Psicofarmaci: La fiducia tradita – Renée A. Schulls-Jacobson – A cura di Giuseppe Tibaldi

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Laura Guerra

PSICOFARMACI: LA FIDUCIA TRADITA. RISVEGLIARSI DOPO 10 ANNI DI PESSIME CURE MEDICHE – di RENÉE A. SCHULS-JACOBSON 

A cura di GIUSEPPE TIBALDI

Presentazione di Anna Barracco della video-conferenza con intervista di Giuseppe Tibaldi all’autrice del libro Psicofarmaci: La fiducia tradita (1)

 

“La notte era finita,

ma si sentiva ancora

sapore della vita”

(D. Modugno, Meraviglioso).

 

Ho visto l’intervista del dott. Giuseppe Tibaldi a Renée Schuls Jacobson, un’insegnante di inglese che, dopo un periodo di insonnia e ansia, si rivolge al suo medico di base e riceve una prescrizione di benzodiazepine. Dopo un po’, cerca di liberarsi di questi farmaci che, se all’inizio sembravano averle dato sollievo, si sono invece trasformati in un incubo. Dipendenza, devitalizzazione, incapacità di riprendere in mano la propria vita.

Renée si riduce a una specie di ameba, ma nessun medico le dice che sono i farmaci ad avere prodotto quello sfacelo. Si tratta di farmaci descritti come innocui, e prescritti a dosi ridicole. Il problema quindi è lei, è lei ad essere sbagliata. Pensa seriamente a togliersi la vita e immagina di gettarsi dal decimo piano di un grattacielo. Un giorno tenta questo, presa dalla disperazione insopportabile di chi ha perso il senso di sé, il rapporto con la vita, con i sensi, con la creatività profonda e la connessione corpo-anima che è indispensabile per sentirsi esseri viventi e non macchine.

In quel momento accade un miracolo. Una donna si affianca a lei e le chiede come mai. Quella donna, che la allontana dal baratro, ha vissuto anche lei l’esperienza del gorgo. E’ uscita anche lei dal tunnel della dipendenza da psicofarmaci e introduce Renée nel mondo delle comunità di Recovery e nell’autoaiuto, nelle pratiche meditative e corporee.

Ma non è l’unico miracolo che Renée incontra sulla sua strada. Un’amica, mentre era ricoverata e prostrata, incapace di sentirsi viva, le regala qualche pastello e dei fogli bianchi. Materiale da quattro soldi. Renée inizialmente è spiazzata. Lei, un’insegnante di inglese, ora si mette a disegnare e a scarabocchiare come una bimba dell’asilo?

Eppure, forte forse del legame affettivo con l’amica, con quel gesto che sente come un vero gesto d’amore, un tentativo di gettare un ponte di umanità fra loro due, Renée comincia a scarabocchiare, a strappare a incollare prima rabbiosamente poi sempre più gioiosamente, e questi prodotti vengono apprezzati sul web, innescando un circolo comunicativo virtuoso e incentivando la sua volontà creatrice.

Oggi Renée è una coach e anche un’artista. Si occupa di sostenere la recovery di tante persone, non soltanto vittime di malpractice mediche o di eccessivo utilizzo di farmaci, ma anche bambini con lesioni neurologiche o cerebrali, periferiche o centrali. Le competenze da rivitalizzare, le aree da rianimare, sono infatti le stesse. Riattivarsi, riconnettersi con i propri talenti creativi, cambiare prospettiva e pensare a ciò che si può fare e a ciò che abbiamo. L’uso delle mani, l’atto creativo che ci fa stare nel qui ed ora è la chiave di questa riconnessione. Giardinaggio, yoga, ma anche scrittura creativa, pittura, teatro, musica. Ogni arte, ogni elemento che possa rimetterci in connessione con la nostra profonda radice.

Renée non è una miracolata e il suo percorso non è stato certo breve né facile

Colpisce nel video la pacificazione e l’equilibrio con cui parla dei medici, della categoria dei prescrittori, che probabilmente a loro volta sono stati ingannati. A loro è stato insegnato che c’è un farmaco per ogni disagio, e aprire gli occhi su tante bugie che sono state loro propinate non sarà facile. In passato si credevano tante cose che oggi sono superate. Fino a pochi anni fa anche fumare sigarette era considerato elegante e buono. Un semplice lubrificante sociale. Ma oggi sappiamo che non è così. E’ solo un esempio che viene fatto nel video, ma credo che per me, per noi che siamo operatori della salute, questa possa essere la parte più significativa del video. Renée non ha ricette valide per tutti, descrive un cammino che deve essere di ascolto reciproco e soprattutto di responsabilità. Non si guarisce stando sul divano ad aspettare che le cose cambino e questo penso che valga anche per noi, per la comunità dei curanti. In particolare per chi, come me, oltre che psicoterapeuta sono ex paziente, sono una persona a mia volta uscita dalla gabbia degli psicofarmaci. Condivido quello che dice Renée. Il cammino è soprattutto individuale, occorre riconnettersi con la propria storia, interrogare le proprie radici e individuare ciò che ci ha reso e può renderci vulnerabili. Cosa ci ha  portato all’uso degli psicofarmaci? Quali sono i nostri punti di rottura e come imparare ad affrontare le difficoltà? E’ un cammino che dura anni e ci sono varie svolte, ognuno può individuare le sue scansioni. Condivido anche il fatto che i gruppi di auto aiuto non possono sostituirsi a questo lavoro di ricerca e che di per sé possono anche non essere utili se si trasformano in piagnistei o rivendicazioni sterili.

Commovente per me anche la parte in cui Renée parla dei racconti biblici, il patrimonio collettivo e transgenerazionale con cui si è riconnessa, e le fantasie di bambina, che immaginava di essere una pioniera. Ognuno di noi ha questa possibilità di connettersi con le radici e dispiegare quindi le ali, mettersi in cammino per segnare un nuovo percorso e aprire nuove vie.

Dovrebbe poterlo fare, e questo è il nostro compito penso come IIPDW e Mad in Italy, anche la comunità scientifica. Ammettere che fra l’utopia forse precipitata nella trappola ideologica della stagione basagliana degli anno ’70, e la deriva farmacologica e riduzionistica apertasi  negli anni ’90, con l’ubriacatura legata ai nuovi antidepressivi, occorre ritrovare una modalità di fare scienza che tenga conto della complessità del fenomeno salute mentale. Una scienza che abbandoni il paradigma mono-causale e le derive burocratiche e custodialistiche del dogma biomedico. Una scienza che tenga conto dell’impatto che la società, il potere, le disuguaglianze, le risorse delle comunità e dei singoli, imprimono nei corpi delle persone e nei quartieri. Oggi la psichiatria, la psicologia, l’antropologia, la sociologia,  devono incontrare le storie delle persone, dei protagonisti, dei diretti interessati, mettersi in ascolto e ammettere che con le deportazioni di massa delle comunità e con la segregazione chimica non si può più andare avanti. Il Re è nudo.

Anna Barracco

Ricordiamo ai lettori che la sospensione degli psicofarmaci deve essere lenta e graduale, sotto la supervisione di un medico esperto, e accompagnata da una psicoterapia di qualità per affrontare i problemi che avevano fatto intraprendere l’uso degli psicofarmaci.

Per informazioni sui metodi sicuri di sospensione degli psicofarmaci segnaliamo il libro SOSPENDERE GLI PSICOFARMACI: COME E PERCHÈ (2)

Bibliografia

1) Renée A. Schuls-Jacobson. Psicofarmaci: la fiducia tradita – Risvegliarsi dopo dieci anni di pessime cure mediche. A cura di Giuseppe Tibaldi Mimesis Edizioni.

 

2) M.Maviglia, l. Guerra, M. Gandolfi. Sospendere gli psicofarmaci: come e perché – Costruire un percorso personalizzato ed efficace. Fabbrica dei segni, 2024
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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Ha inoltre tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici". Recentemente, insieme a Marcello Maviglia e Miriam Gandolfi, ha pubblicato il libro "Sospendere gli psicofarmaci: Come e perché. Costruire un percorso personalizzato ed efficace.