Come sulle montagne russe – Un progetto di vita che non ho mai brevettato

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Laura Guerra

Questa è la storia di Vittorio (nome di fantasia) che racconta della sua vita e della diagnosi ricevuta di disturbo bipolare. Anche se la redazione di Mad in Italy non entra nel merito delle diagnosi psichiatriche, siamo lieti di pubblicare un articolo che descrive in maniera dettagliata il percorso di vita così denso di risvolti emotivi e di episodi di trattamento psichiatrico.

 

Ricordo nella mia infanzia le sfuriate di mia madre contro noi bambini, mia sorella e io, e contro mio padre. Ricordo di una volta che per picchiarmi mi salì addosso sul letto sbattendomi in faccia un sandalo che mi prese sull’occhio lasciandomi un segno ancora oggi visibile. Mia madre poi fu tardivamente diagnosticata bipolare.

Minacciava spesso mio padre col coltello che, non potendone più, quando io avevo 13 anni e mia sorella 5, se ne andò di casa. Poco tempo dopo, mentre sbraitava contro di lui, in un mio tentativo di difenderlo, mi buttò fuori di casa con 50 lire e con la febbre a 39°C. Presi l’autobus, andai da mio padre e restai con lui. Mia sorella restò invece con mia madre e sviluppò il disturbo bipolare. Alla età di 33 anni aveva già subito 3 TSO, con obbligo di trattamento con depot.

A mio padre rinfacciava spesso di essere odontotecnico e non dentista, cosa che ha interferito con la mia educazione scolastica. Infatti, dopo la maturità, mio padre mi spinse ad iscrivermi a medicina per farmi diventare dentista e lavorare in studio con lui. Mia madre a quell’epoca lo teneva sotto ricatto con la minaccia di denunciarlo per abuso di professione.

Diventare medico però non era la mia aspirazione e dopo una decina di esami lasciai gli studi per inseguire i miei sogni. Dopo un paio d’anni trovai un ottimo impiego in un’azienda internazionale nel campo delle tecnologie e del software. Mi creai un’ottima posizione sociale ed economica.

In quegli anni mi sposai ed ebbi il mio primo figlio. Il secondogenito arrivò dopo qualche anno. Le cose mi giravano piuttosto bene, ero felice e mi sentivo realizzato, ricevevo riconoscimenti e promozioni.

Ma, inspiegabilmente, dopo pochi mesi caddi in una profondissima depressione. Avevo idee suicidarie, ma l’amore per mio figlio mi salvò dal compiere il gesto.

Stavo molto male e così decisi di rivolgermi a una famosa clinica toscana.

Alla clinica, un luminare mi diagnosticò il disturbo bipolare in quanto sosteneva che la mia grande creatività e intraprendenza sul lavoro fossero il frutto di maniacalità e così mi imbottì di psicofarmaci (11 o 13 pastiglie al giorno). A quel punto, stavo peggio per i farmaci che per la depressione, mentre i pensieri di suicidio erano ancora presenti.

In quel periodo mi diede oltre al litio anche il Prozac. Dopo pochi giorni di assunzione del farmaco picchiai tre persone in due giorni, tutte per motivi di traffico stradale. Fortunatamente, la psichiatra che collaborava col luminare riconobbe che la mia aggressività era dovuta dall’effetto collaterale del farmaco e me lo tolse.

In seguito, ho dovuto lasciare il mio prestigioso lavoro in quanto, intontito dagli psicofarmaci, avevo perso la mia creatività e lucidità. In quello stato non potevo più restare in quell’ambiente dove ero conosciuto e stimato e così mi licenziai. In questo periodo, grazie all’esperienza che stavo facendo, fondai una mia piccola azienda di consulenza con diversi collaboratori.

Ho cominciato a riprendermi dopo circa un anno quando un nuovo psichiatra mi ha diminuito gli psicofarmaci. Questo nuovo psichiatra riteneva che io non accettassi la mia patologia e che avessi un controllo molto particolare su di essa. Io cercavo infatti un dialogo con la mia patologia: cercavo di capire se i miei comportamenti fossero normali o indotti dal mio stato patologico. Nella fase depressiva mi riusciva meglio, vedevo la depressione come un lato della mia patologia, sapevo che era causata dalla mia infanzia e cercavo di accettarla e superarla. Nella fase maniacale, invece, non riuscivo a capire bene dove finisse il comportamento razionale e cominciasse quello legato alla maniacalità, anche se sinceramente non mi sono mai reso conto di attraversare questa fase se non come una propensione alle spese e, come detto, alla mia grande intraprendenza sul lavoro e nelle relazioni sociali.

Dopo un periodo di tre anni con questo psichiatra con cui mi ero trovato molto bene, passai al CIM dove non mi trovai assolutamente bene, anzi il rapporto col nuovo psichiatra fu fallimentare.

Passai allora nello stesso centro ad una psichiatra bravissima con la quale instaurai un bel rapporto di stima reciproca. La dottoressa mi scalò gli psicofarmaci, mi tolse il litio poiché per il mio lavoro avevo bisogno di tutta la mia creatività e intraprendenza. Mi aggiustava i farmaci quando il mio umore andava verso il basso, mentre non ricordo che mi sia mai stato aggiustato per l’umore troppo alto. Oltre alla terapia coi farmaci con questa dottoressa facevo anche psicoterapia. Mi fidavo completamente di lei.

Nel frattempo, il progetto di consulenza aveva attirato l’attenzione di due colossi della finanza italiana che volevano subentrare. Io mi opposi con tutte le mie forze ma non ci fu niente da fare. Le multinazionali presero in mano il progetto e, siccome sino a quel momento mi ero opposto alla fusione, fui costretto a licenziarmi per l’ostracismo contro di me che non mi permetteva più di lavorare.

Avviai allora un’altra attività per la realizzazione di un progetto edilizio innovativo e molto ambizioso. Il progetto venne approvato dalla giunta politica in carica con un enorme investimento. Tutto sembrava procedere per il verso giusto fino a quando le forze politiche in carica capitolarono e una nuova giunta politica salì al potere. I nuovi referenti politici si appropriano del mio progetto, escludendomi.

Anche per alcuni investimenti non andati a buon fine, chiusi la mia agenzia di consulenza.

Durante questo periodo, ebbi un primo carcinoma che si risolse con un intervento chirurgico. Dopo qualche anno, al termine di 25 anni di matrimonio, mia moglie e io ci separammo.

Senza lavoro e in cerca di una nuova casa, con il mercato del lavoro in calo, una persona amica mi offrì un lavoro in una azienda di telecomunicazioni. Aprimmo una nostra succursale di vendita di contratti, ma dopo un periodo di tempo, un collaboratore stilò un sacco di contratti falsi e l’azienda madre ci tolse la commissione.

Di nuovo senza lavoro, tramite un altro amico mi rimisi in piedi cominciando a fare l’amministratore di condomini. Le cose andavano bene perché gestivo tra200 e 300 appartamenti e altri beni immobili.

In questo periodo, dopo la fine del matrimonio, ebbi diverse frequentazioni e incontrai quella che sarebbe diventata la mia compagna per circa un anno. Cercammo casa insieme e io feci diversi inversimenti per ristrutturarla e arredarla per un valore di quasi 50.000 euro. mantenevo lei e i suoi due figli occupandomi di tutto il necessario.

Dopo otto mesi di convivenza mi ammalai di un nuovo tumore. La mia compagna, molto carina fino a quel momento, non prese bene la cosa. Dopo essermi ripreso dall’intervento mi buttò fuori di casa.

Proprio in questo periodo, la dottoressa di cui mi fidavo venne trasferita in un’altra ASL e io mi ritrovai con uno psichiatra che non mi piaceva.

Riguardando i vari periodi della mia vita riconosco che il mio rapporto con i vari psichiatri mi ha segnato molto, sia in positivo che in negativo. Quando instauravo un buon rapporto con uno psichiatra anche la vita mi girava bene, l’opposto con gli altri. La fine del mio rapporto con questa psichiatra ha segnato l’inizio dei miei problemi più grossi.

Contemporaneamente, l’ente per cui lavoravo tramite un’operazione finanziaria affidò ad altri la gestione dei condomini e dei fondi immobiliari. Restai di nuovo senza lavoro e in mezzo alla strada.

Per un po’ di mesi la mia compagna, che ho poi scoperto essere alcolista, mi riaccolse e mi buttò fuori di casa diverse volte, sino alla volta definitiva, a dicembre.

Mi ritrovai a vivere in macchina. In questo periodo così difficile mi prese un’altra depressione devastante che, a differenza della prima arrivata in momento della vita in cui avevo tutto ed ero al top, questa volta arrivò in un momento di massima vulnerabilità.

Fortunatamente degli amici mi aiutarono ad affrontare questa nuova situazione, ad es. per fare la doccia e offrendomi un posto per dormire ogni tanto, i baristi e gli abitanti della zona mi aiutarono regalandomi i tramezzini che restavano a fine giornata. Ma stavo comunque malissimo.

Il mio nuovo psichiatra non era di nessun aiuto. Spendeva il tempo della seduta raccontandomi delle sue battute di pesca e non si rendeva conto che avevo bisogno di parlare e di un aiuto concreto. Si limitava a prescrivermi una gran quantità di psicofarmaci. Per fortuna, una mia cara amica capì bene lo stato in cui mi trovavo e andò a parlare con lo psichiatra che fino a quel momento aveva sottovalutato la situazione. Fui quindi ricoverato in una clinica psichiatrica.

Qui trovai bravi medici e psicologi che mi aiutarono veramente. Mi davano pochi psicofarmaci, facevo psicoterapia ogni due o tre giorni e così mi rimisi  in piedi.

Nell’aprile del 2018, ebbi la fortuna di incontrare Paola, una generosa volontaria che aiuta i senzatetto. Mi aiutò in diversi modi e mi fece anche avere una vecchia roulotte dove abitare per un po’ di tempo. Nel frattempo, incominciai a ricevere la pensione di invalidità ed il reddito di cittadinanza. Aiutato dai miei amici baristi che mi facevano avere le commissioni, arrotondavo trasportando persone, come taxista con la mia vecchia Mercedes. Queste nuove entrate mi permisero di affittare una stanza in un appartamento con altre persone. In queste circostanze, affrontai una radioterapia per il ritorno del tumore, ma tutto sommato mi ripresi dal periodo di circa due anni passato in strada.

Da circa tre anni, dopo essere uscito dalla clinica in cui ero ricoverato per la depressione, ho scalato lentamente gli psicofarmaci fino a sospenderli completamente. La paura di avere ricadute c’è sempre, forse dovuta alla convinzione che mi hanno inculcato all’epoca della prima depressione e cioè che dal disturbo bipolare non si guarisce ma, nonostante tutte le difficoltà che ho attraversato durante questo ultimo periodo, sono stabile e le esperienze fatte durante il corso della mia avventurosa vita mi permettono di continuare ad affrontare le avversità con fiducia e a ricambiare l’aiuto ricevuto nei momenti più difficili in forma di volontariato verso le persone più deboli.

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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