L’epidemia degli psicofarmaci – La patologizzazione in tempo di pandemia

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Laura Guerra

IMPORTANTE: Gli psicofarmaci possono causare reazioni da sospensione, talvolta includendo reazioni emotive che minacciano la vita e problemi di astinenza fisici.  La sospensione degli psicofarmaci dovrebbe essere eseguita attentamente sotto una collaudata supervisione clinica e accompagnata da una buona psicoterapia per risolvere i problemi che ne avevano fatto intraprendere l’uso.

Sommario

Peter Goetzsche, co-fondatore della Cochrane Collaboration, nel video spiega che gli psicofarmaci vengono pubblicizzati e presentati dagli psichiatri come farmaci che servono per ripristinare un “equilibrio chimico alterato del cervello”.

Per la stessa ragione insistono nel prolungare i trattamenti per lunghi periodi, a volte a vita cercando di convincere i pazienti ad assumerli proprio come “l’insulina per il diabete”.

Tuttavia, l’esistenza di questo squilibrio non è mai stata dimostrata, né con esami clinici o di laboratorio, scansioni del cervello o esami genetici. Tutto quello che nelle persone con qualche diagnosi può essere misurato e che risulta diverso dalle persone “sane” interviene soltanto dopo che il disturbo psichico è cominciato, oppure è dovuto all’uso degli psicofarmaci.

Gli psicofarmaci non solo non curano alcuno squilibrio chimico del cervello, ma lo creano. Lo squilibrio chimico così creato sarà responsabile dei fenomeni di astinenza e tolleranza.

Goetzsche parla della mancanza di affidabilità delle ricerche per valutare l’efficacia degli psicofarmaci in quanto la maggior parte di esse sono finanziate dalle case farmaceutiche che vogliono vendere i loro prodotti. I test clinici sono fallaci in quanto progettati in modo da ottenere il risultato che la casa farmaceutica desidera ottenere.

Si sofferma sugli antidepressivi spiegando che l’efficacia di questi farmaci non si discosta in modo significativo da quella del placebo. Contemporaneamente, tuttavia, hanno effetti collaterali anche importanti, come ad es. sulla sfera sessuale, e tra cui sono compresi il suicidio (raddoppiandone il rischio) e la violenza, sia nei bambini che negli adulti.

Al contrario, la psicoterapia dimezza il rischio di suicidio.

Per quanto riguarda i neurolettici o antipsicotici spiega che non agiscono sui meccanismi della psicosi, ma funzionano sopprimendo l’attività cerebrale, creando un appiattimento emotivo che rende difficile alla persona svolgere le normali attività come lo studio, il lavoro e le relazioni sociali.

L’uso a lungo termine aumenta le ricadute, mentre la riduzione delle dosi o la sospensione danno risultati positivi sulla ripresa delle persone.

L’uso degli antipsicotici, altamente tossici e con effetti collaterali anche irreversibili, potrebbe essere sostituito dalle benzodiazepine con un uso a breve termine, ma le linee guida ancora non lo prevedono.

Gotzsche parla infine dell’ADHD o disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, spiegando che non si tratta di un disturbo del neurosviluppo come viene presentato dalle neuropsichiatrie infantili, ma riguarda solamente i comportamenti dei bambini e dei ragazzi.

I farmaci di elezione per il trattamento sono gli stimolanti, che hanno lo stesso meccanismo d’azione della cocaina e delle anfetamine e sono perciò come le droghe da strada.

Gli effetti collaterali possono essere molto importanti e comprendono la morte per attacchi cardiaci. Possono indurre tra le altre cose suicidi e violenza.

Gli stimolanti possono indurre stati di mania e di psicosi esponendo il bambino alla diagnosi di disturbo bipolare e ad altri disturbi che aprono le porte al trattamento con nuove classi di psicofarmaci.

Tutto questo è molto pericoloso per i bambini che hanno un cervello in via di sviluppo e che andrebbe stimolato e non sedato con sostanze tossiche.

 

Traduzione del video (dal minuto 5:30 al minuto 37:40)

Gli antidepressivi non funzionano per la depressione

Peter Gotzsche spiega che quando le persone stanno male gli psichiatri di solito prescrivono psicofarmaci e l’uso degli antidepressivi è aumentato durante l’epidemia di Covid 19.

“In psichiatria sono molte le bugie e i miti che sono molto importanti per gli psichiatri e molto pericolosi per i pazienti. La peggiore bugia che lo psichiatra ti può dire è che sei malato perché soffri di uno squilibrio chimico nel cervello. Nessuna ricerca ha mai verificato l’esistenza di un tale squilibrio chimico.

Quella dello squilibrio chimico è una bugia!.

Ad esempio, se sono in Africa e improvvisamente vedo un leone mi spavento e gli ormoni dello stress mi aumentano e questi possono essere misurati nel sangue; in sostanza non mi spavento perché gli ormoni dello stress aumentano, ma per la presenza del leone e solo in un secondo momento gli ormoni dello stress aumentano.

Tutto quello che può essere misurato nei pazienti psichiatrici e che risulta diverso dai pazienti “sani” non prova niente, perché il problema psichiatrico viene prima, come quando vedo il leone, e poi avviene il cambiamento biologico che posso misurare”.

 

Gli psicofarmaci creano uno squilibrio chimico

“Il loro meccanismo d’azione interferisce con le normali funzioni cerebrali. Prima dell’uso degli psicofarmaci non c’è nessuno squilibrio chimico,

I pazienti pensano di non poter interrompere il trattamento, perché viene loro detto che soffrirebbero di uno squilibrio chimico e che gli psicofarmaci lo correggeranno. Questa, come già detto, è una grande e pericolosa bugia.

Il modello psichiatrico biologico od organicista è molto popolare, ma è morto. Gli psichiatri lo tengono in vita perché è proficuo (vantaggioso) per loro. Tuttavia, gli esami genetici e le scansioni cerebrali non hanno prodotto alcun risultato utile per rivelare un tale squilibrio.

Gli psichiatri dovrebbero ripartire dal fatto che la psichiatria è una disciplina umanistica e quindi si deve capire che gli psicofarmaci creano più danni che benefici se assunti a lungo termine”.

“Una analisi della letteratura scientifica ha rilevato 214 diagnosi; gli antidepressivi sono stati usati pressoché per tutte le diagnosi. I dati sembrano dimostrare che all’inizio funzionino, tuttavia, bisogna esser cauti perché i test clinici spesso non sono attendibili”.

 

I principali difetti nei test clinici sugli psicofarmaci

  • Il gruppo placebo viene esposto alle crisi di astinenza

Molti testi clinici non sono affidabili in quanto ai pazienti, già in trattamento, vengono sospesi gli antidepressivi; poi si aspettano una o due settimane di “wash out” e quindi vengono suddivisi in modo casuale in un gruppo trattato con un nuovo antidepressivo e in un gruppo che assume un placebo. Il gruppo con placebo andrà, ovviamente, in astinenza mentre il gruppo che continua con l’antidepressivo no. La conclusione dei ricercatori sarà che gli antidepressivi sono efficaci, quando in realtà l’unica cosa che si osserva con questo tipo di studi è che sospendere di botto gli antidepressivi provoca l’astinenza. Studi COSÌ sono viziati.

  • Mancanza di un effettivo modello a doppio cieco e risultati influenzati da risposte soggettive

In questo tipo di test clinici non è possibile applicare il modello “doppio cieco” perché i farmaci hanno effetti collaterali che li rendono facilmente identificabili e quindi i pazienti si accorgono se appartengono al gruppo in cui assumono l’antidepressivo o il placebo, influenzando perciò i risultati.

  • Vengono ignorati gli eventi che seguono il periodo di studio

Gli eventi che seguono il periodo di studio vengono ignorati. Ma è proprio in questo periodo che avvengono la maggior parte dei suicidi e tentati suicidi; in particolare nei gruppi in cui gli individui assumono il farmaco attivo in quanto, quando questo viene sospeso, vanno incontro alla reazione di astinenza che spesso provoca acatisia. Questo non significa quindi che l’antidepressivo sia efficace, ma solamente che crea uno squilibrio chimico che ha come conseguenza la crisi di astinenza.

  • I test clinici sono condotti per brevi periodi di tempo

Un altro punto è che i test clinici durano troppo poco, mentre il trattamento dei pazienti dura anni.

  • Circa la metà dei suicidi non viene riportata

Inoltre, la metà delle morti e dei suicidi non vengono riportate nei resoconti dei test clinici

  • L’efficacia viene esagerata nelle pubblicazioni

Vengono pubblicati i test clinici in cui l’efficacia degli antidepressivi è maggiore, mentre dove non è significativa gli studi non vengono pubblicati.

“Possiamo quindi dire che i risultati delle pubblicazioni sono falsati. Questo vale per tutte le classi di psicofarmaci”.

 

Antidepressivi: sono utili?

Goetzsche spiega che nella scala di Hamilton per valutare gli stati depressivi, che va da 0 a 52, l’efficacia degli antidepressivi è intorno a 2, mentre il minimo che viene considerato come efficacie è intorno a 5-6. Per cui si può concludere che gli antidepressivi non sono efficaci per trattare la depressione.

Dal grafico presentato nel video si può vedere l’andamento nel tempo della depressione media in un gruppo trattato e in un gruppo placebo. Le rette sono quasi sovrapponibili e si vede che la depressione tende a risolversi in entrambi i gruppi dopo circa 2 mesi. Considerando che la ricerca contiene dei dati falsati, le due rette sarebbero ancora più sovrapponibili. Si può concludere quindi che l’effetto degli antidepressivi non ha una rilevanza clinica.

“La depressione tende a migliorare nel tempo, ma i medici dicono che sono le pillole che ci mettono tempo a fare effetto. Questa è un’altra bugia perché nel grafico entrambi i gruppi tendono a migliorare in modo simile”.

Molti medici e pazienti ritengono che gli antidepressivi siano efficaci, ma in questo modo non tengono in considerazione le reali cause della depressione.

“Quello che i testi clinici non riportano mai è se gli antidepressivi siano utili per ritornare al lavoro o a riallacciare le relazioni sociali.

Inoltre, i ricercatori definiscono questi farmaci “pillole della felicità” quando, in realtà, la metà degli individui trattati va incontro a disfunzioni sessuali quando prima non le aveva.

Queste pillole non possono essere definite pillole della felicità, bensì “pillole che distruggono la tua felice vita sessuale”!”

 

Gli antidepressivi non hanno un’azione terapeutica, ma agiscono unicamente controllando i sintomi della depressione e non le cause

Goetzsche spiega poi che non viene mai rilevato che il numero dei pazienti che abbandonano i test clinici è più vasto nel gruppo trattato coi farmaci rispetto al gruppo placebo. Questo succede perché i pazienti preferiscono essere trattati con il placebo piuttosto che con gli antidepressivi. Questo dato è importante perché si deve anche considerare il fatto che nel gruppo placebo i pazienti tendono a soffrire crisi d’astinenza per via del modo in cui vengono condotti i test e, nonostante questo, restano nello studio in numero maggiore rispetto ai pazienti sottoposti agli antidepressivi.

In un altro grafico che riporta i risultati di uno studio danese, viene descritto l’uso nel tempo di antipsicotici ed antidepressivi di pazienti in cura da prima del 2006 che continuano a prendere i farmaci. Dal grafico si può vedere che dopo 10 anni, in entrambi i casi circa un terzo dei pazienti è ancora in trattamento.

Considerando che i farmaci dovrebbero trattare due diversi disturbi, il fatto che l’andamento sia quasi identico, lo rende più simile a un decadimento radioattivo piuttosto che a un protocollo di  salute mentale e quindi suggerisce che l’uso a lungo termine dei farmaci non sia basato su alcuna evidenza scientifica.

 

Antidepressivi e suicidio: gli antidepressivi raddoppiano la percentuale di suicidi sia nei bambini che negli adulti

Da un altro grafico che mette a confronto l’andamento dell’uso degli antidepressivi con quello del numero delle persone che hanno una disabilità psichiatrica, si può vedere che il numero di suicidi è aumentato nel tempo di pari passo all’uso degli antidepressivi.

Un’altra bugia sugli antidepressivi è che siano pillole che prevengono il suicidio, poiché in realtà lo possono causare, sia ne bambini che negli adulti. Questo è stato documentato in molte ricerche che ho riportato nei miei libri”.

“Trovo orribile e criminale che queste pillole vengano date ai bambini in quanto non funzionano nei bambini e inducono al suicidio”.

 

Studi sull’efficacia della psicoterapia

In studi fatti per valutare l’effetto della terapia cognitivo-comportamentale (TCC) in persone che avevano già tentato il suicidio (e quindi ad alto rischio di nuovi tentativi di suicidio) risulta che la psicoterapia dimezza il numero dei nuovi tentativi di suicidio.

Goetzsche spiega, comunque, che la TCC non è una psicoterapia particolare che dà maggiori risultati rispetto ad altri tipi di terapie, ma è quella più studiata e altri tipi di psicoterapia possono dimezzare il rischio di suicidi e conclude “Perché usare pillole che inducono il suicidio quando si potrebbe usare la psicoterapia che ne riduce il rischio? Questo è assolutamente senza senso”.

 

Neurolettici o antipsicotici: funzionano?

Per gli antipsicotici le cose non sono migliori.

Il termine antipsicotici è improprio, in quanto i farmaci non agiscono sulla psicosi.

I test clinici per valutarne l’efficacia sono fallaci come per i test sugli antidepressivi (mancanza del doppio cieco, gruppo placebo esposto a crisi d’astinenza e così via).

“Questi test vengono fatti dall’industria farmaceutica di cui sappiamo molto bene che non ci si può fidare. Gli antipsicotici, come Olanzapina e Risperidone, sulla scala PANSS (Positive And Negative Syndrome Scale) che ne misura l’efficacia, registrano circa 6 punti, quando per essere veramente efficaci in questa scala occorrono almeno 15 punti”.

“Questi farmaci non agiscono quindi sulla psicosi”.

Questi farmaci agiscono appiattendo emotivamente le persone e qualche volta le riducono a “zombie”. Rendono difficile vivere una vita normale, tornare al lavoro e avere relazioni sociali”.

Neurolettici o antipsicotici nei primi episodi di schizofrenia

La ricerca per evidenziare studi che includono pazienti che non fossero già in trattamento farmacologico con lo scopo di evitare il problema dell’astinenza causato dalla brusca interruzione del trattamento, non ha identificato nessuno studio di questo tipo. La quasi totalità degli studi, infatti, utilizza pazienti già in trattamento.

Sono passati 60 anni dall’uso del primo antipsicotico clorpromazina (torazina) prima di avere uno studio controllato con placebo in cui i pazienti non fossero già in trattamento con antipsicotici.

Nell’unico studio in cui gli individui non erano ancora in trattamento con antipsicotici, pubblicato quest’anno, si è confrontato un gruppo trattato con TCC e placebo e un gruppo trattato con TCC e antipsicotici, per la durata di 6 mesi. Le differenze tra i due gruppi sono risultate molto piccole, indicando che il gruppo trattato con antipsicotici non aveva risultati migliori rispetto alla terapia psicologica.

 

Studio di prevenzione delle ricadute

“Quando le persone vengono trattate in psichiatria per un certo periodo di tempo ci si chiede quanto a lungo debba durare il trattamento: per mesi? Per anni? Per il resto della vita?”

Solitamente, i test per valutare questa domanda però vengono condotti su soggetti trattati con antipsicotici e che vengono poi divisi in un gruppo che continua il trattamento antipsicotico e un gruppo in cui l’antipsicotico viene scambiato col placebo. Questo secondo gruppo sarà quindi esposto alla crisi d’astinenza.

La fuorviante conclusione degli psichiatri sarà che per le persone in trattamento da diversi mesi con gli antipsicotici è meglio continuare con il trattamento perché togliendoli (gruppo placebo) peggiorano e hanno ricadute, non menzionando il fatto che, in realtà, le ricadute sono dovute d’astinenza dal farmaco (effetto di rimbalzo o rebound, ndr).

Sarebbe in pratica come dire ad un alcolista di continuare a bere alcol, perché se smette di bere starà male”.

 

Studio sul trattamento a lungo termine

C’è solo uno studio olandese in cui i pazienti siano stati studiati per un tempo molto lungo e in cui sia stata valutata la riduzione o sospensione della terapia.

In questo studio clinico, dopo 2 anni dall’inizio, il gruppo in trattamento aveva meno ricadute rispetto al gruppo in riduzione o sospensione di dose (21% contro 43%) e quindi sembrerebbe una buona idea continuare il trattamento coi farmaci.

Dopo 7 anni, però, i pazienti che miglioravano nel gruppo di riduzione o sospensione del trattamento erano molti di più rispetto a quelli che si riprendevano con il trattamento (40% contro 18%).

Il tasso di ricadute con gli psicofarmaci sale però al 69%. Inoltre, il gruppo in trattamento aumentava la dose in media del 64%.

“Questo importante studio ci dice che aspettando abbastanza a lungo è meglio sospendere il trattamento piuttosto che continuarlo”.

Tuttavia, gli psichiatri pensano il contrario e nonostante “l’allarmante” percentuale di persone che abbandonano il trattamento (74% dopo 18 mesi), i clinici vengono istruiti sulle strategie di trattamento per spingere i pazienti a continuarne l’uso.

“Perché invece non fermarne completamente l’uso?”

 

Perché non usare le benzodiazepine al posto degli antipsicotici?

Le benzodiazepine sono molto meno tossiche degli antipsicotici e quindi potrebbero essere usate per la sedazione negli stati acuti delle psicosi.

Fino al 1989, tuttavia, c’erano solamente 2 studi che comparavano gli antipsicotici e le benzodiazepine e i risultati ottenuti mostravano un’efficacia simile tra i due tipi di farmaci.

Ora però gli studi sono molto più numerosi e quello che emerge è che la sedazione con benzodiazepine si verifica molto più spesso rispetto alla sedazione con neurolettici.

Perché allora vengono usati i neurolettici quando si hanno pazienti in psicosi acuta?

“I pazienti sono spaventati da questi farmaci, alcuni di loro hanno visto altri pazienti morire stecchiti a causa di questi farmaci e nonostante tutto vengono forzati ad assumere questi antipsicotici. Questa è una seria violazione dei diritti umani, un crimine contro l’umanità. Questo deve finire.

Quando chiedo ai pazienti cosa preferirebbero per un loro eventuale nuovo episodio psicotico, ogni singolo paziente dice che preferirebbe le benzodiazepine ai neurolettici. Però le linee guida non lo prevedono che i dottori usino le benzodiazepine”.

 

I neurolettici o antipsicotici sono farmaci letali

“I neurolettici sono altamente letali, ma molti psichiatri affermano invece che salvano le vite dei pazienti, usando come base ricerche molto scarse: studi randomizzati che sono falsati.

Gli studi randomizzati danno le migliori evidenze, ma sono viziati attraverso i metodi con cui cui vengono condotti, già descritti più e più volte”.

In una meta-analisi pubblicata da JAMA (Journal of American Medical Association) in cui pazienti con demenza erano trattati per 10 settimane, risultava che 1 paziente su 100 moriva a causa dei neurolettici, ma le morti sono sotto riportate. Dai dati della FDA (Food and Drug Administration) per gli stessi test, che sono molto più affidabili, risulta invece che 2 persone su 100 muoiono in 10 settimane.

“Questi farmaci sono altamente letali e devono essere evitati”.

 

ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività)

L’ADHD indica solamente una serie di comportamenti, ma non si tratta di un disturbo biologico

“Durante le discussioni alle mie conferenze, quando una persona dice che ha l’ADHD rispondo che può avere un cane, un compagno o una macchina, ma che non può avere l’ADHD in quanto questo è solo in termine che rappresenta comportamenti di persone che sono più impazienti di altre. Molte delle persone più interessanti che conosco e anche nella mia famiglia risultano positive al test dell’ADHD.

Questa è un’altra tragedia in psichiatria”.

La diagnosi viene quasi sempre fatta a partire dalle lamentele degli insegnanti

La diagnosi di ADHD viene estesa anche ai bambini che sono troppo silenziosi in classe, così alla fine possono essere trattati tutti, sia quelli irrequieti che quelli troppo quieti.

Molti di noi potrebbero risultare positivi alla diagnosi

“Alle mie conferenze sottopongo al test i presenti dove ci sono anche medici, psichiatri, psicologi, infermieri ecc. e alla fine tra un quarto e un terzo di loro risulta positivo al test dell’ADHD per adulti e questo già indica quanto il test sia ridicolo”.

Negli USA l’11% degli studenti ha la diagnosi di ADHD.

Guardano i dati, risulta che i bambini nati alla fine dell’anno ricevono più frequentemente la diagnosi di ADHD e il trattamento con psicofarmaci e questo è dovuto al fatto che sono quasi un anno più piccoli di quelli nati a gennaio e quindi in classe si muovono di più e disturbano di più.

 

I test clinici per l’ADHD

“I test sui trattamenti per l’ADHD sono i peggiori che abbia mai visto nella mia carriera!”.

I danni del trattamento sono ampiamente sottostimati in quanto vengono studiati solo i bambini che hanno una risposta positiva al trattamento, mentre gli altri vengono esclusi dalla ricerca.

“Questo tipo di ricerche vengono definite “studi arricchiti” mentre io preferisco definirle “studi per arricchire le case farmaceutiche. Non si possono includere solo le persone che rispondono nel modo che si vuole che rispondano!”.

La maggior parte degli studi è stata eseguita da Joseph Biederman dell’Università di Harvard. Biederman è il grande responsabile, con i suoi coautori, degli studi fraudolenti.

Biederman è il responsabile del 30% delle pubblicazioni sull’ADHD. Queste persone hanno ricevuto milioni di dollari da Big Pharma che non sono stati dichiarati.

Anche in questo caso, se si chiede ai bambini se gradiscono l’effetto degli psicofarmaci rispondono che non gli piacciono e che non li vorrebbero assumere.

I farmaci usati per l’ADHD funzionano come la cocaina e le anfetamine e quindi sono come la droga da strada.

L’effetto principale consiste nel migliorare la gestibilità in classe piuttosto che le prestazioni e il rendimento scolastico. Provocano nel bambino una riduzione delle interazioni sociali e della curiosità. Provocano inoltre depressione e apatia e questo non va bene per un cervello in via di sviluppo che deve invece essere stimolato!”.

Le review sistematiche dei test clinici sono deprimenti in quanto tutti gli esami clinici erano ad alto rischio di bias e non sono attendibili.

L’uso degli stimolanti comporta gravi effetti avversi che possono essere anche letali. Alcuni bambini sono morti improvvisamente a scuola.

Gli stimolanti provocano un aumento del rischio di severi effetti collaterali, compresi rischio di scatenare psicosi nel 36% dei bambini e di aumentare il rischio di aritmia nel 61%.

Anche la morte è compresa tra gli effetti collaterali, incluso il suicidio e l’omicidio. Questa lunga serie di effetti collaterali non è bilanciata da alcun vantaggio duraturo nel tempo.

L’effetto di contenimento dell’aggressività, del disturbo della condotta, della criminalità, dell’abuso di sostanze, capacità di avere un lavoro a lungo termine, relazioni di coppia funzionanti ecc. non risulta essere duraturo dopo l’interruzione del trattamento.

 

Per concludere, gli psicofarmaci sono pericolosi per la salute e possono peggiorare i problemi che la persona possa avere”.

“Sto studiando gli psicofarmaci da 13 anni. Serve molto tempo per rendersi conto di quanto questo campo sia corrotto e prima di trovare tutte le incongruenze serve un grande lavoro investigativo in quanto molte prove sono state occultate e può essere difficile riportale alla luce. Tuttavia, è assolutamente chiaro che gli psicofarmaci sono pericolosi per la salute e peggiorano i problemi che uno possa avere e quindi il miglior consiglio che posso dare alle persone è che se hai un problema psichiatrico non consultare mai uno psichiatra, potrebbe essere la peggior decisione della tua vita”.

“Il loro meccanismo d’azione interferisce con le normali funzioni cerebrali. Prima dell’uso degli psicofarmaci non c’è nessuno squilibrio chimico; sono gli psicofarmaci che lo creano.

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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