi più avuto bisogno di qualcosa che mi sbattesse in faccia una realtà che non volevo vedere, perché comunque mi sforzavo di vederla prima che la situazione degenerasse.
Ovviamente per le manifestazioni che avevo, la psichiatra mi dava farmaci e basta, farmaci che io poi appena avevo più volontà non prendevo.
A queste spiegazioni diciamo più creative sui contenuti delle allucinazioni ci sono arrivata negli anni. Mi ricordo che ad un certo punto realizzai che non avrei più avuto bisogno di avere allucinazioni perché mi sembrava di aver capito a cosa servivano e difatti non le ho più avute, come quando fai un sogno ricorrente e alla fine ti sembra di aver capito il significato e quel sogno non arriva più.
Nessuno mi ha mai spiegato che forse era uno stato di forte stress, senso di insicurezza, di mancanza di sonno per giorni, a causarmi questi fenomeni. Avevo solo l’etichetta del bipolarismo a cui grazie a non so quale parte sana di me, non ho mai creduto fino in fondo e forse mi sono salvata per questo.
Fatto sta che adesso allucinazioni non ne ho da anni e se le avessi ora, prima di rivolgermi ad un medico che mi dia farmaci, proverei a capire perché mi stanno arrivando.
Note bibliografiche:
Quando la diagnosi sa di varechina… e l’esperienza di voglia di vivere – Storia di Sonia