Il tasso di recupero per coloro che smettono gli antipsicotici entro i due anni è sei volte più alto

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Laura Guerra

Il tasso di recupero per coloro che smettono gli antipsicotici entro i due anni è sei volte più alto

Una nuova ricerca rivela che le persone con “gravi malattie mentali” che smettono di prendere antipsicotici dopo il trattamento iniziale hanno più probabilità di recuperare, anche tenendo conto della gravità di base del disturbo psichico.

Da Peter Simons per Mad in America 

22 febbraio 2021

Un nuovo studio di Martin Harrow, Thomas Jobe e Liping Tong indica che le probabilità di recupero da una “grave malattia mentale” sono sei volte maggiori se il paziente interrompe gli antipsicotici entro i due anni. Lo studio, pubblicato su Psychological Medicine, ha seguito pazienti con diagnosi di schizofrenia e psicosi affettiva (bipolare e depressione con caratteristiche psicotiche) per 20 anni.

In particolare, i ricercatori hanno scoperto che coloro che hanno smesso di prendere farmaci antipsicotici entro due anni dalla prima assunzione del farmaco avevano quasi sei volte (5,989) più probabilità di guarire dalla “grave malattia mentale” e avevano solo il 13,4% di probabilità di essere riospedalizzati.

“Indipendentemente dalla diagnosi, dopo il secondo anno, l’assenza di trattamento antipsicotico prevedeva una maggiore probabilità di recupero e una minore probabilità di riospedalizzazione ai successivi follow-up dopo aver considerato i dati riguardo i fattori di distorsione”, scrivono i ricercatori.

Il dato, dopo aver preso in considerazione le “variabili che creano distorsioni” è importante. I critici dei risultati come questi, infatti, sostengono che i dati si spiegherebbero perché le persone con sintomi più gravi continuano a prendere il farmaco, mentre le persone con psicosi meno gravi smettono di prenderlo – anche se non ci sono prove che questo sia vero.

Tuttavia, i ricercatori hanno fatto del loro meglio per tenere conto di questa possibilità, adeguando il loro modello in modo da tener conto di fattori come la diagnosi specifica e / o la gravità di base dei sintomi. Questo si chiama “controllo per” o “aggiustamento per” il fattore di distorsione.

Harrow et al. hanno valutato questo fattore di distorsione valutando le diverse possibilità di prognosi. Al primo controllo, i partecipanti sono stati valutati su diversi parametri “prognostici” (il Valliant, il Stephen’s Symptomatic Prognostic Index, e il Zigler’s Prognostic Index). Queste misure hanno permesso ai ricercatori di identificare i partecipanti con un potenziale di recupero scarso, moderato o con possibilità più accentuate di recupero. Le valutazioni includevano la considerazione di elementi come la gravità dei sintomi e il livello di istruzione, ma anche l’età, il sesso, la razza, l’uso di droghe e alcol, lo stato civile e il numero di precedenti ospedalizzazioni.

“Anche quando le indicazioni per la prescrizione degli antipsicotici vengono prese in considerazione, i soggetti con schizofrenia e psicosi affettive non medicati, funzionano meglio di quelli sotto terapia”.

Secondo i ricercatori, alcuni studi hanno dimostrato che alcuni pazienti traggono un beneficio a breve termine dall’uso di farmaci antipsicotici. La maggior parte di questi studi si svolge nel corso di alcune settimane o mesi. Tuttavia, alle persone con diagnosi di schizofrenia, disturbo bipolare e anche depressione vengono spesso prescritti farmaci antipsicotici per un uso a lungo termine – per il resto della loro vita, in molti casi.

Ma la ricerca sui risultati a lungo termine mostra un quadro inquietante. Secondo Harrow et al., “Studi multipli indicano che dopo 2/3 anni di trattamento antipsicotico, le persone con schizofrenia e psicosi affettiva a cui non sono stati prescritti farmaci antipsicotici iniziano a mostrare un funzionamento migliore dei pazienti a cui sono stati prescritti farmaci antipsicotici”.

Allora perché l’assunzione di un farmaco antipsicotico è associata a risultati peggiori? Secondo Harrow et al., la psicosi da super-sensibilità alla dopamina indotta dagli antipsicotici potrebbe giocare un ruolo. Poiché gli antipsicotici bloccano i recettori della dopamina, il corpo può compensare aumentando la sensibilità alla dopamina. Questo, a sua volta, potrebbe causare un aumento della psicosi.

Secondo Harrow et al., nelle persone che assumono antipsicotici e con diagnosi di schizofrenia, la super-sensibilità può essere responsabile del 30% delle psicosi e del 70% delle diagnosi di “resistenza al trattamento”.

I risultati di Harrow, Jobe e Tong sono coerenti con un crescente corpo di letteratura che dimostra che l’uso degli antipsicotici a lungo termine crea più danni che benefici. Harrow e Jobe hanno precedentemente pubblicato i risultati a 15 e 20 anni di questo studio, entrambi coerenti con questo risultato.

Lo studio di Wunderink su pazienti con psicosi al primo episodio ha anche dimostrato che i pazienti che avevano interrotto gli antipsicotici avevano il doppio delle probabilità di recuperare rispetto a quelli che hanno continuato a prenderli. I ricercatori hanno anche scoperto che una grande percentuale di pazienti non sperimenta ulteriori episodi psicotici pur non prendendo antipsicotici; questo ha portato al riconoscimento che gli antipsicotici non sono necessari almeno per alcuni gruppi di pazienti.

In sintesi, Harrow, Jobe e Tong scrivono:

Questi dati e quelli precedenti indicano che dopo 2 anni, gli antipsicotici non riducono più i sintomi psicotici e i partecipanti che non assumono antipsicotici stanno meglio“.

Bibliografia

Harrow M, Jobe TH, Tong L. (2021). Recovery Rate Six Times Higher For Those Who Stop Antipsychotics Within Two Years. Psychological Medicine, 1-11.

https://www.cambridge.org/core/journals/psychological-medicine/article/abs/twentyyear-effects-of-antipsychotics-in-schizophrenia-and-affective-psychotic-disorders/24EF3F7E45EED8487F54A729C75EFF0A (link)

Nota sull’autore: Peter Simons è stato un ricercatore accademico in psicologia. Ora, come scrittore scientifico, cerca di fornire ai profani una visione del mondo a volte imperscrutabile della ricerca psichiatrica. Come editore di blog e storie personali a Mad in America, premia i resoconti di coloro che hanno vissuto l’esperienza del sistema psichiatrico e spera di creare alternative al modello biomedico.

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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