Banalità del male e istituzioni totali – Il processo per violenze su persone disabili a Pisa

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Laura Guerra

LA VICENDA STELLA MARIS e LA BANALITA’ (DEL MALE) NELLE ISTITUZIONI
TOTALI

Pubblichiamo l’articolo che ci perviene dal Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.

Dall’articolo:

“Come ha scritto nella sua relazione il consulente tecnico, professor
Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: “Leggendo gli
atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione
di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori,
radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della
direzione delle strutture”. E ancora: “Una violenza così evidente
richiama la possibilità di ipotizzare che altre violenze si siano
verificate in contesti meno pubblici”. “In queste situazioni si
sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono
gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue
caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo
e afflittivo”.”

Presso il tribunale di Pisa si sta svolgendo il processo per i
maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia, in
provincia di Pisa, gestita dalla fondazione Stella Maris. Nell’estate
del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite, la
struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di
microcamere. Dopo tre mesi di intercettazioni la procura di Pisa ha
configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti basandosi sui
materiali video accumulati.
I genitori, i tutori e altri testimoni già ascoltati dal tribunale hanno
riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle
videoregistrazioni: 284 episodi in meno di tre mesi , una violenza –
quindi – non occasionale ma strutturale. L’Istituto scientifico –
Ospedale specializzato – Centro di assistenza Stella Maris si occupa di
assistenza e cura dei disturbi e delle disabilità dell’infanzia e
dell’adolescenza. Di fatto è un’istituzione privata convenzionata con il
pubblico, gestita dalla Curia di San Miniato e finanziata con soldi
pubblici (milioni di euro l’anno) dalla Regione Toscana, che nonostante
la gravità degli abusi non ha ritenuto opportuno costituirsi come parte
civile al processo.

Tra gli ospiti della struttura di Montalto di Fauglia ricordiamo Mattia,
morto nel 2018 per soffocamento in seguito al blocco della glottide
dovuto alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I
continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al
momento dei pasti di cui la famiglia non è mai stata informata. Per
questa vicenda è in corso un altro procedimento penale e il processo in
primo grado non ha individuato alcuna responsabilità da parte dei medici
e della struttura.

Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di cinque anni
con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera
l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta,
infatti, del più grande processo per violenze su persone con disabilità
in Italia. Al momento gli imputati sono 15. Tra essi figurano anche le
due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore sanitario della
Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha
patteggiato la pena e il Direttore generale Roberto Cutajar che, avendo
scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di
reclusione e poi è stato assolto nel processo d’appello.

Come ha scritto nella sua relazione il consulente tecnico, professor
Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: “Leggendo gli
atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione
di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori,
radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della
direzione delle strutture”. E ancora: “Una violenza così evidente
richiama la possibilità di ipotizzare che altre violenze si siano
verificate in contesti meno pubblici”. “In queste situazioni si
sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono
gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue
caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo
e afflittivo”.

La relazione tecnica afferma inoltre che “il comportamento degli
operatori è apparso tipico delle istituzioni totali in cui non solo gli
ospiti vengono puniti, ma la punizione viene anche irrogata in una
situazione di estrema visibilità (come per esempio il refettorio), in
cui gli ospiti assistono silenziosi e acquiescenti al trattamento subito
dai compagni: una sorta di teatro”. Afferma ancora il professor Verde:
“Il pensiero istituzionale presuppone, implica e giustifica la violenza,
che può essere manifesta o anche solo accennata, assumendo quindi anche
una funzione simbolica”.

Dal punto di vista della relazione tecnica, quello che è successo nella
struttura gestita dalla Stella Maris diventa allora emblematico dei
dispositivi coercitivi e degradanti insiti in questa tipologia di
strutture, dove frequentemente le persone, ridotte a oggetti, diventano
il bersaglio di violenze e sopraffazioni quotidiane. Luoghi dove la
contenzione fisica e farmacologica è spesso consuetudine e dove le
prepotenze sono ordinarie e strutturali.

Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così
estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente
dal silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici e operatori,
assistenti ed educatori. Ci piacerebbe partire da qui, dal sistema di
omertà che sorregge questi abusi. In nessun caso la carenza di personale
e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche violente e
coercitive. Anche le argomentazioni dei “motivi di sicurezza”, dello
“stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa
appello nei reparti o nelle strutture, devono essere respinte poiché
fondate sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità
della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per
formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come
malate mentali a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e
corrisponda al loro stesso benessere, senza chiedere mai cosa ne pensino
i diretti interessati.

Il problema dunque è superare il modello di internamento, è non
riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali.
Nel momento in cui riproduci le stesse pratiche (l’isolamento, la
contenzione meccanica e farmacologica, l’obbligo di cura), la logica
dell’istituzione totale si riproduce e si diffonde fino ai reparti, alle
strutture e alle residenze sanitarie come quella di Montalto di Fauglia:
se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato,
dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Un concreto percorso di
superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno
sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace
di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione
delle differenze umane, contrapposti ai metodi repressivi e omologanti
della psichiatria.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
[email protected]
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Ha inoltre tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici". Recentemente, insieme a Marcello Maviglia e Miriam Gandolfi, ha pubblicato il libro "Sospendere gli psicofarmaci: Come e perché. Costruire un percorso personalizzato ed efficace.