Utilizzare risorse personali nei bambini con problematiche di apprendimento

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Francesca Dellai

Da anni ho la fortuna di lavorare con studenti di diverso ordine e grado e quindi di accedere, in misure diverse, al contesto scolastico. Questo mi apre una possibilità che, lavorando su altre questioni psicologiche, non è così scontata. Mi riferisco in particolare all’opportunità di parlare e incontrare i diversi interlocutori che vivono, in modo differente, le molteplici problematiche scolastiche e di apprendimento per le quali i genitori e i loro figli giungono al mio studio. Infatti, quando parliamo di difficoltà scolastiche sono diverse le persone che le vivono, più o meno indirettamente.

Gli insegnanti sono di frequente coloro che inviano e/o suggeriscono ai genitori di intraprendere un percorso specialistico, per capire se lo studente vive difficoltà sulle quali intervenire oppure se tali criticità si potranno risolvere autonomamente. I genitori, almeno all’inizio, sono necessariamente coinvolti, in quanto lo studente è minorenne e la legge richiede che entrambi i genitori diano il proprio consenso allo psicologo per intervenire.
E infine lo studente, che non sempre (fortunatamente) vive personalmente la difficoltà o è consapevole della ragione per cui si trova di fronte a me.

Un primo rischio che possiamo ritrovarci a vivere in tali situazioni quindi è proprio relativo alla possibilità di innescare, pur senza volerlo, dei processi di de-responsabilizzazione da parte dei diversi interlocutori.

Cosa significa in concreto?

Ci riferiamo alla possibilità che le diverse persone mettano in campo discorsi e pensieri de-responsabilizzanti, non sentendosi personalmente in grado di fare piccole azioni per gestire al meglio le criticità sperimentate.

Genitori e insegnanti potrebbero fare una richiesta di aiuto esterno, mettendosi in una posizione passiva, pensando di non poter fare loro stessi qualcosa. Per quanto concerne gli studenti, invece, non essendo loro in primis a richiede l’intervento, risulta saliente porre attenzione a innescare pensieri utili, in cui diventino loro stessi possibili protagonisti nel gestire aspetti potenzialmente critici, prestando attenzione a non problematizzare qualcosa che per lo studente problematico non è.

Cosa possiamo quindi fare per gestire al meglio la situazione?

Un primo passo fondamentale è certamente legato all’individuare le reali esigenze che spingono gli adulti a fare una richiesta di aiuto. Se si analizza la situazione, infatti, si possono scorgere diverse esigenze, non necessariamente e strettamente collegate alle difficoltà vissute dallo studente.

Vediamo quelle più ricorrenti:

– difficoltà nel costruire un ambiente fisico e interpersonale facilitante e che consideri la zona di sviluppo prossimale in cui rientra il bambino/ragazzino; vi faccio un esempio concreto. A volte mi capita di vedere cartelloni delle regole scritte a parole rivolti a bambini della scuola dell’infanzia, che ancora non sanno leggere. Diventa per loro un elemento di decoro, non certo di regolazione… il rischio è che l’adulto non capisca per quale motivo i bambini fatichino a stare nelle regole…

– Iniziare a ragionare in termini di obiettivi: una cosa è voler gestire i comportamenti difficili, altro è la richiesta di “sistemare il problema dello studente”. Cambia la prospettiva di osservazione, perché nel primo caso l’idea che ci muove è che ognuno ha un ruolo attivo e per cui ognuno può fare qualcosa!

– Andare al di là di parole ed etichette. Quando usiamo soprattutto certi acronimi (DSA, ADHD tra i più frequenti in ambito scolastico) abbiamo l’illusione di esserci spiegati ma di fatto non abbiamo elementi descrittivi della situazione che vogliamo gestire al meglio. È più utile quindi descrivere, anche con esempi concreti, le difficoltà sperimentate.

– Legato al punto precedente abbiamo anche un ulteriore aspetto da considerare: quando parliamo di alcune competenze cognitive non riusciamo a coglierne la reale complessità. Pensiamo per esempio all’attenzione; è una di quelle parole che usiamo di frequente nella nostra quotidianità.

Abbiamo l’illusione di sapere a cosa ci riferiamo e siamo abbastanza certi di non dover aggiungere molto altro perché l’altro ci capisca. Eppure, non è così. L’attenzione è un’abilità cognitiva composta da diversi “sotto-sistemi”, ognuno dei quali è responsabile dell’esecuzione di diversi compiti. Per esempio, con attenzione intendiamo:

– la capacità di rimanere su un compito lungo, difficile, noioso (attenzione sostenuta);

– l’abilità di spostare il proprio focus attentivo da un compito all’altro, pur mantenendo alto il livello di esecuzione: shifting attentivo

– competenza di non farsi distrarre da qualche stimolo inutile per l’esecuzione del compito principale: attenzione selettiva

E molto altro. Qui non ci dilunghiamo troppo sulle diverse componenti attentive perché il nostro obiettivo è iniziare a riflettere sui diversi aspetti che sono coinvolti e di cui, talvolta, ci dimentichiamo.

Come per esempio la stretta connessione che esiste fra apprendimento, emozioni e attenzione. Per cui, quando un bambino si approccia a certe tipologie di attività, memorizza non solo il contenuto da apprendere, ma anche l’emozione che sperimenta in quel determinato momento.

Diventa davvero fondamentale quindi lavorare affinché si possa creare un ambiente sereno, in cui lo studente possa sentirsi libero e tranquillo di mettersi in gioco. Difatti, le nostre credenze e aspettative, oltre che i nostri pensieri, sono fondamentali per determinare il nostro benessere;
se sperimentiamo continui fallimenti, se ci alleniamo e facciamo molteplici attività pur non vedendo arrivare risultati positivi, rischieremmo presto di perdere la voglia di metterci in gioco.

Quindi, cosa fare per aiutare lo studente a dare il meglio di sé?

Ecco qualche spunto per iniziare ad ampliare la propria prospettiva relativa alle problematiche d’apprendimento:

  1. Osservo e non interpreto: cosa riesce a fare meglio lo studente? Quali i suoi punti di forza e quali abilità deve migliorare?
  2. Il significato attribuito allo studente alla sua azione/comportamento potrebbe stupirci: lo scarabocchio molto spesso è una strategia che risulta utile al bambino, ma che viene letto dall’adulto come disattenzione; proviamo quindi a capire la ragione per cui uno studente mette in atto certi tipi di comportamenti, anche quelli che disturbano e infastidiscono;
  3. Agiamo in funzione di abitudini e davanti ai problemi siamo portati a usare le risposte e le azioni che già conosciamo e che in passato magari funzionavano… anche quando ci accorgiamo che da tempo non funzionano più. In tali situazioni può essere utile fermarsi e smettere di praticare le strategie disfunzionali, per darsi il tempo di capire cosa altro possiamo sperimentare.
  4. Le nostre reazioni sono importanti: sentirsi riconosciuti, competenti, star bene è importante per tutti, soprattutto per i bambini. Gratifichiamo quindi il loro impegno, riconosciamo i loro tentativi, focalizziamoci su ciò che di positivo fanno!
  5. Ricordiamoci che parliamo di comportamenti e azioni, non di caratteristiche immodificabili.
    Per cui c’è sempre qualcosa che può essere fatto per migliorare la situazione, diamoci il tempo di comprendere cosa! Chiediamoci qual è la più piccola azione positiva che lo studente sa fare, in questo modo possiamo iniziare a fornirgli attenzioni positive!
  6. Importante è avere chiaro l’obiettivo che vogliamo raggiungere; mi piace molto un detto marinaio che dice che non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. Come a dire che fino a quando non focalizziamo mentalmente l’obiettivo che vogliamo ottenere non riusciremo a trovare le soluzioni più adatte a raggiungerlo!

Bibliografia

Atkinson, W.W. & Hilgards, E.R. (2017). Introduzione alla psicologia. Piccin

Dellai, F. (2019). L’arte del dis-apprendere. Guida per genitori ed educatori alle difficoltà scolastiche, DSA e ADHD. In.Edit

Masoni, M. V. (2016). Ragazzi che odiano la scuola. Come negoziare con i più difficili. Fabbrica dei Segni

 

Dott.ssa Francesca Dellai

T:  +39 388 4004903

E: [email protected]

W: francescadellai.it

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Dottoressa Francesca Dellai Psicologa e Psicoterapeuta, lavora in diversi contesti per aiutare le persone a focalizzare le proprie risorse, con l’obiettivo di far raggiungere loro il pieno benessere personale. Da tempo ha intrapreso un percorso di studio approfondito e di esperienza sul campo per poter aiutare anche i più piccoli, soprattutto dove vengano riscontrati dei Bisogni Educativi Speciali. Ha svolto un Master di II livello in Psicopatologia dell’Apprendimento e percorsi formativi relativi all’autismo. Da anni lavora nei contesti scolastici e costruisce percorsi di formazione per insegnanti e altre figure (genitori, oss, istruttori e allenatori sportivi...) che si occupano di età evolutiva e del benessere della Persona. Ha pubblicato diversi contributi e nel 2019 è uscito il suo libro: ‘L’Arte del dis-apprendere’ (In.Edit). È membro del consiglio direttivo della Società Italiana Psicoterapia Interazionista (SIPI) e dal 2015 fa parte del comitato di redazione di Scienze dell’interazione - Rivista di psicologia clinica e psicoterapia’. I suoi interessi in particolare ruotano attorno a queste tematiche: • BES - Bisogni Educativi Speciali • Psicologia del Benessere • Abitudini Alimentari • Psicologia e ambito sportivo Contatti: 39.388.40.04.903 Email: [email protected] Sito: www.francescadellai.it

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