Gli scienziati della salute (anche mentale) ai tempi del Covid-19

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Miriam Gandolfi

In questi giorni tra le polemiche relative a responsabilità sulla gestione dell’emergenza sanitaria, di quella economica e chi più ne ha più ne metta, le parole più usate sono state “scienza” e “scienziati”. Vengono tirati in ballo per le mascherine, per i tamponi, per i farmaci più o meno autorizzati, per la gestione del panico, per lo sviluppo psicofisico dei bambini, in modo da consentire ai Politici di decidere quando “riaprire i cancellie rimettere in libertà i cittadini.

Insomma, per qualunque cosa pendiamo dalle labbra degli scienziati. Giornali e trasmissioni televisive e radiofoniche fanno a gara per avere ospite il loro scienziato di punta e pare facciano a gara per mettere in evidenza le discordanze tra loro, ma senza spiegare perché siano in disaccordo. Il punto è che le parole scienza e scienziati vengono usate come se si trattasse dell’Oracolo. Gli scienziati sono uomini e come tutti gli uomini hanno delle opinioni, delle visioni anche politiche del mondo, subiscono più o meno il fascino del potere e del denaro.

La scienza è il prodotto intellettuale ma anche contingente degli uomini scienziati, quindi anche indicatore dello Spirito del Tempo/ Zeitgeist. La storia della scienza e della medicina coincidono con la storia dell’Umanità, dunque anche di quanto sia possibile, affascinante, comodo o pericoloso essere acquiescenti o dissidenti.

Galileo, per poter condurre i suoi esperimenti, si manteneva stilando oroscopi per i ricchi e i potenti. Su questo la Chiesa non ebbe da ridire. Invece Galileo dovette fingere di ammettere di essersi sbagliato per salvare la pelle quando capovolse la visione del mondo mettendo al centro il sole invece della terra.

Leonardo Da Vinci era un appassionato di cucina e, da giovane ingenuo e ancora del tutto idealista, volle dedicarsi a questa attività. Come tutti i geni era molto, troppo, in anticipo sui tempi e, dopo aver inventato i coperchi (all’epoca questo compito era affidato a teli scomodi, malsani e a pericolo di incendio) e numerosi attrezzi da cucina che oggi ci vengono proposti nelle televendite, volle aprire una sua locanda dove trasformava le vivande in sculture ed opere d’arte.

Oggi sarebbe andato alla grande, ma all’epoca fallì. Dunque riconvertì la sua azienda e trasformò sbucciapatate, affetta vivande, sbattitori, in macchine da guerra (ovviamente apportando qualche opportuna modifica!). Questo gli valse onori e soprattutto una vecchiaia tranquilla. Ma è ancora così? Davvero gli scienziati sono ostaggi del loro tempo e la loro libertà di ricerca è così condizionata dalle necessità economiche e da chi in quel momento ha il potere?

Non possono non venire alla mente esempi nella storia più recente e dagli effetti tragici per l’umanità. L’iniziale entusiasmo per la nascita del nazionalsocialismo fece credere che finalmente ci si occupasse di studiare e curare bambini e persone disabili. I genitori/familiari firmarono con dolore ma pieni di speranza il consenso a ricoverare i loro cari in strutture specializzate, in case di cura. Ma quando le ingenti spese di armamento e gli interessi economici collegati si fecero sentire, quelle stesse persone furono catalogate come “mangiatori inutili”, trasformati in cavie e la morte non fu la sorte peggiore (1).

Ma questo è successo nel lontano 1938! Sull’Avvenire è comparso, il 14 aprile 2020, un articolo di Elena Molinari in cui si denunciava che a New York per i disabili non sarebbero state disponibili le necessarie cure sanitarie anti Covid-19 (2). Da tenere presente che negli Stati Uniti, con la voce disabili si intendono indistintamente persone con disabilità fisica e psichica. Dunque sfruttatori inutili del sistema sanitario americano “meritocratico”. Ma si sa, attualmente gli Americani vivono un brutto momento con il loro Presidente.

Invece no, come nel primo ‘900 molti illustri scienziati europei condividevano le teorie scientifiche nazi-fasciste sull’idea che i malati mentali sono dei mal riusciti della selezione naturale, così il 19 aprile esce sul Tg 3 un breve servizio sulla Spagna, dove una donna segnalava di venire denunciata dai vicini, perché nonostante i divieti usciva con il suo bimbo autistico. Pare che per evitare interventi inutili della polizia la proposta fosse di porre un riconoscimento sul bambino rotto. Un nastro azzurro… (mi pare che la stella di Davide fosse gialla).

E cosa succede nel nostro “Bel Paese”?

Tutti abbiamo visto e sentito i consigli degli psichiatri ed esperti di disturbi mentali. Non sono mancati quelli nostrani (Alto Adige, ndr). Oltre alle interviste gli esperti di malattie mentali altoatesini ci hanno informati, con un articolo a tutta pagina sulla stampa locale e con tanto di percentuali statistiche, di quanto siamo diventati più affetti da disturbi mentali. La tesi del dottor Roger Pycha, sostenuta da altri operatori compiacenti, è davvero suggestiva.

Partendo dall’affermazione che in “Italia e Germania: la sofferenza mentale viaggia lungo canali diversi” e mentre “i tedeschi sono più preoccupati per il futuro professionale ed economico” gli italiani sarebbero “ansiosi e preoccupati per il contagio e la morte dei loro cari”, mostrano un significativo aumento dei sintomi tipici della depressione.

E qui arriva il colpo dello scienziato: “In Alto Adige l’aumento della sofferenza psichica colpisce una terra già fragile con i suoi tassi record di suicidi e abuso di alcol”. Il tutto sostenuto da un ente dal nome importante come Alleanza Europea contro la depressione (EAAD) e citando una ricerca commissionata dall’Ordine Nazionale degli Psicologi all’Istituto Piepoli, istituto specializzato in rilevamenti demoscopici di marketing e di opinione, non sanitari (3).

Ecco fatto! Ogni esperienza esistenziale, in questo caso ogni reazione più che legittima, viene classificata come scarsa resistenza allo stress, come limitata resilienza (parola di moda e applicata al comportamento umano senza comprenderne il vero significato), come fragilità da curare/sostenere, in una parola da psichiatrizzare.

Qui sta il punto: come possiamo valutare ciò che ci viene propinato come “scientifico”? Proprio la gestione del Covid-19 ha messo in evidenza come l’etichetta scienza”, “scienza della salute” e ancor più “scienza della salute mentalenon è garanzia di chiarezza e trasparenza, di reale aderenza a criteri scientifici dei contenuti e informazioni diffuse, di profonda comprensione della complessità del fenomeno.

L’allarme per la libertà di ricerca e libera circolazione dei risultati dell’attività scientifica è stato lanciato da tempo, anche da scienziati autorevoli. E l’allarme non può essere sottovalutato, perché è dalla ricerca scientifica che dipendono le scelte sociali e politiche circa il da farsi. In particolare la gestione dei farmaci.

Di nuovo dobbiamo ringraziare il Covid-19 per aver reso evidente come la confusione e la voluta mancanza di trasparenza riguardi proprio la ricerca su farmaci, test sierologici e vaccini. Infatti, il problema dell’abuso o dell’uso inutile o scorretto dei farmaci non riguarda solo le sostanze psicotrope (psicofarmaci), ma in generale la libertà di ricerca in qualunque campo. Tuttavia la ricerca in ambito medico rappresenta un portale di accesso privilegiato alle necessità dei cittadini.

Storicamente, in ogni tempo ed in ogni cultura, anche la più arcaica, lo stregone/guaritore era più potente e temuto del più grande guerriero. Ed è ancora così. Si pensi che la Food and Drug Administration (FDA), sospettata e accusata da tempo di scarsa trasparenza nel concedere autorizzazioni alla commercializzazione di prodotti, in particolare dei farmaci, ha potuto rifiutarsi di fornire le informazioni richieste perfino ad alcuni membri del Congresso.

Il giornalista scientifico Charles Seife, docente di giornalismo all’Università di New York, nel maggio 2017 ha deciso di citare in giudizio la FDA appellandosi al Freedom of Information Act, la legge sulla libertà d’informazione. La risposta è stata un plico di descrizioni con moltissime righe secretate (cancellate con il neretto) perciò incomprensibili, con la motivazione che la divulgazione delle informazioni omesse avrebbe causato “un danno sostanziale in termini di competitività” dell’azienda.

Questa la conclusione di Seife: “Il lavoro della FDA dovrebbe essere l’esatto contrario: lottare contro la distorsione della scienza da parte dell’industria farmaceutica e offrire una misura oggettiva della sicurezza e dell’efficacia dei farmaci per aiutare i medici a scegliere la soluzione migliore per i loro pazienti. Invece…la FDA si schiera nettamente con l’industria e contro gli interessi pubblici. (4)

Per lo stesso motivo è nato il Board internazionale IIPDW, (5) che si accerta che gli autori delle pubblicazioni scientifiche in materia di psicofarmaci e reazioni avverse al loro uso, abuso o scorretta gestione siano liberi da conflitti di interesse e totalmente autonomi nel condurre le loro ricerche.

Dunque, siamo ancora lì: la conoscenza, reale o presunta, è il mezzo di cui i “potentivogliono impadronirsi e il denaro è un grimaldello fortissimo. Marco Cattaneo, fisico e Direttore responsabile della rivista Le Scienze, ironizza sul cronico problema di reperimento di fondi, sostenendo che essendo ‘ricercatori’ giustamente il primo compito è ‘ricercare fondi’, poi se avanza tempo ed energia si fa anche ricerca.

Nel mio ambito professionale (psicologia clinica e psicologia dell’età evolutiva) mi confronto tutti i giorni con il problema di come la scienza può essere piegata o usata per utilità altre, in particolare per semplificare la vita delle istituzioni addette alla promozione e tutela del diritto all’istruzione e alla salute dei bambini e minori in genere.

Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, Ministero dell’Università e della Ricerca, Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA, equivalente della FDA), sono tutti luoghi dove gli scienziati sono presenti come consulenti, ma sono anche i luoghi dove si muovono i cordoni della borsa e dove si costruiscono carriere.

Non è un caso che l’Industria Farmaceutica Italiana sia tra le poche che ha un costante aumento di fatturato e di utili, anzi più il tempo è di crisi e più il bilancio è positivo. Il Covid-19 sarà una manna, e gli psicofarmaci saranno tra i primi in classifica.

Ancora un grazie al Corona-virus, che ha portato alla luce un’altra mancanza di trasparenza, anche se la luce è stata subito spenta, anzi silenziata. L’8 aprile, il primo notiziario ha comunicato che Mauro Ferrari, Presidente del Consiglio Europeo per la Ricerca (ERC), ha dato le dimissioni per non essere riuscito a mettere in piedi un progetto di ricerca a livello europeo sul Covid-19. Cioè a introdurre sistemi di verifica e controllo globale a scapito di interessi (economici e di carriera) particolari. Uno scienziato del suo calibro può permettersi l’onesta intellettuale. Nei notiziari successivi l’informazione è sparita senza commenti o dibattiti.

Umberto Eco insegnava che le “piccole notizie a margine” sono quelle più significative e informative.

È fondamentale che chi si occupa e preoccupa di salute mentale, esperti e pazienti, cerchino di uscire dalla nicchia della psicopatologia e si colleghino al mondo della salute globale. Infatti, solo così si potrà sviluppare ricerca e conoscenza che aiuti a spiegare questo fenomeno ancora incompreso e solo controllato.

Tanto più che proprio medici e pediatri di base sono ormai usati come ‘cavalli di Troia’ per far passare come normale e routinario l’uso degli psicofarmaci, prestandosi alla loro facile prescrizione.

Per fortuna c’è ancora qualcuno che resta fedele al giuramento di Ippocrate: “primo non danneggiare il paziente”. Segnalo a tal proposito il gruppo di Medicina di Segnale (AMPAS), (6) costituito da professionisti che sottolineano la necessità di un cambiamento di paradigma, cioè delle premesse su cui ripensare al concetto di salute e di malattia, in modo “ecologico”, ovvero che tiene conto di tutte le variabili in gioco simultaneamente, considerando vantaggi e costi collettivi non solo specialistici cioè parziali/puntiformi. Io aggiungo queste sono le stesse premesse necessarie per studiare e comprendere la psicopatologia.

Questo percorso, iniziato negli anni ’70 del secolo scorso, si è interrotto, ma ora non è più rimandabile. È necessario riappropriarsi della posizione di studiosi e ricercatori che garantiscono trasparenza ed etica al loro operare. Solo così si potrà aumentare la conoscenza e parlare di agire scientifico.

La scienza è il processo con cui l’uomo cerca di dare risposte efficaci alle domande che la vita pone, ma a differenza di altre forme di pensiero è disposta a coltivare dubbi e incertezze, a verificare le proprie teorie, ad ammettere i propri errori, a non accontentarsi di risposte parziali e non separare la conoscenza dall’etica.

Il suo motore dovrebbe essere la curiosità, non il profitto. Una scienza utile a cogliere le sfide della complessità degli esseri viventi è soprattutto capace di comprendere quando soluzioni immediate e rapide si rivelano solo apparenti, perché avranno conseguenze ancora peggiori nel lungo termine.

Per chi lavora nell’ambito della salute mentale l’incapacità di cogliere questo aspetto è la via alla cronicizzazione dei problemi. Perciò usiamo la tragedia dei molti lutti e lo sconvolgimento sociale, economico e psicologico di questa epidemia per diventare più intelligenti e sani di mente.

 

Bibliografia

  1. Marco Paolini, Ausmärzen. Vite indegne di essere vissute, Einaudi, 2012.
  2. Avvenire, 14 aprile 2020, Elena Molinari www.avvenire.it./mondo/pagine/strage-di-disabili-negli-stati-uniti
  3. Alto Adige, 21 aprile 2020, Roger Picha
  4. Charles Seife, Omissis. La FDA sta nascondendo i dati trial clinici per proteggere i segreti commerciali delle case farmaceutiche? Le Scienze, aprile 2018, pag. 62-67
  5. International Institute for Psychiatric Drug Withdrawal (iipdw.org)
  6. Medicina di Segnale (AMPAS), medicinadisegnale.it
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Si laurea in Psicologia nel luglio 1976 presso l'Università di Padova e da subito di occupa di temi di integrazione e contrasto alle istituzioni segreganti, ambito che resterà sempre di suo maggior interesse. Infatti nel settembre 1976 accetta di lavorare per il neocostituito Centro Spastici di Bolzano che dopo alcuni anni diventerà il Servizio Provinciale Specialistico per la Riabilitazione dei Neurolesi e Motulesi, occupandosi del superamento delle scuole speciali e degli istituti per adulti incluse le strutture manicomiali. Completa la sua formazione presso il reparto di psicosomatica della Clinica Pediatra dell'Universita di Innsbruck ( 1977) dove si avvicina all'approccio sistemico alla malattia mentale, noto poi come Milan Approch. Proseguirà e concluderà la sua formazione in questo indirizzo a Milano, nel periodo 1980- 1985 divenendo, nel momento della sua fondazione, membro e didatta della Società Italiana di Ricerca e Terapia Sistemica (S.I.R.T.S.). Dal 1999 al 2018 è docente presso l' Istituto Europeo di Terapia Sistemo-relazionale di Milano.( EIST riconosciuta MIUR nel 2001). Lascia il Servizio pubblico nel 1992 mantenendo attività di formazione e supervisione per vari servizi socio-sanitari pubblici e docenze a contratto universitarie. Dal 2020 è docente a contratto presso l'Universita di Bergamo per il corso di Alta Formazione sui Disturbi Specifici dell'Apprendimento. Dal 1992 è co-titolare del Centro di Psicologia della Comunicazione e dell'Officina del Pensiero ( Bolzano e Trento) dove svolge e coordina attività di ricerca in particolare nell'ambito di autismo, DSA e ADHD , temi su cui ha prodotto pubblicazioni. Si è sempre impegnata anche per valorizzare la categoria professionale degli Psicologi assumendo la carica di Segretario provinciale del sindacato degli psicologi prima della costituzione dell'Ordine Professionale (1989) è poi quella di primo presidente dell'Odine Provinciale Provincia Autonoma di Bolzano. Dr. Miriam Gandolfi Psicologa psicoterapeuta Bolzano/Trento www.officinadelpensiero.eu 0471/261719

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