Storia di Guido – Un caso o la norma?

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Laura Guerra

Questa è la storia di Guido, che da una esperienza con le voci è caduto nel girone dei trattamenti farmacologici dal quale non gli viene data l’opportunità di uscire

La prima volta a cui riconduco la mia esperienza con le “voci”, che definirei meglio come “percezioni”, avevo 17 anni, al funerale di mio nonno a cui ero molto legato. Cominciai a sentire delle voci indistinte, come se mi segnalassero che lui fosse vivo e volesse uscire dalla tomba. Questa esperienza non mi ha spaventato e ho pensando che fosse una cosa naturale e che potesse succedere.

Per due anni ho continuato ad avere queste percezioni ma non ci facevo caso, né su cosa dicessero né su cosa provassi percependole. Inizialmente interagivo con una voce maschile che diventava sempre più presente. Mi sentivo attirato da questa voce e mi ero abituato a sentirla. Col tempo la ricercavo e le davo sempre più importanza pensando che fosse qualcuno che potesse leggere nei miei pensieri.

In tutto questo periodo non ho mai dato troppa importanza alle voci, non cercavo di spiegarle e per me rappresentavano le mie emozioni. Quando bevevo una birra ad esempio potevo pensare di sentirle per l’effetto dell’alcol, oppure come il frutto della mia immaginazione.

In questo periodo studiavo e d’estate facevo diversi lavoretti per guadagnare qualcosa.

Il problema è cominciato più tardi.

A 19 anni ho cominciato a pensare che qualcuno, attraverso riti esoterici, riuscisse a leggermi nel cervello e questo mi provocava grande sofferenza. Percepivo queste entità come persone reali, in carne e ossa. Le avvertivo vicine e mi sentivo spiato, loro analizzavano il mio pensiero e alla fine sapevano tutto di me.

Mi sentivo in guerra con queste persone sconosciute e cercavo di oppormi e di resistere alla loro invadenza con tutte le mie forze, e oltre!! Anche nei sogni percepivo di essere in pericolo.

Dopo poco tempo, a causa delle idee psicotiche, dopo una nottata fuori casa e perso nei miei pensieri, mi sono lasciato convincere dal medico di base ad andare al pronto soccorso, perché i miei gli avevano riferito che ero agitato. Ci sono andato pensando che fosse tutto un complotto e che mi avrebbero svelato la verità.

A loro comunque non parlai di tutto quello che provavo e soprattutto del complotto. Dissi loro che avevo queste percezioni, specialmente quando sentivo la radio. Nonostante questo, al pronto soccorso volevano darmi due pastiglie e poi dimettermi. Dal momento che rifiutavo le pastiglie ho subito il primo TSO, durante il quale mi hanno anche picchiato per obbligarmi ad assumere i farmaci.

Tre giorni prima di uscire, dopo 15 giorni di ricovero, mi hanno fatto l’iniezione depot di Haldol, con la diagnosi di “malato cronico”. Quattro giorni dopo mi sono svegliato a casa con le convulsioni in stato di coscienza. Questo episodio mi ha spaventato profondamente, in quanto mi rendevo conto di quello che mi stava succedendo.

Dopo l’episodio delle convulsioni sono rimasto a letto per 4 mesi durante i quali ho dovuto reimparare a prendermi cura di me stesso anche sulle cose basilari come l’igiene personale, tanto ero devastato. In questo periodo facevo spesso incubi inquietanti, come quello di ritrovarmi in un ambulatorio, sotto una pioggia di pastiglie colorate e di cadere sul pavimento già ricoperto di pastiglie.

Il primo ricovero l’ho subito per via delle voci, mentre i successivi li ho subiti tutti, tranne l’ultimo, perché rifiutavo il depot. Gli psichiatri mi obbligavano al depot minacciandomi di TSO se provavo a dire che non lo volevo fare. Ogni volta i medici, alle mie rimostranze, aggiungevano alla diagnosi di psicosi altre diagnosi come l’angoscia, l’ansia e la mania, ovviamente tutte da trattare con gli psicofarmaci.

Una volta, dopo che mi avevano passato alla terapia orale, sono riuscito da solo a sospenderla e dopo un mese che non la prendevo dissi loro che non stavo più prendendo psicofarmaci. Glielo dissi in un momento di rabbia e loro mi fecero di nuovo un TSO e il depot.

L’esperienza dei TSO, anche negli anni successivi, mi ha molto segnato nei rapporti sociali, in quanto la sedazione mi faceva urinare addosso e mi toglieva la sicurezza personale. Gli effetti destabilizzanti dei farmaci e la sedazione a livello emotivo mi hanno fatto perdere fiducia in me stesso e negli anni, hanno influenzato il mio rapporto con gli amici.

Nel periodo in cui ero in cura con la Clozapina, l’assumevo di sera e nel giro di mezz’ora diventavo strafatto e dovevo andare a letto per non rischiare di farmi del male. Mi veniva l’affanno e avevo la sensazione di non riuscire a respirare. Mi svegliavo di notte a letto bagnato di pipì e quando mi alzavo rischiavo di collassare, così mio padre mi soccorreva, per evitare che potessi cadere e farmi male.

Ero stordito, tuttavia, in quel periodo al mattino riuscivo ancora con grande difficoltà ad alzarmi e ad andare a lavorare come metalmeccanico.

Nel 2018, con l’ultimo TSO, ricordo che ero già sedato di mio e in pronto soccorso, con la pressione altissima, mi hanno sedato ulteriormente. Mentre mi toglievo le stringhe dalle scarpe sono collassato. Mi sono risvegliato due giorni dopo legato al letto e con un dente rotto. Nessuno mi ha spiegato cosa mi fosse successo e come abbia fatto a rompermi il dente.

Dopo 15 giorni di ricovero sono stato dimesso con la terapia di Xeplion (che utilizzavo già da due mesi) in forma depot al massimo dosaggio, più Abilify e Tavor. Quando sono uscito stavo peggio di prima, oltre che fisicamente, anche psicologicamente.

Per l’effetto dei neurolettici, sono caduto in una forte depressione e sono rimasto a letto per i soliti 4 mesi.

Mi obbligavano a frequentare tutti i giorni il CPS (Centro Psico Sociale) prelevandomi da casa e lì mi obbligavano a prendere delle pastiglie. Ero così sedato che non riuscivo più nemmeno a sostenere un discorso con le persone.

I medici, tuttavia, rifiutavano di riconoscere che la depressione fosse un effetto collaterale dei farmaci e la attribuivano invece a me, al mio rapporto con gli amici e a questioni mie personali.

Per la depressione mi hanno poi abbassato il depot, scalato velocemente le pastiglie di Abilify, sostituendole con Olanzapina, per poi togliere anche questa in quanto, come l’Abilify, mi dava tremori. Per la depressione ho assunto per 3 settimane l’antidepressivo Citalopram, con Xanax al bisogno in aggiunta e poi ho dovuto toglierlo perché mi ha distrutto il sonno. Andavo a letto alle 7 di sera e dopo continui risvegli durante la notte, mi svegliavo definitivamente alle 4 del mattino, allucinato.

Poi, dopo questo lungo periodo, molto lentamente, nel giro di quasi un anno mi sono ripreso.

Gli antipsicotici agivano su di me sia a livello fisico che psicologico, sedandomi e togliendomi lucidità.

Gli antidepressivi buttano su fisicamente, danno energia per poco tempo durante il giorno, ma non tolgono l’effetto depressivo dato dai neurolettici.

Gli psicofarmaci cioè ti contengono fisicamente, ma la mente anche se manca la lucidità resta attiva nelle psicosi. Cioè internamente si hanno un subbuglio di emozioni, ma il corpo non reagisce agli stimoli esterni e quindi nemmeno ai pericoli, mettendo a rischio la sicurezza della persona che si ritrova inerme, senza possibilità di reazione.

Io le voci le sento ancora 24 ore su 24, mi disturbano anche nel sonno e gli psicofarmaci non mi hanno aiutato a farle tacere. Anzi, con le voci mi sento più a mio agio alla fine del depot, anche se a livello fisico sento i sintomi fisici dell’astinenza.

Quando ti fanno il depot, siccome sei sedato, non dai peso al fatto che hai le voci. Sei troppo preso ad affrontare la sofferenza della sedazione.

 

La sofferenza della sedazione: senti che il corpo non è in grado di rispondere ai tuoi pensieri e agli stimoli fisici. Ad es. quando arrivi in ipotonia, dopo mesi di tremore, ti senti immobilizzato e non riesci nemmeno più a scrivere il tuo nome o a guidare.

Hai una grande sensazione di caldo, come se il corpo andasse in surriscaldamento. È una sensazione molto sgradevole, come se avessi la febbre con dolore alle articolazioni, dolore allo stomaco, problemi di digestione, mal di testa e stordimento. Effetti molto negativi anche sulla libido (simili anche a quelli degli antidepressivi).

Poi, quando l’effetto del depot comincia a svanire riesco a gestire meglio le voci, che non erano mai scomparse, perché non mi sento più imprigionato dentro me stesso.

Uso di sostanze: prima dell’ultimo ricovero ho fatto uso di cocaina e di alcol. Ne avevo già fatto un uso saltuario, ma in quel periodo mi aiutavano a sopprimere il malessere esistenziale derivante dall’obbligo delle cure e ai loro effetti collaterali fisici e psicologici.

Queste sostanze mi calmavano e mi aiutavano a far fronte all’enorme rabbia che provavo (e che provo tutt’ora) dall’essere costretto a subire questo trattamento con i neurolettici, che mi crea grande sofferenza, sia psicologica che fisica.

Scalaggio dei farmaci: ho chiesto che mi facessero scalare i farmaci, ma non l’hanno mai fatto nonostante me lo avessero promesso

La psichiatra, dice che se non faccio il depot mi viene una crisi.

Ultimamente, dopo quasi due anni di malattia durante i quali andavo al lavoro per qualche mese e poi interrompevo, per l’effetto del depot non riesco più a lavorare e quindi penso che mi dovrò licenziare, ritrovandomi a dipendere economicamente da mia madre.

Gli psicofarmaci non sono la soluzione ai problemi. La soluzione dei problemi si ottiene nel prendersi cura di sé e prendere consapevolezza del proprio essere, anche con i sintomi, che possono essere presenti e che non devono influire sulla propria esistenza, cercando di limitare i danni e la rabbia. La soluzione al dolore, a mio parere, si ottiene solo con l’affetto e con l’amore, una sorta di reverie materna personale, anche se questo è molto difficile da realizzare.

Storia di Guido

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Ha inoltre tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici". Recentemente, insieme a Marcello Maviglia e Miriam Gandolfi, ha pubblicato il libro "Sospendere gli psicofarmaci: Come e perché. Costruire un percorso personalizzato ed efficace.

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