Destigmatizzare gli uditori di voci – Intervista di Peter Breggin, John Read e Alison Branitsky

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Laura Guerra

Introduzione di Marcello Maviglia e di seguito la traduzione dei passaggi salienti di Laura Guerra

Introduzione: “Le voci ci aiutano”

di Marcello Maviglia

In questo video intervista lo psichiatra americano Peter Breggin e lo psicologo britannico John Read, fungono da moderatori/partecipanti ad un incontro in cui la protagonista è Alison Branitsky, rappresentante del movimento degli uditori di voci negli USA.

Sia Breggin che Read stimolano la testimonianza di Alison invitandola a raccontare la sua storia personale come utente che, per un periodo della sua vita, ha subito le voci come un sintomo essenzialmente negativo e stressante del proprio disagio emotivo, prima di riuscire ad inquadrare la propria esperienza di uditrice in un contesto più ampio, in cui le voci hanno acquisito un ruolo terapeutico che le ha permesso di progredire verso un sistema di vita tranquillo e produttivo.

Alison riconosce, senza nessuna esitazione, che le voci si sono manifestate nella sua vita quando era ancora bambina (circa all’età di sei anni) e che sebbene inizialmente non fossero molto stressanti (anzi quasi benigne), si trasformarono dopo alcuni anni in esperienze alquanto spiacevoli e stressanti.

Questo cambiamento radicale rappresenta anche l’inizio dell’esperienza psichiatrica di Alison, alla quale vennero prescritti psicofarmaci che non contribuirono a migliorare la sua condizione psicologica sostanzialmente, anzi, al contrario, crearono uno stato di sedazione cronica che divenne presto intollerabile.

Di conseguenza, all’età di circa 15 anni, Alison decise di smettere di botto gli psicofarmaci, modalità che non raccomanda, ma che le ha permesso di recuperare le sue emozioni, sedate fino ad allora coi farmaci.

All’età di 18 o 19 anni prende contatto con un gruppo di uditori di voci nel Massachusset. Fu ispirata dall’approccio alle voci degli utenti del gruppo che si sforzavano di darne un significato contestuale collegato all’esperienza individuale, sociale, spirituale e culturale.

Tramite il loro esempio Allison incominciò a sviluppare un approccio personalizzato alle proprie esperienze uditive, scoprendo che le voci in realtà potevano assumere un ruolo protettivo e terapeutico.

L’accoglimento e l’elaborazione delle voci nell’ambito dell’esperienza dell’individuo, come constatato dalla storia di Alison, dà una nuova opportunità agli utenti di vivere un’esistenza produttiva, pur nella coscienza, a volte, di una certa vulnerabilità.

Chiaramente Alison riconosce i benefici derivanti dalla dismissione degli psicofarmaci, ma mette in guardia gli utenti a non smetterli di botto e di farlo gradualmente e con giudizio, se questa è la strada che vogliono percorrere.

Il Dott. Breggin ha sottolineato a questo proposito che gli psichiatri non dovrebbero prescrivere gli psicofarmaci e che gli utenti dovrebbero ribellarsi a questa pratica.

John Read, da parte sua, ha cercato di capire a fondo l’esperienza di Alison domandandole quali siano stati gli aspetti nel suo percorso che l’hanno aiutata.

Alison ha risposto fornendo due aspetti essenziali: il fattore più importante dal punto di vista psicologico è rappresentato dal fatto che Alison non ha mai creduto al modello biologico che la “voleva” malata.

In aggiunta, ha espresso con enfasi il fatto che, appartenendo ad una classe sociale essenzialmente privilegiata, ha potuto evitare una diagnosi pesante ed ha avuto  quindi la possibilità ed il supporto necessari per uscire da un percorso di psichiatrizzazione in cui individui che appartengono a classi sociali più basse vengono spesso coinvolti senza poter scegliere percorsi alternativi.

Riassumendo gli elementi essenziali del movimento degli uditori di voci, Alison sottolinea con enfasi che uno dei suoi aspetti essenziali è l’autodeterminazione secondo cui l’individuo sceglie il suo percorso terapeutico.

In questa prospettiva, sottolinea che il movimento degli uditori di voci sostiene l’utente nel suo percorso di dismissione se questa è la sua scelta. Ribadisce enfaticamente l’aspetto terapeutico delle voci, con tutti i loro aspetti individuali, sociali, culturali e spirituali, sdrammatizzandone, al tempo stesso, le possibili interpretazioni negative ed a volte terrorizzanti che vengono loro  attribuite.

Concludendo, invita il pubblico a visitare il sito americano degli uditori di voci, info@hearing-voicesusa.org.

Ovviamente questo è un sito in inglese che non sarà di beneficio agli utenti italiani che non lo comprendono.  Tuttavia, gli utenti italiani possono rivolgersi al sito italiano:

Sentire Le Voci, Il sito degli uditori di voci (www.sentirelevoci.it).

Traduzione del video

di Laura Guerra

Nel video lo psichiatra americano Peter Breggin presenta John Read, psicologo inglese e Alison Branitsky, esponente del Movimento degli Uditori di Voci (MUV) americano, con cui collabora come ricercatrice. Breggin spiega che il MUV è attivo in tutto il mondo con centinaia di gruppi da oltre 30 anni.

Alison racconta di essere entrata in contatto col MUV all’età di 19 anni. L’incontro ha portato a un grosso cambiamento nella sua vita, influenzando anche le sue scelte professionali.

Spiega che ha cominciato a sentire le voci all’età di 6 anni senza trovare la cosa angosciante o strana e, anche se qualche volta le voci erano fonte di distrazione, non erano motivo di preoccupazione. Pensava anzi che anche gli altri le sentissero. Ricorda che le succedeva un po’ come nei cartoni animati, dove il bambino ha un angelo su una spalla e un diavolo sull’altra che gli parlano.

Poi col tempo le voci hanno cominciato ad essere più aggressive e minacciose e questo le provocava molta ansia.

Dal momento che non sapeva bene come affrontarle e a entrare in contatto con loro, le voci divennero sempre più invadenti e aggressive e questo aumentava la sua ansia. Anche se non sapeva come affrontarle sentiva e le era chiaro che avevano un significato ed erano legate a cose che erano accadute nella sua vita e all’ambiente in cui viveva “Se ero stressata o ansiosa diventavano più aggressive e se ero arrabbiata e non esprimevo la mia rabbia le voci diventavano ancora più arrabbiate”.

Tuttavia, da bambina non ha avuto alcun supporto per affrontarle e quando le voci sono diventate più aggressive e paurose, come succede spesso, la sua famiglia si è rivolta al sistema psichiatrico e lo psichiatra “Mi disse che il mio cervello era ammalato e le voci erano il chiaro segno di una patologia”.

Mi è stato detto che se avessi cercato di entrare in contatto con le voci sarebbe stato molto peggio. E allora, di fronte a questa prospettiva terrificante, ho cercato di sopprimere questa esperienza e soffocare le voci anziché cercare il significato di ciò che mi stavano dicendo. Ma non funzionava e ogni volta che cercavo di evitarle andando nell’altra stanza loro diventavano più aggressive, proprio come succede quando cerchi di far star zitta persona arrabbiata, se non l’ascolti e te ne vai nell’altra stanza il risultato è che si arrabbia di più”.

Ora capisce che le voci volevano comunicarle qualcosa e siccome lei non le ascoltava loro diventavano sempre più estreme per essere ascoltate.

Alison sostiene che il lungo periodo di trattamento nel servizio della salute mentale è stato inutile e controproducente.

All’età di 18-19 anni ha trovato nel Massachusetts il MUV che l’ha realmente aiutata, in quanto era un ambiente completamente diverso.

All’inizio era molto preoccupata di parlare delle voci perché non sapeva cosa aspettarsi, non aveva mai parlato delle sue voci e non sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse fatto, ma quando arrivò lì trovò un ambiente completamente diverso da quello dei centri di salute mentale.

Era un centro dove le persone conoscevano il fenomeno delle voci, cercavano di capire il loro significato e come fare ad affrontarle. Per Alison è stata una vera rivelazione “Che le mie voci avessero un significato e che ci fosse un intero gruppo che si dedicava insieme a me a capirle in mezzo al disordine della mia vita e come mai stessi vivendo questa esperienza, ad accoglierne il significato e il modo in cui gestirle, in modo da permettermi di vivere una vita appagante.

Il lavoro col gruppo degli uditori di voci ha realmente cambiato la mia vita aiutandomi a capire e a relazionarmi meglio con me stessa. Anche sentire le storie degli altri e come loro le gestivano è stato molto utile. Ho cominciato a capire che io e le mie voci stavamo dalla stessa parte e la loro funzione era di proteggermi”.

Anche svolgendo una funzione protettiva, lo stesso, a volte le voci erano particolarmente aggressive, così “Abbiamo lavorato il modo di comunicare con loro e diminuire la loro ostilità. Per molti anni prima avevo provato a sopprimerle perché mi era stato detto che si trattava di una malattia, ma questo nuovo modo di interagire, che non avevo mai considerato prima, mi ha aperto nuove prospettive e creatività nel relazionarmi con me stessa, avendo la consapevolezza che la loro funzione era di proteggermi”.

Una cosa molto importante è stata la rappresentazione delle voci di quando era piccola. Le voci le dicevano “Puoi essere un serial killer oppure un paziente psichiatrico” ed entrambe le opzioni non erano grandi prospettive. Ma vedendo le altre persone che pur vivendo la sua stessa esperienza riuscivano ad avere una carriera e una famiglia, nonostante momenti di sofferenza a volte dovendo chiedere un supporto, le ha dato una grande forza “Assistere a questa grande capacità era per me una novità, che mi ha dato la forza di trasformare la mia esperienza”.

Breggin: Ribadisce come sia importante nella vita riconoscere la nostra vulnerabilità, la nostra forza e i nostri bisogni. E chiede “Sei stata sottoposta a trattamenti farmacologici”?

Alison: “Sì, quando avevo 9 o 10 anni e come primo risultato le mie voci peggiorarono molto perché non potevo più combattere per me stessa, in quanto ero troppo sedata e le voci presero il sopravvento della mia mente.

Ho trovato il trattamento molto inutile ed è stato molto difficile uscirne anche perché mi era stato detto che i farmaci “fissano” lo squilibrio del cervello e che senza avrei avuto un peggioramento e il mio cervello sarebbe degradato. Anche il fatto di oppormi al trattamento che non volevo veniva visto come ‘non adesione alla cura’ e ‘mancanza di consapevolezza della malattia’.

Quando ero teenager ho tolto tutti gli psicofarmaci di botto, anche se non lo raccomando senza avere le informazioni riguardo i potenziali effetti collaterali, ma per me è stato un beneficio farlo perché mi sono riappropriata delle mie emozioni, cosa che non avrei potuto fare prima in quanto i farmaci sopprimono ogni forma di emozione”.

Breggin: “Posso immaginare come sia terribile per una bambina o ragazza di 6, 12, 18 anni che sente le voci che la aggrediscono sentirsi dire dal dottore che è irrimediabilmente ammalata di mente, che ha un cervello guasto e che deve prendere gli psicofarmaci. Tutto questo è devastante”.

Continua con diverse considerazioni sul ruolo negativo dei trattamenti psichiatrici “Gli psichiatri sfruttano la vulnerabilità per dare psicofarmaci dicendo che esiste uno squilibrio chimico ma, lo dico per chi ci ascolta per la prima volta, sappiamo che non esiste niente di biologico, a meno che non si sia ricevuto un brutto colpo in testa o qualcosa del genere, in questo caso sarebbe necessaria una visita neurologica, ma lo psichiatra non la richiede mai.

Sappiamo che è tutto psicologico. Non c’è niente di biologico che possa essere definito disturbo bipolare o depressione. Non c’è nessuno squilibrio chimico nel cervello fino a quando non si usano gli psicofarmaci. Essi stessi, infatti, creano molteplici squilibri chimici.

Deve essere terribile per una meravigliosa ragazza sentirsi dire che ha un cervello malato, che non funziona e che deve assumere farmaci per il resto della vita. Sono molto felice che tu sia sopravvissuta a tutto questo e immagino quanto sia stato difficile.

Anche sospendere in blocco gli psicofarmaci deve essere stato pericoloso. Sarebbe importante per chi vive queste situazioni poter contare su qualcuno per essere aiutato a sospendere gli psicofarmaci e ad avere informazioni per valide alternative”.

Hai associato le voci con un particolare trauma o qualcosa che ti è successo quando eri una bambina?”

Alison: “Penso che molte delle mie voci, se non tutte, siano dovute ad esperienze travolgenti che mi hanno sopraffatta quando ero piccola, anche se questa connessione non mi era così chiara. Ma incontrando altri uditori di voci mi è diventato chiaro che erano legate alle situazioni che ho vissuto”.

Breggin: “Quando ti sei liberata dalla psichiatria”?

Alison: “Avevo circa 15 anni”.

Breggin: “John, qual è stata la tua esperienza con gli uditori di voci”?

John: “Ho avuto una sola esperienza personale con le voci. Avevo circa 30 anni quando un mio amico è rimasto ucciso in un incidente d’auto e la notte stessa ho avvertito la sua presenza che veniva a salutarmi. Questa esperienza mi ha spaventato molto, nonostante la mia esperienza, e ho avuto paura di impazzire. Poi mi sono calmato e l’ho trovata piacevole.

Alison, che cosa ti ha aiutata a sbarazzarti delle tue voci? Il gruppo o altre persone?”

Alison: “Prima di entrare in contatto con il centro di salute mentale non avevo mai pensato che ci fosse qualcosa che non funzionasse nel mio cervello o che quello che provavo fosse la manifestazione di una malattia Non ho mai avuto la sensazione che questo accadesse fuori dal mio controllo… come invece mi diceva lo psichiatra, ma quando ti viene ripetuto continuamente diventa difficile respingere questa idea, anche perché se lo fai ci sono conseguenze.

L’idea che si tratti di qualcosa di organico, del cervello che non funziona bene limita molto, anche sulle cose che si pensa di non poter fare nella vita.

Il gruppo mi ha dato la forza di credere in me stessa e di fidarmi delle mie impressioni perché c’era gente che mi confermava che è possibile comprendere il significato delle voci e gestirle. Questo mi ha dato fiducia”.

John: Fa alcune considerazioni sul fatto che le voci possono essere viste come un sogno ad occhi aperti e come i sogni hanno particolari significati. In certe culture, poi, udire le voci è molto più comune che non sentirle.

Alison: “Penso che nella cultura occidentale la vera forza del movimento degli uditori di voci siano le prospettive spirituali, e intendo tutte le prospettive. Ci sono persone che sentono le voci ma non sono disturbate da esse, vogliono solo condividere le loro esperienze e non sono in contatto col servizio di salute mentale.

C’era una ragazza che ogni giorno andava al gruppo per parlare della sua esperienza con la voce di uno spirito e lei sentiva che poteva parlarne col gruppo perché il gruppo rispettava la sua esperienza e il suo contesto culturale, mentre fuori la consideravano pazza”.

Breggin: “Penso che potrebbe essere d’aiuto alle persone sapere quale tipo di diagnosi hai ricevuto, perché le persone vengono sempre diagnosticate e vedendoti qui ora potrebbero pensare che tu non abbia ricevuto alcuna diagnosi”.

Alison: “Non conosco tutte le diagnosi perché ero piccola, ma non ho mai ricevuto quella di schizofrenia. Ne ho comunque avute altre che includevano la psicosi.

Devo ringraziare il mio stato sociale perché altri individui, poveri e di colore, con i miei sintomi hanno ricevuto diagnosi più estreme. Molti fattori sono importanti nelle diagnosi, come la classe sociale, la razza, il genere”.

Breggin: “Penso che il contesto in cui sei cresciuta in quegli anni sia diventato un ambiente molto medicalizzato”.

Sarebbe ora di boicottare i medici che prescrivono psicofarmaci, perché sono neurotossine. Gli psichiatri non hanno limiti, possono anche dartene due, tre o una dozzina” e chiede a John come sia la situazione in Inghilterra.

John: “Anche in Inghilterra possono darne tre, quatto o cinque e non c’è ricerca riguardo l’interazione tra i diversi psicofarmaci.

Alison, potresti dirci qual è la posizione del gruppo riguardo i trattamenti e se aiutano ad uscirne?”

Alison: “Un punto importante per il gruppo è l’autodeterminazione, che significa che ognuno può decidere cosa è meglio per sé: c’è rispetto, non si dice cosa fare, ma si danno tutte le informazioni possibili riguardo i farmaci che la persona sta prendendo e i loro effetti collaterali.

In gruppo cerchiamo di aiutare le persone a fare una scelta più informata possibile sui farmaci che stanno assumendo, nonostante sia quasi impossibile fare una scelta consapevole su questi farmaci a causa della mancanza di ricerca sulle loro interazioni.

Nei gruppi l’argomento dei farmaci viene fuori molto frequentemente e chiediamo alle persone di parlare della loro esperienza, di che cosa si aspettano di ottenere da essi, quali sono gli effetti collaterali e i benefici. Se ad es. la persona li trova benefici come aiuto per dormire, possiamo parlare di altri modi per riuscire a farlo senza farmaci.

Possono parlare del fatto che desiderano ridurli o sospenderli. Ma spetta completamente a ogni individuo fare la scelta più opportune per sé stessi. Così se qualcuno desidera ridurli o sospenderli ne parla con il suo provider e quindi si danno informazioni sul come fare. C’è stato molto lavoro nel Massachusetts occidentale per aiutare le persone a sospendere gli psicofarmaci”.

Breggin: “Le voci sono spesso violente, odiose o offensive. Il gruppo degli uditori è composto da individui che hanno voci disturbanti o c’è una selezione degli individui che partecipano?”

Alison: “Ho incontrato molte persone nel gruppo che sentono voci molto violente o molto minacciose o aggressive e quelle voci, come tutte le altre voci sono viste con un loro significato e comprensibili e spetta alla persona discernere il significato.

Quello che ho trovato davvero utile nel gruppo degli uditori di voci è esplorare il contenuto e il significato di questi tipi di voci. Mi ricordo che quando sono arrivata al gruppo, a una persona che sentiva una voce minacciosa è stato chiesto se la voce gli ricordasse qualcuno che gli parlava allo stesso modo, o se c’erano altre situazioni nella sua vita che la facessero sentire allo stesso modo come quella voce la faceva sentire.

Cercando di capire se ci sono eventi collegati a questa voce si chiede cosa stesse succedendo per lei nel momento in cui ha cominciato a sentire la voce, se c’è stato un fattore scatenante specifico.

Si cerca di legare il contesto culturale e spirituale della persona che sente le voci, in quanto potrebbero essere parte di un’iniziazione sciamanica o una crisi spirituale. Bisogna cioè tenere conto del contesto per capire il significato delle voci e come le persone possono imparare a interagire meglio con loro”.

John: Parlando delle sue esperienze chiede “Perché a volte le persone potrebbero non essere interessate a conoscere il significato delle voci o esserne così spaventate da non volerlo conoscere?

Alison: “Ho un paio di idee riguardo a questo. Una cosa che ho osservato, specialmente nel sistema della salute mentale è che le persone sono davvero terrorizzate dalle forti emozioni e c’è un vero desiderio di medicalizzare le emozioni e avere le persone con una gamma emotiva ristretta.

Ma personalmente non è così che intendo che gli esseri umani siano, certamente non per come sono io. Io ho molte emozioni che esprimo molto frequentemente e penso che sia salutare farlo perché se si tengono represse poi escono in modi non salutari.

Penso che questa grande paura delle forti emozioni dipenda dal fatto di non sapere come gestirle o dal fatto che abbiamo paura di essere sopraffatti da esse.

C’è anche un desiderio delle persone di creare una divisione e distinguersi da chi sente le voci. È più facile dire che chi sente le voci è diverso dagli altri e c’è qualcosa che non funziona in lui, perché penso sia difficile ammettere il fatto che tutti, in particolari circostanze giuste o sbagliate, possiamo trovarci nella condizione di sentire le voci o avere esperienze angoscianti.

Alcuni individui si trovano in circostanze molto particolari come l’abuso sessuale, la povertà, il razzismo, esperienze che ti segnano profondamente ed è più facile disimpegnarsi e distaccarsi da quel dolore, perché sono a tutti gli effetti più forti di noi.

John: “Ci puoi dire qualcosa sull’esperienza delle persone che sentono voci che gli dicono di uccidere qualcuno o di suicidarsi? Queste voci esistono, ma non tutti hanno voci del genere. Poi chi gli sta intorno pensa di dover intervenire molto rapidamente per evitare incidenti”.

Alison: “Una cosa che dice Caroline Mizzel Carlton, che è una leader del MUV, è che il significato della voce che dice di uccidere o di suicidarsi non significa che qualcuno deve morire, ma che c’è qualcosa nella sua vita che deve finire come un ruolo o una relazione in modo che lui possa vivere.

Io vedo nelle voci una indicazione di una minaccia e fondamentalmente le mie voci dicono ‘elimina la minaccia prima che la minaccia elimini te’.

Se pensi alle voci come una potenziale autoprotezione e autoconservazione diventano molto meno spaventose e terrificanti e penso che più o meno nella vita l’abbiamo fatto tutti di pensare intensamente ‘voglio uccidere il mio capo’. Le voci non sono poi così diverse dai pensieri che un po’ tutti fanno in certi momenti”.

Breggin: Chiede se molte persone oltre a udire le voci abbiano anche esperienze visive (allucinazioni).

Alison: “Nel gruppo le esperienze visive sono molto comuni e questo è un punto molto importante. Il termine esperienze visive viene utilizzato per descrivere molteplici esperienze come le visioni, le sensazioni tattili, le crisi spirituali, gli stati di credenze non condivise molto intense, qualsiasi tipo di esperienza spirituale. Tutti questi tipi di esperienze vengono affrontate nello stesso modo in cui si affrontano le voci. Si chiede alla persona che significato hanno per loro e si cerca di esplorare il ruolo e il rapporto che la persona ha con la visione.

Breggin: “Cosa si può dire sull’opportunità di dire alle persone riguardo al fatto che pensano che le voci siano reali o non reali? Personalmente preferisco rassicurare la persona dicendo che non corre pericoli, che non può essere colpito o subire danni da parte delle voci, dicendogli che non sono reali e che nella stanza non c’è nessun altro oltre a noi.

Cerco di farlo molto gentilmente e non forzare l’altra persona.

Alcune persone sono profondamente immerse nella loro realtà alternativa. Puoi dirmi se posso usare una frase che spieghi loro che in realtà non corrono un reale rischio, ad es. di farsi tagliare la testa?”

Alison: “La distinzione che farei è forse differenziare tra la realtà e la sua rappresentazione perché nella mia mente le voci sono reali e questo è un valore fondamentale per gli uditori di voci, queste esperienze sono reali.

Per quello che mi riguarda, se le mie voci mi dicono che mi lanceranno qualcosa, non credo che abbiano la capacità di farlo realmente. Tuttavia nel mio ruolo nel gruppo MUV non sono l’arbitro per decidere cosa sia reale e cosa no, anche perché ognuno ha un suo background culturale e spirituale. Quindi se qualcuno sta udendo o interagendo con uno spirito al quale crede che abbia un un messaggio nel mondo, allora lo prenderemo come reale e ci lavoreremo come se fosse reale e ci sono assolutamente modi per relazionarci con voci, spiriti o entità che consenta di dare supporto alla persona e costruire una relazione più rispettosa o sentirsi più in controllo e rilassarsi nel loro ambiente. Parlando si riesce a capire il significato della voce”.

Breggin: “Non so se sia il modo giusto, ma coi miei pazienti mi sento di rassicurarli dicendo loro che le voci non possono far loro del male. Anche io a volte dico alla voce di lasciare stare il mio paziente e forse questa non è la cosa più utile. Molte persone hanno infatti molta paura anche di parlare alle loro voci in modo sgradevole o dire ‘vattene’. Sono terrorizzati dalla voce come bambini in balia di un mostro. Che cosa ne pensi?”

Alison: “Penso che questo è ciò che molti fanno, cioè rassicurare una persona molto angosciata dicendo che non gli succederà niente e non è in pericolo imminente.

Ciò che ho trovato veramente utile in queste situazioni è di porre l’attenzione sulle loro emozioni perché, indipendentemente dal fatto che non credo che la persona stia per essere realmente attaccata, il modo in cui si sente minacciata e in pericolo imminente è come se stesse accadendo realmente e quindi quello che penso io è poco rilevante.

Per questo il modo migliore per supportarli è farli sentire al sicuro e mitigare la minaccia. Ad esempio, se uno ha paura che una voce sta per irrompere a casa sua, allora la cosa migliore è mettere campanelli su tutte porte o mettere qualcosa sul pavimento che li avverta se qualcuno fa irruzione nella casa. Questo li fa sentire più al sicuro”.

John: “Io facevo l’opposto quando ero un giovane psicologo clinico, anche perché nessuno ci ha formato per capire e lavorare con le persone che sentono le voci, anzi ci dicevano di non farlo proprio e di lasciarli al loro psichiatra. È imbarazzante ma ricordo che una volta qualcuno mi disse che era convinto che l’esercito di Hitler stesse arrivando su per le scale in quel momento per prenderlo e così gli ho detto che potevo vederli anche io e che li avremmo combattuti insieme (ride).

Suona un po’ ridicolo, ma alla fine credo che il modo migliore per affrontare quelle situazioni sia dire che ‘posso vedere che per te sta succedendo e sei terrorizzato ma non sta succedendo per me’. Gli metto così davanti la mia realtà senza dire che la sua è sbagliata e la mia giusta. Qualche volta funziona e qualche volta mi urlano ‘nooo, John tu non capisci’. Quello che ho imparato è stato attraverso tentativi.

Breggin: “Ci puoi dire qualcosa sulle persone che hanno esperienze visive che sono più amichevoli o piacevoli? Ho conosciuto persone che avevano voci protettive, ci puoi parlare di questo?”

Alison: “Non ho esperienza diretta e non conosco bene il meccanismo con cui ci riescono, ma ho conosciuto persone che erano in grado di attivare intenzionalmente di creare voci di quel tipo, cioè protettive e confortanti”.

John: “Molte persone hanno voci sia buone che cattive. Alcune sono molto protettive come ad es. la voce di figure come la loro nonna”.

Mi è sembrato di capire che all’inizio le tue voci fossero buone, poi sono peggiorate col tempo. Puoi parlarcene?”

Alison: Sì, all’inizio erano abbastanza neutrali. Le mie voci riflettevano la complessità delle persone reali per cui non le etichetterei come buone o cattive. Quand’ero più piccola non mi accorgevo se alcune delle voci che sentivo fossero in modo specifico confortanti, ma ripensando al tipo di voci che sentivo lo riconosco ora che sono cresciuta. C’è una voce che non sento molto frequentemente e che sembra una voce più spirituale, non so esattamente come questa esperienza sia nata, ma sono molto grata di averla”.

Breggin: Ringrazia Alison e John per la partecipazone. Chiede, inoltre, come fare per contattare il MUV.

Alison: “Il MUV si trova negli Stati Uniti ed è diventando molto forte nell’ultimo decennio. Abbiamo un centinaio di gruppi che incontrano persone in tutti gli stati d’America. È stato il primo movimento nel mondo ad avere un gruppo di aiuto on-line lanciato da Caroline Mizzel Carlton e Jeannie Bass.

Ora abbiamo molti gruppi on-line che funzionano come i gruppi in cui ci si incontra di persona. Per contattarci si può mandare una mail a info@hearing-voicesusa.org.

È importante sapere che chi vuole far parte del gruppo deve partecipare attivamente, parlare. Ai gruppi non sono ammessi gli osservatori come ad es. gli studenti, i reporter”.

Seguono i ringraziamenti per la bella intervista.

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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