Psicosi – Barbara: storia di guarigione

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Laura Guerra

Barbara è un nome di fantasia, ma dietro al nome si cela una persona reale e che ha voluto raccontarci la sua storia. Una storia di guarigione dalla psicosi, il suo percorso attraverso il trattamento farmacologico, la comunità, la psicoterapia fino ad uscire dal suo disturbo psichico e ritrovare l’equilibrio.

 

Mi chiamo Barbara, ho 32 anni e voglio raccontare la mia storia di “guarigione” e di come sono riuscita a superate i miei problemi psicologici.

Dopo la maturità mi sono iscritta all’Università dove frequentavo i corsi di Lettere e lavoravo part-time per aiutarmi nelle spese della vita universitaria. Stavo bene e facevo le cose che i ragazzi solitamente fanno a quell’età.

Le cose hanno cominciato a cambiare quando conobbi un ragazzo, Andrea, e iniziai una relazione con lui. Dopo un piacevole periodo iniziale, il suo interesse per me divenne ossessivo, opprimente e soffocante, mi seguiva e controllava continuamente, voleva sapere dove mi trovassi e cosa stessi facendo a ogni ora del giorno. Dopo un po’ di tempo cominciai a sentirmi soggiogata; avevo l’impressione che lui mi facesse assumere LSD per plagiarmi e farmi fare quello che voleva.

La relazione continuò per 6 o 7 mesi; io pativo molto la situazione e cominciai ad avere una vita sregolata, dormivo e mi alimentavo male. Cominciò un periodo di ossessioni, vedevo Andrea ovunque, mi sentivo perseguitata.

Quando decisi di interrompere la relazione Andrea, dalla rabbia, abusò di me.

Come conseguenza di questo terribile periodo, una notte cominciai a sentire le “voci”. Abitavo nel centro di Padova e alle 3 o 4 di notte cominciai a sentire delle voci che provenivano dalla strada, ma quando mi affacciai vidi che non c’era nessuno. Le voci mi dicevano di picchiare e uccidere mia madre e che se lo avessi fatto sarebbero cessate.

La mia famiglia si spaventò molto per il mio stato e i tentativi di aggredire mia madre. Dopo essere stata sveglia per 4 o 5 giorni e aver tentato più volte di picchiarla subii il primo TSO.

All’epoca avevo 24 anni e posso dire che i primi due TSO li ho subiti proprio per gli atteggiamenti aggressivi contro mia madre, mentre i successivi, più di 10, li ho subiti in quanto sospendevo la terapia improvvisamente e avevo delle brutte reazioni di ricaduta dovute all’astinenza [effetto rebound, ndr].

La mia psicosi mi portava ad avere una percezione della alterata realtà. Ad es. mi capitava di dire qualcosa e poco dopo qualcuno ripeteva esattamente la stessa cosa, così che per me le cose diventavano prevedibili, sapevo cosa avrebbero detto di lì a poco le persone. Avevo difficoltà a riconoscere me stessa come mi ero sempre percepita e a riconoscere anche gli altri per come li conoscevo.

Al primo TSO cominciarono la terapia col Risperdal, Serenase e benzodiazepine, ma dopo 4 o 5 mesi ebbi un tentativo di suicidio e in un TSO successivo, il Risperdal mi fu sostituito con Depakin. Questo cambiamento di terapia fu deleterio per me. Con questo nuovo farmaco avevo la sensazione che il corpo fosse separato dalla mente, non reagiva ai miei pensieri e alla mia volontà. Mi facevo la pipì addosso, non riuscivo ad alzarmi e misi su 30 chili in due mesi, cosa bruttissima per me che durante l’adolescenza avevo sofferto per un periodo di bulimia.

Le medicine non mi hanno mai aiutata a togliere le voci e il Depakin mi peggiorava il DOC (disturbo ossessivo-compulsivo). Se mi lavavo una mano dovevo subito lavare anche l’altra. Mi sentivo come una pianta, con la pelle secca e mi dovevo idratare proprio come le piante nella vasca da bagno.

Le voci mi impedivano di defecare e avevo addirittura una sensazione di impedimento fisico da parte loro che mi impediva di farlo e quindi anche il mangiare era terrorizzante.

Per la violenza contro mia madre, guidata dalle voci che sentivo, fui cacciata di casa e mi ritrovai a vivere in strada. In strada, ovviamente, non potevo seguire una terapia in modo regolare e cominciai ad usare eroina.

L’eroina mi calmava e mi dava una sensazione di sollievo e di benessere, distaccandomi dalle voci. Mi addormentavo felice, ma alla mattina quando l’effetto era svanito, mi sentivo dispiaciuta.

La vita di strada, con l’eroina e le voci era molto pesante e dopo 5 anni dall’inizio della mia psicosi entrai finalmente in una comunità terapeutica.

Qui ho incontrato bravi psicologi e bravi psichiatri. È iniziato così un lungo “allenamento” terapeutico.

Anche se in un primo momento non mi ascoltavano, sono riuscita in seguito ad instaurare con loro un buon rapporto di collaborazione. La terapia mi fu cambiata e invece del Depakin cominciai ad assumere Lamictal e Abilify.

Anche se la vita in comunità era piuttosto spartana, sia per il cibo che per l’alloggio, questa esperienza è stata molto utile per riprendere in mano la mia vita. Ogni giorno facevamo due ore di gruppo sia alla mattina che al pomeriggio in cui parlavamo delle nostre esperienze ed erano scambi molto ricchi e proficui.

Dopo 6 mesi di comunità, finalmente ho smesso di sentire le voci e ho cominciato di nuovo a sentirmi me stessa, come prima della psicosi.

Per arrivare a questo risultato la psicoterapia è stata determinante. La psicoterapia mi ha aiutata, infatti, a filtrare il mondo esterno e a interpretarlo. Per fare un esempio, quando mia madre mescolava due tipi di pasta, io lo interpretavo in modo simbolico, come se lei volesse rimescolare il bene e il male dentro di me, mentre con la psicoterapia mi allenavo ad interpretarlo come un fatto casuale, come realmente succede quando due pacchetti di pasta stanno per finire.

Per fare un altro esempio, quando suonava il campanello pensavo che suonasse apposta per farmi stare male, per interrompere un pensiero positivo. La psicoterapia mi aiutava a pensare che il campanello poteva suonare perché qualcuno arrivava, ma non per dare fastidio a me.

Durante il periodo della psicosi sentivo le voci dei cani, dei quadri, dei muri e tutto mi parlava. Ero convinta che tutti potessero leggermi nel pensiero e pensavo che tutti mi volessero danneggiare e fare del male. Per quattro anni ho avuto la convinzione di non poter guardare un bambino altrimenti gli avrei tolto l’anima.

Le voci mi totalizzavano, erano tantissime e cambiavano, volevano farmi sentire depressa, una nullità. Occupavano tutto il mio tempo e le mie energie e io, ad un certo punto, divenni fortemente determinata ad uscire da questo incubo.

Il punto di svolta fu determinato dalla psicologa della comunità che si rifiutò di continuare ad ascoltare le storie delle mie voci e mi disse: “Barbara, se vuoi che io ti aiuti non mi raccontare più delle voci, ma raccontami di te, di chi sei e di come ti senti, raccontami di Barbara”. Di lì ho cominciato a distinguermi dalle voci e a capire che io non ero “le voci”, ma loro erano solo un sintomo di un mio disagio più profondo. Questo mi ha permesso di separami dalle voci e di cominciare ad aiutarmi anche da sola.

Quando le voci smisero potei dare un’interpretazione diversa alle cose che mi succedevano. Dovevo reinterpretarle non pensando che fossero rivolte contro di me, ma come eventi casuali e normali.

I 2 o 3 anni successivi mi sono serviti per rimettere “le cose a posto”, in ordine e ritrovare la normalità dei gesti e dei pensieri.

Successivamente ho cercato un lavoro e mi è stato possibile trovarlo anche perché ho abbassato il dosaggio degli psicofarmaci. Inizialmente la mia psichiatra si rifiutava di farmeli scalare e io mi sono dovuta imporre, anche minacciando di toglierli di botto. Le spiegavo come mi facessero sentire, i problemi che mi davano e lei cercava di modificare la terapia in funzione dei miei effetti collaterali e poi di ridurli progressivamente.

Per me era importante togliere gli psicofarmaci, perché sentivo che non mi stavano aiutando. Anzi, mi toglievano la dignità. Gli psicofarmaci aiutano di più le famiglie che le persone che li usano. Le famiglie vengono circuite dagli psichiatri che le disorientano riguardo i trattamenti e quando i pazienti non prendono le medicine diventano violenti.

Le medicine tengono le persone come se fossero dei bambini che non possono evolvere. Creano una dipendenza oltre che fisica, anche psicologica. Le medicine ti tolgono la spinta vitale, ti tolgono le emozioni e i sentimenti, così che non ti percepisci per come sei realmente, ma ti distaccano da te stessa. Non capisci più dove finisci tu e dove inizia il farmaco o dove finisci tu e inizia la malattia.

Alcuni gruppi di informazione e di scambio di esperienze sul web, come Mat in Italy e altri ancora hanno rafforzato le mie convinzioni e mi hanno aiutata a prendere decisioni con maggiore consapevolezza. Ora sto cercando di aiutare gli altri, di metterli in guardia riguardo gli psicofarmaci e ad affrontare i problemi in modo diverso: con la psicoterapia e i gruppi nelle comunità.

Ora ho riallacciato i rapporti con la mia famiglia. Abbiamo parlato molto e ho capito che mia madre non poteva evitare di cacciarmi di casa per la sua incolumità e lei ha capito che io agivo in quel modo perché mi sentivo sotto il controllo delle voci.

Ho tolto tutta la chimica che avevo in corpo, gli psicofarmaci, e le mie cellule hanno ricominciato a vivere. Se avessi continuato a prenderli non avrei avuto la forza di liberarmi e di riprendermi.

La famiglia è la “gabbia” più grande e per questo i familiari avrebbero bisogno di essere informati ed educati sulla natura del disturbo e sui reali effetti degli psicofarmaci.

Attualmente mi trovo agli arresti domiciliari poiché, quando non stavo ancora bene, una sera ho bevuto una boccetta intera di Rivotril e dopo aver dormito tutta la notte al mattino, ancora sotto l’effetto del farmaco, senza rendermi conto di cosa stessi facendo, ho rubato alcune cose in un negozio e sono stata denunciata [Effetto incantesimo del farmaco*, ndr]. Nonostante questo increscioso inconveniente, ho una visione positiva e guardo al mio futuro con speranza.

* L’Effetto incantesimo del farmaco o anosognosia da intossicazione, è causato da tutte le sostanze psicoattive. Può rendere l’individuo incapace di riconoscere o di giudicare gli effetti mentali e comportamentali dei farmaci. L’Effetto incantesimo del farmaco può portare a comportamenti pericolosi che sono insoliti per l’individuo.

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Recentemente ha tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici".

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