Molti bambini particolarmente intelligenti o iper-dotati vengono erroneamente diagnosticati come bambini con ADHD (sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività) o con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento: dislessia, disgrafia e discalculia) o spesso ricevono entrambe queste diagnosi.
Nel caso di DSA ( vero disturbo funzionale spesso riconosciuto in ritardo o mal diagnosticato) i comportamenti definiti come iperattivi sono solo un effetto collaterale non riconosciuto, quando invece la diagnosi è “solo” di ADHD il discorso è molto diverso.
Infatti sulla validità della diagnosi di ADHD il dibattito è molto aperto in quanto, come afferma anche uno dei responsabili della stesura del DSM IV, Allen Francis, (1) e lo studioso dei corretti metodi di rilevazione epidemiologica Peter Goetzsche (2) si tratta del frutto di una inflazione diagnostica non corretta in quanto si limita ad elencare osservativamente alcuni comportamenti senza una idonea valutazione dei contesti in cui il comportamento si esprime e, soprattutto, senza considerare il significato del comportamento:
ansia? rabbia? frustrazione? reazione a contesti familiari, educativi, sociali conflittuali? O altro ancora.
Ecco perché la diagnosi di ADHD, intesa come disturbo biologico del neurosviluppo sarebbe ampiamente sovrastimata e i sintomi valutati non avrebbero una validità diagnostica, in quanto non correttamente valutati in un’ottica di diagnosi differenziale rispetto a disturbi neurologici conclamati e documentati.
In psicologia (scienza del comportamento) come in medicina distinguere i sintomi dalle cause di una malattia o problema è fondamentale, non solo per cercare di risolvere le difficoltà ma anche per non danneggiare il paziente.
Soprattutto chi lavora con i bambini, che manifestano problemi di comportamento, descritti come “agitati” o “iperattivi” deve sapere che essi sono gli indicatori di problemi più ampi, ciò anche quando il bambino sia affetto da vere e proprie disabilità.
Per intervenire correttamente non basta controllare o sopprimere il comportamento indesiderato ma è necessario comprendere il modo particolare con cui il soggetto “sta in conversazione col mondo” (4), modo che l’adulto non comprende.
Questo approccio si rivela utile e risolutivo non solo per i bambini che soffrono di un disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) o che vengono etichettati come ADHD, ma per ogni altro aspetto comportamentale definito “patologico”.
Questo non significa che difficoltà, comportamenti bizzarri o dirompenti non debbano essere arginati, ma che senza averne compreso il significato profondo non è possibile risolverli, soprattutto nel lungo periodo e senza causare effetti collaterali al trattamento.
Bibliografia:
(1) Allen Frances, Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie. (2013) Bollati Boringhieri
(2) Peter C. Gotzsche, Psichiatria letale e negazione organizzata. (2017) Naviganti, Giovanni Fioriti Editore
(3) ndagine su un’epidemia. (2013) Giovanni Fioriti Editore
, I(4) Miriam Gandolfi, Manuale di tessitura del cambiamento. Un approccio connessionista alla psicoterapia. (2015) Giovanni Fioriti Editore
Dr. Miriam Gandolfi
Psicologa psicoterapeuta
Bolzano/Trento
0471/261719