La misura della felicità. Comprendere o quantificare? (Un approfondimento su scienza e epistemologia)

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Barbara Lattanzi

La misura della felicità. Comprendere o quantificare? (Un approfondimento su scienza e epistemologia)

di Barbara G.V. Lattanzi

Leggendo l’ultimo intervento su Mad in Italy, riguardante l’inadeguatezza della psichiatria organicista con la sua ossessione scientista (positivismo) o statistica (neopositivismo), non ho potuto fare a meno di pensare allo storico discorso di J.F. Kennedy sul PIL: si può misurare la felicità in termini numerici a partire da oggetti o fatti quantificabili? Per chi legge gli argomenti del grande presidente statunitense la risposta è no, la felicità è qualcosa che sfugge alla misurazione perché composta da valori incommensurabili.

Facciamo un passo indietro per osservare gli assiomi del positivismo. Autori quali Auguste Comte (a cui dobbiamo il termine sociologia, un ibrido tra una parola latina e una greca quasi a indicare la posizione ambigua della disciplina che ha contribuito alla mia formazione) postulano l’inarrestabile progresso umano dalla barbarie al trionfo della scienza passando per vari livelli intermedi e crescenti. E’ questa un’esasperazione distorta del concetto di razionalità tipico del precedente paradigma l’illuminista unito all’etnocentrismo un po’ razzista a giustificare le invasioni coloniali dei popoli “lontani”, considerati primitivi perché dediti a attività non industriali e credenze considerate puerili e irrazionali.  A quel tempo però gli stessi strumenti e metodi scientifici erano primitivi e irrazionali, inadeguati soprattutto a indicare una qualsiasi forma di superiorità rispetto ad altri popoli: prendiamo come esempio uno dei più celebri esponenti di questa corrente nella sua fase matura, Cesare Lombroso, fondatore della Scuola penale positiva. Nella sua ricerca delle caratteristiche che inducono l’uomo a commettere reati questo studioso, pur mosso da motivi condivisibili, non rispettò i minimi standard oggi considerati indispensabili per una qualsiasi asserzione di carattere empirico arrivando addirittura a misurazioni all’interno delle carceri senza il confronto con la popolazione generale. Lo stesso Comte mancava in qualsiasi tentativo di suffragare le sue affermazioni sul progresso della storia e delle ideologie, che sembrano principalmente influenzate dalla prima rivoluzione industriale. Ciò perché questo intero paradigma nasce da un assioma non dimostrato: l’equiparazione di tutte le scienze alle scienze degli oggetti e l’universalità dei corollari delle teorie evoluzioniste darwiniane.

Dal positivismo nasce in seguito una seconda corrente sicuramente più evoluta e rigorosa, il neo-positivismo che unisce la fede nelle scienze degli oggetti (chiamate anche scienze esatte perché semplici nella misurazione utilizzando scale ordinali) a una ricerca di metodi di quantificazione e descrizione per mezzo della statistica inferenziale. Se il primo positivismo è quasi universalmente criticato, questo sviluppo più recente e sofisticato è sicuramente meno evidentemente fallace e spesso insito a teorie anche condivisibili, non di meno ha dei limiti che altri teorici della scienza hanno contribuito a delineare.

Se Karl Popper distingueva in un primo momento tra scienze e pseudoscienze secondo un criterio di falsificabilità, i neo-positivisti rivendicano l’esistenza di scienze statistiche (o tendenziali): discipline in cui un fenomeno non è vero o falso, ma vero in determinate percentuali. Ciò che qui definisco neo-positivismo sono i metodi empirici quantitativi nelle scienze umane che rifiutano qualsiasi ipotesi di “comprensione” per dedicarsi esclusivamente a misurazioni descrittive, incapaci di cogliere l’incommensurabilità dell’animo e delle relazioni umane così come lo spirito che anima i popoli e le loro immaginazioni.

Parallelamente a queste correnti che si arrogano la posizione di unici metodi scientifici, nascevano la distinzione essenziale tra scienze della natura e scienze dello spirito, le teorie sull’inconscio, le analisi sull’intenzionalità dell’agire umano e sul vissuto personale.

Pur riconoscendo i meriti dei metodi statistici – che possono cogliere i fatti e la struttura sociale, come le espressioni ripetute del comportamento – questi appaiono incompleti e insufficienti per formulare ipotesi sulla mente e il suo stato, essendo questa un fenomeno più complesso rispetto alla semplice sommatoria di fatti manifesti.

Oltre a ciò, leggendo gli sviluppi della psichiatria critica e ascoltando le loro osservazioni, notiamo come lo stesso scientismo organicista insito in qualsiasi protocollo clinico fallisca spesso nel suo stesso scopo: quello di fornire prove empiriche dotate di un reale rigore metodologico e torni alla ripetizione del mantra positivista che considera solo gli oggetti e i fatti ignorando l’incommensurabile.

Lo psicanalista Ignacio Matte Blanco descrive l’animo e l’inconscio come insiemi infiniti, laddove l’infinito è il non-numero che si oppone a qualsiasi misurazione, sbaragliando le regole matematiche ma presente nelle formule matematico-statistiche come eminenza grigia, ente astratto e potenziale. L’infinito è per Giordano Bruno il numero di Dio, dell’anima e della natura, Sue immagini riflesse.

La ricerca empirica, laddove si proponga di misurare e quantificare, deve necessariamente assumere un punto di vista. Questo è ben noto a chi sceglie il metodo qualitativo della comprensione ma spesso negato dai quantitativisti. Il primo punto di partenza di qualsiasi misurazione è la definizione degli oggetti, della popolazione, dell’unità di misura (nel caso di scale della scelta del punteggio e degli items).

Prendiamo come esempio l’indagine Istat sulle Forze di lavoro, cosa ci può mai essere di più oggettivo? Ebbene, se guardiamo alla definizione di ciò che è un occupato secondo gli imperterriti liberisti dell’agenzia europea, ci si accappona la pelle: una persona che ha svolto, nella settimana precedente all’intervista, una qualsiasi attività di lavoro a qualsiasi prezzo, anche solo per un’ora (nessuna menzione di contratti, regolarità contributiva, possibilità di accendere un mutuo, ecc). Spero che ciò chiarisca quanto poco la statistica garantisca oggettività e imparzialità.

La frenesia scientista spesso nasconde una grande inadeguatezza e dogmi spacciati per risultati empirici, definizioni truffaldine degli oggetti di ricerca, della costruzione degli indici e scelta degli indicatori.

La felicità non è misurabile con metodi oggettivi perché essa stessa non è oggettiva. Nasce dal senso che diamo a noi stessi e a ciò che ci circonda e possiamo affermare che senza una qualche forma di consapevolezza e libertà essa si riduce al solo oblio.

Bibliografia

Positivismo e Psichiatria – La Scienza del Committente – Mad in Italy (mad-in-italy.com)

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Barbara Giulia Valentina Lattanzi è sociologa e storico delle religioni, specializzata in Teorie e metodi della ricerca sociale. Allieva di Roberto Cipriani, è membro dell’Associazion Sociologi Italiani collabora con il Museo delle Religioni Raffaele Pettazzoni ed è tecnico esperto dell’orientamento. Inguaribile idealista è interessata a trovare un progetto condiviso verso il progresso come anelito verso l’uguaglianza, la felicità come bene comune e la libertà consapevole.