Psicoterapeuti abusanti. Esistono davvero? – Storia di Enrico

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Laura Guerra

Pubblichiamo la storia di Enrico (nome di fantasia)

La mia storia descrive come un diritto negato può trasformarsi in una tragedia.

In questo mio racconto non parlerò di psicofarmaci, di psichiatri, di diagnosi ma bensì di psicologi, per la precisione di psicologi del sistema pubblico. E racconterò di come, se ti trovi nelle mani sbagliate, non solo non guarirai dai tuoi problemi mentali, dalla tua ansia, dalla tua depressione, ma come questo ti porterà, poco a poco ad un sentimento di profondo pentimento, che diventa giorno dopo giorno logorante per la tua anima e per il tuo benessere psicofisico.

Siamo davvero sicuri che la salute nel 2021 sia un diritto?

Due anni fa, ho avuto per la prima volta nella mia vita dei pensieri ossessivi. Ho avuto la pessima idea di affidarmi ad una terapeuta di un consultorio del mio paese. Dopo poche di, chiamiamole, sedute di “assessment” (valutazione, ndr), in cui si limitava a dire che dovevo fare psicoterapia, senza alcuna indicazione, ho ricevuto il consiglio di rivolgermi ad uno psichiatra. È una cosa abbastanza comune in questi casi, una terapia associata a dei farmaci spesso è il modo migliore per uscire da un problema di questo tipo. Ma…

Ritengo che il modo in cui mi venne consigliato di rivolgermi allo psichiatra fu tutto tranne che deontologico. Si parlava di: “se non prendi i farmaci non iniziamo psicoterapia”, “se non assumi rischi di ucciderti” (cosa di per sé assurda, dato che l’ansia non ha effetti così drammatici). Eccetera eccetera.

Come definite tutto ciò? Io la chiamo manipolazione. Soprattutto perché le scelte del paziente vengono condizionate. Mi sono ritrovato nelle condizioni di assumere il farmaco prescritto, non perché lo volessi assumere, ma perché ero stupidamente illuso che questo mi avrebbe accompagnato in un percorso psicoterapeutico, che purtroppo non vi è stato.

Dal primo momento in cui ho messo la maledetta prima pillola in bocca, i colloqui non erano più psicoterapeutici, o meglio non lo sono mai stati neanche prima. Si limitavano a sedute banali di 20 minuti di orologio (già una cosa di per sé molto strana), in cui non venivano effettuate delle tecniche per imparare a superare il doc, ma, semplicemente la terapeuta, si limitava a dispensare consigli che nulla avevano a che vedere con la mia diagnosi.

Ricordo anche l’uso insistente del suo cellulare durante i colloqui. Alla fine, dopo un mese di ferie, al rientro, delegò la sua mansione ad un consultorio gratuito nella città in cui mi sarei trasferito, cosa che ovviamente non ho fatto, perché sotto alti dosaggi di psicofarmaci, non sentii la necessità di fare psicoterapia.

Ora io dico, sicuramente tutto ciò era  programmato. Ma perché non delegare la propria mansione ad un altro professionista prima, che mi avrebbe potuto aiutare, magari anche senza l’uso di farmaci?

Comodo promettere una psicoterapia e poi non effettuarla; comodo nascondersi dietro una prescrizione.

Io all’epoca ero vittima della mia ingenuità, del mio fidarmi ciecamente di un professionista, e ho pagato.

Utilizzare i farmaci come rifugio della propria incapacità, invece che come supporto, è una cosa gravissima.

È vero, i farmaci li prescrivono gli psichiatri, ma la scelta di assumerli deve ricadere sul paziente, non sul terapeuta. Trovo bruttissimo mettere una persona nelle condizioni di non poter scegliere cosa sia meglio per la propria salute.

Aggiungo che non ho nulla contro i farmaci, ma la PSSD (Disfunzione sessuale post-SSRI, vedere link in bibliografia, ndr) era un rischio che non volevo correre, e me la sono beccata. Ho avuto anche problemi con la sospensione del farmaco. Non me la prendo neanche non chi me li ha prescritti, me la prendo appunto con chi me li ha fatti assumere usando una strategia di manipolazione, terrorismo e illusione mentale.

Una persona deve avere il diritto di prendere una decisione così delicata senza subire influenze. Se li avesse usati in maniera corretta, come promesso, molto probabilmente non avrei mai scritto questo racconto riguardo a lei. Sarebbe stata solo colpa delle case farmaceutiche e delle agenzie di farmacovigilanza, per aver nascosto un’ informazione così importante.

Ovviamente denuncio la PSSD come meglio posso, perché è assurdo che un rischio così grande non venga menzionato da nessuno. Ma qui parlo di altre cose, e non voglio mischiare gli argomenti.

In ogni caso, se pensate che sia finita qui beh… vi sbagliate.

Credo che la cosa più ovvia da fare, quando ti rendi conto che un farmaco assunto per poco tempo ti abbia danneggiato, sia ripercorrere gli eventi che ti hanno portato ad assumerlo. E ti rendi conto che li hai presi su insistenza di una terapeuta che probabilmente era un incapace. E non appena chiedi spiegazioni, ecco che se ne lava le mani: “il farmaco non te l’ho prescritto io”. Si, ma sei stata tu a convincermi ad andare da uno psichiatra, sei stata tu a porre dei vincoli, sei stata tu a promettere e a non mantenere.

Io in una condizione mentale delicata e con poca lucidità volevo solo trovare un modo per tornare alla vita di prima, e sarei stato disposto a tutto, ma non a subire una vera e propria menomazione fisica. Fare psicoterapia, che io avrei preferito, era un mio diritto e tu me lo hai negato.

La terapeuta non ne vuole sapere di assumersi le proprie responsabilità. Allora che si fa? Si denuncia al supervisore. Ma non si è rivelata una buona idea, oltre a non avere giustizia, si è anche permesso di leggere i miei dati, che dovevano rimanere nel segreto professionale.

Non solo, mi sono dovuto anche difendere dalle minacce di denuncia. “Lei è innocente, sei tu il malato mentale”.

Ricevere una diagnosi psichiatrica è una condanna. Qualsiasi minimo problema sarà sempre colpa tua, non degli psicoterapeuti, degli psichiatri o degli psicofarmaci. Solo oggi ho avuto da questo supervisore una parte di ammissione di colpe, che però non ha portato a nulla di fatto.

Anche il diritto di privacy va a farsi fottere. Ma il segreto professionale non era obbligatorio? Allora perché senza mia autorizzazione ha invitato mia madre, le ha raccontato tutto della mia diagnosi (?), ogni minimo dettaglio, le ha letto il mio fascicolo, l’mmpi ecc.

Per dimostrare che io ero malato e che lei ha fatto bene il suo lavoro? Questa è la dimostrazione che tanto professionale non sei se arrivi a rompere il segreto professionale per pararti il culo.

Mi sorge una domanda? È così sicuro rivolgersi ad una terapeuta al giorno d’oggi, dopo quello che mi è successo? Siamo davvero così tutelati nelle mani di queste persone? E i nostri dati restano davvero sicuri?

Iniziamo con il dire che almeno nel disturbo ossessivo compulsivo (il problema che ho vissuto), la psicoterapia è di fondamentale importanza. Questo non lo dico io, ma tutti gli psichiatri che ho sentito, persino colei che mi ha prescritto l’SSRI che mi ha danneggiato. Ora non entro nei meriti, non tutti i terapeuti sono preparati su questo disturbo, purtroppo.

Ma un ritardo nelle terapie comporta il peggioramento dei sintomi e del disturbo. Nel mio caso, due anni fa era all’esordio, e ne potevo uscire alla grande se me ne fosse stata data la possibilità. Inoltre, nelle mani di gente così, si perde fiducia nella figura del terapeuta e nelle azioni benefiche della psicoterapia; questo non è mai un bene.

Una delega per questo può salvare non solo la vita al paziente, ma anche la reputazione personale di un professionista. Nessuno ti obbliga a prendermi in cura, ma devi delegare per tempo. Per quanto possa considerarlo sbagliato, non sono nemmeno contrario all’obiezione di coscienza (ognuno ha le proprie opinioni), ma questo non deve arrecare danni alla persona.

Con il senno di poi, ne ho sentite di ogni su di lei. Il suo operato è stato messo persino in discussione da suoi ex pazienti con i quali la “terapia” è durata anni. Anche la psichiatra che prescrisse il farmaco dichiarerà ad una mia amica, in cura da entrambe, che la psicoterapia effettuata è stata un disastro.

Il problema è che lei vive ancora nella convinzione narcisistica di essere la migliore in zona. Ormai è già troppo tardi e indietro non si torna. Si può fare qualcosa nel presente però. Si deve fare in modo che questo non accada più.

Il consiglio più prezioso che si possa dare, se scegliete il percorso psicoterapeutico (per questo avete la mia stima) è di cambiare terapista, se il terapeuta che vi ha in cura non vi ispira fiducia. Se vedete atteggiamenti scorretti non esitate a mandarlo gentilmente a quel paese. Una cosa importante è di identificare un terapeuta altamente professionale. Affidereste mai il vostro matrimonio, il giorno più bello della vostra vita, alla mensa della Caritas?

Perché allora affidare la vostra salute ad una persona che effettua un servizio gratuito dalla dubbia efficacia?

Io mi reputo a tutti gli effetti una vittima di abuso, anche se non so se quello che ho subito si possa più ampiamente inquadrare in questo concetto. La salute e la privacy di una persona, così come la giustizia e la tutela, sono alla base dell’esistenza dell’umanità. Condanniamo tanto le dittature, ma poi agiamo esattamente allo stesso modo. Chi sbaglia paga? No, chi sbaglia viene protetto, anzi promosso magari ad una posizione migliore.

Ed è così che io ancora oggi rimango la vittima di nessuno, anzi di me stesso. Nessuno ha pagato per tutto ciò. Ho deciso solo ora di denunciare questa persona all’ordine degli psicologi e con le poche prove che ho spero che porti a qualcosa.

Peccato che andare da un terapeuta oggi dovrebbe essere considerata un’attività benefica, non un motivo di pentimento. Se la terapeuta in questione dovesse mai leggere questo articolo, le chiedo solo di mettersi la mano sulla coscienza e di chiedere almeno scusa per aver rovinato la vita ad un ragazzo che potrebbe essere un suo caro. Magari si rende conto che forse la salute mentale non è cosa sua.

Bibliografia

Per i link degli articoli cliccare sul titolo

Antidepressivi e disturbi sessuali post-SSRI (PSSD) – Sepolto vivo: la storia di Tony. Laura Guerra. Agosto 2019
Antidepressivi: sono davvero utili e privi di effetti collaterali? Laura Guerra. Settembre 2019

 

 

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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