Le doppie diagnosi: problemi e applicazione

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Antonio Iudici
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Abstract

La doppia diagnosi (DD) identifica comunemente una condizione di co-occorrenza dei disturbi da uso di sostanze e dei disturbi psicologici o psichiatrici. Molti studiosi hanno cercato di spiegare questo fenomeno, ma allo stato attuale non vi è un accordo comune; infatti, le metodologie di intervento e di trattamento sono numerose e differenti. Il nostro lavoro si è occupato di ricercare gli aspetti critici legati a questo quadro frammentato attraverso un lavoro sistematico di letteratura su alcuni database internazionali (Scopus, PubMed e Scholar).

La nostra ricerca rivela problemi significativi intorno a diverse aree tematiche: Definizione; Operatività e Trattamento; Approccio farmacologico; Prospettive dei pazienti; Economia e sistema dei servizi. Da ciò poniamo in evidenza diverse implicazioni sull’attuale uso del costrutto nei servizi e sulle criticità presenti.

 

Definizione; Operatività e Trattamento

L’analisi operata mette in luce la perdita della funzione gnoseologica della categoria diagnostica DD, riscontrando un grado d’accordo frammentato tra ricercatori e clinici rispetto ad un discorso eziopatogenetico concernente i disturbi co-occorrenti. In assenza di conclamati biomarkers, quello che emerge è un uso eterogeneo del costrutto di DD con la conseguente arbitraria applicazione alle differenti tipologie di comorbilità. Stasi-concettuale favorita da un ridotto programma di studi randomizzati controllati (RCT) e di disegni di ricerca longitudinali, oltreché dalla carenza di dati epidemiologici in grado di contemplare l’impatto di diversità etniche e culturali. Altresì, laddove un modello causalistico d’inferenza rispetto alla co-occorrenza dei disturbi sembra vacillare (ne dà contezza, ad esempio, la difficoltà riscontrata di istituire legami causali tra disturbi dell’umore e disturbi da uso di sostanze), la prospettiva multifattoriale per la co-occorrenza dei disturbi in DD (studi sull’impatto di fattori di vulnerabilità emotivi/sociali/biologici) vincola l’inferenza al piano probabilistico. Da qui ne discendono ricadute a livello operativo-trattamentale di pazienti DD, le quali sembrano riflettere il grado di frammentazione teoretica. Nello specifico, si è rilevato come i modelli di trattamento ad oggi disponibili, sequenziale (trattamento separato dei disturbi co-occorenti) e in parallelo (servizi differenti per la gestione contemporanea ma separata dei disturbi co-occorrenti), abbiano un impatto limitato. A titolo d’esempio, uno studio statunitense del 2015 riporta come il 50% di pazienti con disturbo da sostanze e PTSD occorrente abbiano sintomi che persistono anche a fine trattamento. Ancora, si è riscontrato come l’implementazione di interventi evidence-based e una tempestiva valutazione ad opera dei servizi della salute mentale abbiano ottenuto scarso successo nella filiera operativa medicale: inquadramento diagnostico, trattamento e decorso prognostico.

 

Approccio farmacologico

I pazienti DD seguono spesso un trattamento farmacologico, sebbene non siano state individuate terapie di comprovata e generalizzabile efficacia. Peraltro, l’impiego terapeutico degli psicofarmaci risulta di particolare complessità (controversa utilità), vista la sua costante interazione con le tipologie d’uso dei pazienti. Infatti, prescrivendo uno psicofarmaco, i professionisti si trovano a fronteggiare alcune specifiche aspettative (proprie di questo tipo di pazienti-consumatori) nei confronti degli effetti della terapia, per esempio la credenza che la sostanza modifichi rapidamente lo stato psicofisico; allo stesso modo, per i professionisti della salute si riscontra un rischio di collusione trattamentale a dir poco paradossale, laddove la compliance a trattamenti farmacologici può rafforzare e mantenere attiva l’assunzione di sostanze biochimiche. Nella gestione farmacologica di persone DD vi sono scarse evidenze empiriche che comprovino l’efficacia dei trattamenti farmacologici, specialmente laddove si tratti di un trattamento a lungo termine. Questi elementi aprono un interrogativo perentorio intorno all’utilità di individuare e proporre trattamenti psicofarmacologici standardizzati adatti a qualsiasi paziente.

 

Prospettive dei pazienti

Spesso, la prospettiva dei pazienti riguardo alla diagnosi non viene presa in considerazione; ciò nonostante, essere diagnosticati DD comporta un etichettamento e, ancor peggio, una stigmatizzazione; questa si traduce in esclusione sociale e discriminazione. Ne consegue che, tanto nel contesto familiare, quanto in quello più ampiamente sociale (e, infine, lavorativo) i pazienti si trovano a confrontarsi non solo con le loro personali problematiche, bensì anche con quelle connesse al pregiudizio generato dall’etichetta diagnostica – la quale, per altro, non rende conto della complessità di ogni individuo, bensì omogeneizza vissuti, esperienze e prospettive singolari in un’unica categoria protocollare.

La necessità di muoversi in contrasto con questa tendenza è dettata dagli studi che riportano i vissuti positivi dei pazienti a proposito dell’esperienza di essere accolti e compresi dai professionisti, senza essere ridotti a una diagnosi; la comprensione del punto di vista di ogni paziente risulta di vitale importanza per lo sviluppo di conoscenze e servizi che rispondano alle effettive esigenze degli individui, piuttosto che a quelle statisticamente attese.

 

Economia e sistema dei servizi

Gli studi che si sono occupati di valutare il rapporto costi-benefici dei Servizi di cura per persone DD sono praticamente assenti e questo connota l’intervento più su un piano ideologico che scientifico, lasciando scoperta un’area di ricerca essenziale. Abbiamo infatti riscontrato come un solo studio statunitense del 2000 abbia analizzato il rapporto costi-benefici del sistema-servizi deputato alla gestione di pazienti con DD, evidenziando allo stesso tempo un alto grado di efficacia sia per servizi di approccio medico sia per quelli ad approccio educativo. Peraltro, è emerso come un intervento integrato da parte dei servizi, e programmi di promozione di competenze rivolte allo staff, possano avere un impatto significativo sulla qualità del trattamento, benché ad oggi tali azioni siano di scarsa accessibilità, ridotta capillarità a livello provinciale, e frammentazione a livello di coordinamento territoriale del sistema dei servizi.

 

Conclusioni

La ricerca futura dovrebbe cercare formulazioni teoriche alternative e conseguenti esperienze di intervento per fornire nuove prospettive.

Se da un lato appare cruciale un riassestamento concettuale della DD, a partire dal problema eziopatogenetico ed eziologico emerso (a cui si annette la confusione diagnostica intercettata), dall’altro il sistema dei servizi deputato alla gestione di persone DD necessita di un ripensamento in ottica di rete. Si rivela utile un movimento di promozione di interventi concertati tra i professionisti della salute che si occupano di DD, rivolti a una presa in carico dei pazienti attenta alla complessità e particolarità dei singoli casi, piuttosto che alle analogie necessarie alla protocollarizzazione. Un approccio integrato accompagnato ad un investimento delle risorse in programmi di intervento integrati e non parcellizzanti (costruzione condivisa dei progetti di intervento) e di promozione di competenze rivolti a tutti gli attori coinvolti nella clinica della DD.

Bibliografia:

Antonio Iudici, Riccardo Girolimetto, Giulia Volponi, Alba Eletto (March 2020). Dual Diagnosis and Application Problems in the Use. The Journal of Nervous and Mental Disease • Vol 208, Nr 3

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Antonio Iudici è docente incaricato di Psicologia Clinica all’Università di Padova e docente a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si occupa di psicologia clinica e di promozione della salute e le tematiche più approfondite riguardano l'inclusione di persone con disabilità, bambini con certificazione, studenti e vittime di violenza a seguito di stigma e pregiudizi.

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