L’OMS e le Nazioni Unite si uniscono agli appelli per abbandonare il modello medico

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Laura Guerra

L’OMS e le Nazioni Unite si uniscono agli appelli per abbandonare il modello bio-medico o organicista.

Questo modello, sostenuto dalle case farmaceutiche per promuovere l’uso degli psicofarmaci, ha erroneamente convinto le persone e gli operatori sanitari che la sofferenza psichica sia dovuta a una “malattia del cervello”.

L’adozione di questo modello ha portato non solo all’abuso della coercizione nel caso di disabilità psicosociali, intellettive e cognitive, ma anche alla medicalizzazione delle normali reazioni ai numerosi stress che fanno parte della vita, comprese forme moderate di ansia sociale, tristezza, timidezza, assenteismo e comportamento antisociale.

L’articolo si concentra sulla necessità di un cambiamento radicale nel campo della salute mentale, privilegiando interventi terapeutici più equilibrati, centrati sulla persona, favorendo alternative alla coercizione e promuovendo il loro diritto alla partecipazione e all’inclusione sociale.

Traduzione dell’articolo del Prof. John Read, pubblicato su Psychology Today, 22 giugno 2021

Il 10 giugno l’OMS ha chiesto un cambiamento fondamentale nei servizi di salute mentale.

PUNTI CHIAVE:

– Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite ha chiesto di prendere le distanze dal modello biologico della sofferenza psichica supportato dalle compagnie farmaceutiche nel 2019.

– L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente rilanciato il rapporto delle Nazioni Unite in cui si chiedono cambiamenti fondamentali nei servizi di salute mentale.

– Nel rapporto viene sottolineata l’importanza dei determinanti sociali della salute mentale come la violenza, la discriminazione, la povertà, l’esclusione, l’isolamento e la disoccupazione.

Le migliaia di persone che in tutto il mondo criticano un approccio eccessivamente biologico alla comprensione e all’aiuto reciproco vengono spesso liquidate come  posizioni “radicali”, “estremiste” o “ideologiche”. Nel nostro ruolo di critici all’approccio dominante del “modello medico“, promosso dalla psichiatria organicista e dalle compagnie farmaceutiche, siamo spesso etichettati e denigrati sommariamente come “antipsichiatria”, quando invece stiamo combattendo un modo deleterio di far scienza e trattamenti inefficaci e talvolta pericolosi.

Eppure, anche alcuni eminenti psichiatri si sono espressi contro la corruzione delle compagnie farmaceutiche e il modello semplicistico che utilizzano  per promuovere i loro prodotti.

Nel 2005, il dottor Steven Sharfstein, allora presidente dell’American Psychiatric Association, scrisse: “Se siamo visti come semplici spacciatori di pillole e dipendenti dell’industria farmaceutica, la nostra credibilità viene compromessa. Affrontando i problemi relativi a Big Pharma, dobbiamo riconoscere che, come professione, abbiamo permesso al modello bio-psico-sociale di diventare il modello bio-bio-bio”.

Nello stesso anno, il suo omologo britannico, il professor Mike Shooter, presidente del Royal College of Psychiatrists, rimproverò i suoi colleghi senza mezzi termini:

“Penso di non essere il solo a disgustarsi nell’osservare gruppi di psichiatri, in fila negli aeroporti, pieni di regali che, forse, potrebbero tranquillamente farsi tatuare il nome delle compagnie farmaceutiche sulla fronte”.

Più recentemente il messaggio è stato rilanciato persino dall’organizzazione delle Nazioni Unite, con l’intervento del suo “Relatore speciale sul diritto di tutti al raggiungimento del più alto livello di benessere possibile” (2014-2000), Dainius Pūras. Nel 2019, il dottor Pūras, uno psichiatra lituano, ha scritto:

“Le attuali politiche di salute mentale sono state influenzate in larga misura dall’asimmetria del potere e dai pregiudizi derivanti dal monopolio del modello biomedico e degli interventi di natura organicista.

Un modello che ha portato non solo all’abuso della coercizione nel caso di disabilità psicosociali, intellettive e cognitive, ma anche alla medicalizzazione delle normali reazioni ai numerosi stress che fanno parte della vita, comprese forme moderate di ansia sociale, tristezza, timidezza, assenteismo e comportamento antisociale.

“…Questa impostazione favorisce un utilizzo sproporzionato delle categorie diagnostiche, contribuendo così a una eccessiva medicalizzazione degli interventi terapeutici. Inoltre, questa apertura alla medicalizzazione si oppone all’adozione di due approcci di fondamentale importanza: uno basato sui principi di salute pubblica e l’altro centrato sui diritti umani…

La medicalizzazione esagerata è particolarmente dannosa per i bambini e, pertanto, la tendenza planetaria di medicalizzare le problematiche psicosociali e di salute pubblica della età infantile dovrebbero essere affrontate con politiche molto risolute”.

Il 10 giugno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un documento di 300 pagine intitolato “Guida ai servizi di salute mentale di comunità: promozione di approcci centrati sulla persona e fondati sui diritti“. Il documento è emerso da un gruppo delle Nazioni Unite guidato dalla dott.ssa Michelle Funk, una psicologa che è direttrice del “Policy Law”, dell’unità dei Diritti Umani presso il Dipartimento per la Salute Mentale e l’abuso di sostanze dell’OMS.

Il documento sostiene:

“La concentrazione predominante della cura continua ad essere sulla diagnosi, sui farmaci e sulla riduzione dei sintomi.

I determinanti sociali che hanno un impatto sulla salute mentale delle persone come violenza, discriminazione, povertà, esclusione, isolamento, precarietà del lavoro o disoccupazione, carenza di alloggi, ammortizzatori sociali e servizi sanitari, sono spesso trascurati o esclusi dalla pratica quotidiana della salute mentale; il che porta ad un eccesso di diagnosi cliniche e all’eccessiva dipendenza dagli psicofarmaci a scapito degli interventi psicosociali.

“È necessario un cambiamento radicale nel campo della salute mentale, per porre fine all’attuale situazione. Ciò significa ripensare le politiche, le leggi, i sistemi, i servizi e le pratiche nei diversi settori della società che hanno un’influenza negativa sulle persone con disagio mentale e disabilità psicosociali, garantendo, al tempo stesso, il valore dei diritti umani che costituiscono uno dei cardini del campo della salute mentale.

Tutto questo richiede un passaggio ad interventi terapeutici più equilibrati, centrati sulla persona, olistici e finalizzati al “recovery” e che pertanto considerano le persone nel loro contesto sociale, rispettando la loro volontà e le loro preferenze di trattamento, favorendo alternative alla coercizione e promuovendo il loro diritto alla partecipazione e all’inclusione sociale”.

Qui il link to the video della presentazione della Guidance

Il documento offre 22 interessanti esempi internazionali di iniziative, tra cui Open Dialogue (Dialogo Aperto), Soteria Berne, Tupu Ake in Nuova Zelanda e Hearing Voices Support Groups (Movimento degli uditori di voci).

Lo stimato giornalista e attivista Robert Whitaker ha così commentato:

“Il rapporto dell’OMS rappresenta un evento epocale. È chiaramente in corso un ripensamento globale riguardo la salute mentale; i modelli di intervento illustrati in questa pubblicazione dell’OMS, la maggior parte dei quali si sono sviluppati di recenti, costituiscono iniziative concrete che stanno nascendo ovunque”.

Gruppi di attivisti precedentemente isolati – pazienti, familiari, personale della salute mentale e ricercatori – si uniscono sempre più in organizzazioni globali, come l’ International Institute for Psychiatric Drug Withdrawal e la International Society for Psychological and Social Approaches to Psychosis, per citarne alcune.

Sarà più difficile per i difensori irriducibili del modello medico liquidare tali organizzazioni, o l’ONU e l’OMS, come meri estremisti e radicali dell’anti-psichiatria. Il momento per un cambiamento radicale di paradigma della salute mentale si sta, finalmente, avvicinando.

Qui il link dell’articolo di John Read

Note sull’autore

John Read, Ph.D. , ha pubblicato oltre 150 articoli di ricerca, principalmente sulla relazione tra eventi avversi della vita e psicosi. Ricerca inoltre gli effetti negativi delle spiegazioni causali biogenetiche sul pregiudizio, le esperienze dei destinatari di farmaci antipsicotici e antidepressivi, la terapia elettroconvulsivante e il ruolo dell’industria farmaceutica.

John è membro del Consiglio di amministrazione dell’International Institute for Psychiatric Drug Withdrawal e dell’Hearing Voices Network , in Inghilterra.

È stato editore della rivista scientifica Psychosis per 11 anni ed è editore di diversi libri, tra cui Models of Madness (Leggi J, Dillon J, Routledge, 2013) e A Straight Talking Introduction to the Causes of Mental Health Problems (Leggi J, Sanders P, PCCS Books, 2012).

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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