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Premessa
Gli antidepressivi, nei test clinici non dimostrano una grande superiorità rispetto a quella di un placebo, nella maggioranza dei casi. Soltanto una percentuale di individui che soffrono di depressione grave trova giovamento dall’uso di questi farmaci.
D’altra parte, l’uso a lungo termine, oltre a provocare molti effetti collaterali, potrebbe indurre la cronicizzazione della depressione, aumentando il numero delle ricadute, abbreviando il tempo tra una ricaduta e l’altra. Inoltre, per il fenomeno di assuefazione, quando si cerca di sospenderli si presentano i sintomi di astinenza di varia intensità e durata che fanno prolungare il trattamento.
Tenendo presente che questi psicofarmaci possono essere di aiuto a breve termine, occorre essere in grado di gestirne la sospensione in sicurezza, per lasciare spazio ad una buona psicoterapia o a interventi psicosociali mirati ad affrontare le cause della sofferenza psichica
Depressione e antidepressivi: cronicizzazione dei sintomi
Rober Whitaker nel libro Indagine su un’epidemia ripercorre le descrizioni della diagnosi di depressione nella storia, soffermandosi agli anni ’50 e ’60, epoca in cui gli psicofarmaci sono stati introdotti sul mercato, fino ai giorni nostri.
Negli anni ’60 e ’70, quando la diffusione degli psicofarmaci era ancora molto limitata, i medici del NIMH descrivevano la depressione come un evento raro, con un buon decorso a lungo termine, in cui gli episodi si risolvevano spontaneamente nel giro di pochi mesi. (1)
Nella maggior parte dei casi si verificava un unico episodio nel corso della vita, mentre solo una piccola frazione di persone ne aveva più di due. Dopo questi rari episodi di depressione le persone si riprendevano e riacquistavano le capacità lavorative, gli interessi e le relazioni sociali che avevano prima della crisi depressiva. (1)
Gli antidepressivi di prima generazione sono efficaci?
In alcuni studi, gli antidepressivi di prima generazione sono stati confrontati con un placebo, un composto privo di effetti, allo scopo di valutarne l’efficacia. In questi studi si riscontrava nei pazienti depressi un miglioramento significativo rispetto al placebo soltanto nei casi di depressione grave, ma non in tutti gli altri casi di depressione, per i quali non c’era una differenza significativa tra l’effetto dell’antidepressivo e del placebo. (2)
Quanto sono efficaci gli antidepressivi di seconda generazione?
Con il lancio sul mercato del Prozac, presentato dalla Eli Lilly come “la pillola della felicità” nel 1988, si è aperto il fiorente mercato degli antidepressivi di seconda generazione, gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina).
Gli antidepressivi, in poco tempo, sono diventati gli psicofarmaci più ampiamente prescritti nel mondo e milioni di persone ne fanno uso. Possono infatti essere prescritti oltre che per la depressione anche per molte altre condizioni, tra cui distimia, disturbo bipolare, disturbo schizoaffettivo, depressione post psicotica, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo di panico, fobia sociale, disturbi da abuso di sostanze, anoressia, bulimia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo da stress post-traumatico e sindromi da dolore cronico. (3)
Tuttavia, nonostante l’enorme pubblicità per il lancio, gli studi clinici non evidenziano una superiorità degli SSRI rispetto a quelli di prima generazione, i quali come detto, non risultano superiori al placebo nella maggioranza dei casi. (4)
Irving Kirsh, analizzando diversi antidepressivi (Fluoxetina, Venlafaxina, Nefazodone, Paroxetina) ha confermato che le differenze tra questi composti e il placebo non erano statisticamente significative, a parte per un piccolo campione con depressione grave. Kirsch concludeva la sua pubblicazione dicendo:
“Alla luce di questi dati, le prove scientifiche limitano la prescrizione degli antidepressivi solo ai casi di depressione grave, o a coloro che non abbiano tratto benefici da interventi alternativi”. (5)
Ma se i benefici a breve termine (i test clinici hanno una durata da poche settimane a qualche mese) non sono molto superiori a quelli di un placebo, cosa si può dire riguardo all’uso a lungo termine?
Antidepressivi a lungo termine – Più danni che benefici
La cronicizzazione dei sintomi
A metà degli anni ’90 si è evidenziato un nuovo e importante problema legato all’uso degli antidepressivi, che riguarda la cronicizzazione dei sintomi depressivi e l’aumento del numero di ricadute. Diversi studi hanno infatti evidenziato che l’esposizione a questi farmaci, aumenta il numero di episodi depressivi nel corso della vita e abbrevia l’intervallo tra un episodio depressivo e il successivo. (6)
Per effetto degli antidepressivi la depressione è passata dall’essere un evento di crisi raro e temporaneo, al diventare una condizione cronica, con frequenti ricadute nel corso della vita delle persone che ne fanno uso.
Baldessarini ha messo in luce la correlazione diretta tra il tempo di esposizione al farmaco e la probabilità di ricadute alla sua sospensione. In pratica, tanto più lunga è l’esposizione al farmaco, tanto più elevato è il tasso di ricaduta dopo la sospensione. (7)
Meccanismi alla base della cronicizzazione
Il meccanismo alla base del peggioramento indotto dagli antidepressivi, comune tra l’altro a tutte le classi di psicofarmaci, riguarda il principio che regola l’omeostasi nel sistema nervoso centrale. Il cervello per mantenere il suo equilibrio omeostatico si oppone alle alterazioni indotte dagli psicofarmaci e mette in atto una serie di meccanismi compensativi che saranno poi responsabili dei fenomeni di tolleranza e di assuefazione. Questo significa che si dovranno aumentare le dosi per avere l’effetto iniziale (tolleranza) e si presenteranno dei sintomi da sospensione e quindi una maggiore vulnerabilità alle ricadute (assuefazione). (8)
Dagli studi, come detto, appare evidente una relazione tra la durata del trattamento con antidepressivi e la gravità dei problemi a lungo termine.
Altri effetti collaterali causati dagli antidepressivi
Gli SSRI a lungo termine oltre alla cronicizzazione della depressione possono indurre anche molti effetti collaterali problematici, tra cui:
- Disturbi della sfera sessuale;
- Soppressione del sonno REM;
- Tic muscolari;
- Senso di stanchezza;
- Ottundimento emotivo e apatia.
Inoltre, il loro utilizzo a lungo termine è associato a:
- Deficit mnemonici;
- Difficoltà della soluzione dei problemi;
- Perdita di creatività;
- Difficoltà di apprendimento;
- Sintomi cognitivi anche persistenti.
PSSD (Disfunzione sessuale post-SSRI e post-SNRI)
Tra i potenziali effetti collaterali degli antidepressivi di cui poco si parla, in quanto la maggior parte degli psichiatri non ne è ancora a conoscenza, ma che merita spazio per l’impatto significativo sulla qualità della vita e sulle relazioni degli individui, è la PSSD, una sindrome che si può verificare alla sospensione degli antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della serotonina) e SNRI (inibitori selettivi della serotonina-noradrenalina), che provoca problemi della sfera sessuale e della sfera emotiva. (9)
I principali problemi della sfera sessuale riguardano la diminuzione del desiderio sessuale, diminuzione dell’eccitazione sessuale, orgasmo diminuito, ritardato, problemi di eiaculazione, ma anche casi di impotenza, mancanza di libido, anorgasmia. Tra i sintomi della sfera emotiva ci sono anedonia e ottundimento emotivo: può essere diminuita la capacità provare emozioni, sia positive che negative (difficoltà di piangere o provare emozioni “forti”, apatia, mancanza di motivazione e di stimolo di fare …)
A differenza dei noti disturbi sulla sfera sessuale generati dagli antidepressivi SSRI che si risolvono dopo la sospensione del farmaco, la PSSD compare al momento della sospensione dell’antidepressivo e ha carattere di persistenza, a volte indefinita. (9)
I meccanismi alla base di questo disturbo e la percentuale degli individui colpita non sono ancora noti, dal momento che è da poco che si parla di questo disturbo e ancora ci sono pochissimi studi al riguardo. (9)
Sovrastimolazione e mania: l’uso degli antidepressivi può provocare stati di mania che portano alla diagnosi di disturbo bipolare
I farmaci antidepressivi possono produrre una sindrome da stimolazione o attivazione, soprattutto quando si inizia l’assunzione o quando si aumentano o diminuiscono le dosi. (10)
Dalle ricerche riguardanti l’uso degli antidepressivi è risultato chiaramente un grande eccesso di episodi maniacali tra le persone che assumono tali farmaci.
In una metanalisi comprendente 51 studi e 100.000 partecipanti, il passaggio di umore verso la mania in seguito all’uso degli antidepressivi si è verificato nell’8,2% dei partecipanti. (11) Il cambiamento di umore verso la mania indotto dagli antidepressivi risultava particolarmente frequente nei giovani e nei giovani adulti esposti al trattamento per un disturbo depressivo o di ansia. (11)
Idee suicidarie, suicidio e violenza.
Gli antidepressivi possono causare un ampio spettro di anomalie mentali e comportamentali, molte delle quali tipiche di una reazione stimolante o di attivazione, tra cui insonnia, ansia, agitazione, impulsività, aggressività e violenza. (10)
In un recente studio è stato dimostrato che gli adulti sottoposti a trattamento con antidepressivi per il trattamento della depressione hanno una probabilità 2,5 volte maggiore di tentare il suicidio rispetto a chi assume un placebo. (12)
Ciò equivale a 1 persona su 200 che può tentare il suicidio assumendo tali farmaci. Considerando che in Italia le persone che ne fanno uso sono 3,6 milioni, il rischio è significativo.
A partire dal 2004 la FDA (Food and Drug Administration) ha imposto che tutti gli antidepressivi mostrassero un riquadro “black box” di avvertenze riguardo al rischio di suicidalità nei bambini, adolescenti e giovani adulti fino ai 24 anni. (13)
Lo psichiatra americano Peter Breggin sostiene che non è insolito che i bambini e i giovani siano più vulnerabili agli effetti avversi, specificando che sono più sensibili a questi effetti che, tuttavia, si verificano a tutte le età.
Le reazioni suicidarie sono particolarmente frequenti ai cambiamenti di dosaggio, cioè quando si aumentano o diminuiscono le dosi e in modo particolare quando inizia l’assunzione e quando si sospendono. Per questo motivo, i pazienti devono essere adeguatamente informati e monitorati durante queste fasi. (10)
Anche la violenza, come il suicidio, può essere indotta dagli antidepressivi anche se, come spiega Breggin, in misura minore. (10)
Queste osservazioni sono in accordo con i dati pubblicati da Peter Gøtzsche, che dimostrano che l’uso degli antidepressivi SSRI induce un aumento dell’aggressività nei bambini e negli adolescenti di 2.8 volte rispetto al placebo. (14)
Gøtzsche, osservando la frequenza con la quale i responsabili delle sparatorie di massa negli Stati Uniti risultavano in trattamento psicofarmacologico, afferma:
“Questo risultato è molto importante considerando le numerose sparatorie scolastiche nelle quali gli assassini erano in trattamento con antidepressivi SSRI”.
Ricadute alla sospensione del farmaco
Un altro grosso problema che riguarda l’uso degli antidepressivi, come d’altra parte tutte le altre classi di psicofarmaci, che ne impedisce un uso a breve termine, sono le crisi di astinenza che si presentano quando si desidera sospendere il trattamento, come conseguenza dell’assuefazione dovuta ai meccanismi di compensazione del sistema nervoso sopra descritti.
In uno studio si è evidenziato che il 50% dei pazienti trattati con antidepressivi dopo l’esposizione per alcuni mesi a questi farmaci, alla loro sospensione aveva una ricaduta entro 6 mesi (15) e in un altro studio la percentuale di persone che avevano una ricaduta era del 69%. (16)
La sindrome di astinenza in alcuni casi può essere lieve e transitoria, mentre in altri può essere molto grave.
Anche la durata dei sintomi di astinenza causati dalla sospensione del farmaco può essere variabile (10) (17)
Durata della sindrome di astinenza
La dipendenza fisiologica agli psicofarmaci si sviluppa tra una e 8 settimane dopo l’inizio dell’uso del farmaco. (10)(17)
A seguito dell’interruzione immediata o troppo veloce di uno psicofarmaco, nella maggior parte degli individui i sintomi acuti dell’astinenza durano all’incirca lo stesso periodo, cioè 1-8 settimane, a cui, se non si risolvono tutti i sintomi, può seguire un periodo di astinenza post-acuta o prolungata, che può essere molto più lungo. I sintomi di astinenza post-acuta possono richiedere fino a 6 mesi, ma a volte anche di anni, per risolversi. In questo periodo il sistema nervoso continua a riadattarsi per ritornare al suo stato di equilibrio originale, precedente all’uso del farmaco. (17)
La scarsa conoscenza da parte dei medici dei sintomi di astinenza, sia acuta che post-acuta o prolungata, delle tecniche per gestire il processo di sospensione dei farmaci per ridurre al minimo tali effetti e la credenza che gli psicofarmaci non creino dipendenza, fa sì che i sintomi siano scambiati per “ricadute” e quindi che siano trattati con dosi crescenti di psicofarmaci, a volte anche in regime di TSO.
Classificazione dei sintomi di astinenza
I sintomi di astinenza che si presentano alla sospensione degli antidepressivi possono essere di diverso tipo:
- Nuovi sintomi: sintomi che non presenti all’inizio del trattamento con antidepressivi. Tra i più frequenti:
nausea, mal di testa, disturbi del sonno, ansia, diminuzione della concentrazione, agitazione, disforia, aggressività, depressione, sintomi simili influenzali, vertigini, tachicardia, diarrea, zap (sensazioni di scosse elettriche), mioclono (Contrazioni muscolari involontarie), eiaculazione precoce. (18)
- Sintomi di rimbalzo o rebound: ritorno dei sintomi di partenza per i quali era stato cominciato il trattamento con antidepressivi, con una intensità maggiore di quelli di partenza.
Ad esempio, alla sospensione degli antidepressivi, possono ricomparire i disturbi che avevano fatto intraprendere il trattamento, come: ansia, crisi di panico, agitazione, insonnia, depressione, disforia, disturbo ossessivo compulsivo. (18)
Sospensione in sicurezza degli antidepressivi
Riassumendo quanto detto finora, l’efficacia degli antidepressivi non è superiore a quella di un placebo nella maggioranza dei casi. Soltanto una percentuale di individui che soffrono di depressione grave trova giovamento dall’uso di questi farmaci.
D’altra parte, l’uso a lungo termine, oltre a provocare molti effetti collaterali, induce cronicizzazione della depressione, aumentando il numero delle ricadute, abbreviando il tempo tra una ricaduta e l’altra. Inoltre, per il fenomeno di assuefazione, quando si cerca di sospenderli si presentano i sintomi di astinenza di varia intensità e durata che fanno prolungare il trattamento.
Come fare allora per utilizzare questi psicofarmaci per un periodo sufficiente a controllare i sintomi acuti per poi lasciare spazio ad una buona psicoterapia o a interventi psicosociali mirati ad affrontare le cause della sofferenza psichica?
A questo scopo occorre un buon metodo per gestire la sospensione in sicurezza degli antidepressivi, come di tutte le altre classi di psicofarmaci.
L’importanza di un buon metodo di sospensione degli psicofarmaci
Attualmente, dal momento che le case farmaceutiche hanno a lungo tenuto nascosto il fatto che gli psicofarmaci creano assuefazione, le conoscenze riguardo al processo di sospensione dei farmaci sono limitate.
Lo psichiatra americano Peter Breggin nel libro La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e i loro familiari offre un metodo estremamente sicuro e pratico per la deprescrizione. (10)
Nel Metodo centrato sulla persona per la sospensione degli psicofarmaci presentato nel libro, Breggin spiega in dettaglio, con molti esempi clinici, come deve essere condotto il delicato processo. In particolare, spiega che deve avvenire sotto il controllo medico esperto, col supporto di una buona psicoterapia per affrontare i problemi che hanno causato la sofferenza psichica.
Anche una forte rete sociale (un parente, un amico o un esperto per esperienza) è un elemento essenziale del processo, dal momento che per l’effetto incantesimo del farmaco (18), l’individuo può non accorgersi di andare incontro a pensieri e azioni per lui inusuali, comprese le idee suicidarie, l’aggressività e la violenza sopra descritte. La rete sociale ha quindi l’importante funzione di monitorare l’andamento della sospensione e prendere immediato contatto con lo psichiatra e lo psicologo per gestire le eventuali crisi.
Gli psichiatri, anziché consigliare e a volte imporre lunghi trattamenti farmacologici o peggio “a vita, come l’insulina per il diabete”, cronicizzanti e che minano la salute delle persone, dovrebbero informarsi e adoperarsi per assistere i pazienti che desiderano sospendere chi psicofarmaci in sicurezza. Allo stesso modo, gli psicoterapeuti dovrebbero abbandonare il modello bio-medico od organicista e offrire un buon servizio terapeutico, mirato ad affrontare le reali cause della sofferenza psichica.