L’etica dell’uso prolungato degli psicofarmaci e perché abbiamo bisogno di migliori soluzioni

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Laura Guerra

Sono molte le persone che sperimentando diverse forme di sofferenza psichica si sentono dire dal medico curante che avrebbero uno squilibrio chimico del cervello e che devono assumere gli psicofarmaci per ritornare alla condizione di equilibrio. Lo psichiatra, addirittura, spiega loro che il trattamento farmacologico dovrebbe essere a vita, proprio come “l’insulina per il diabete”.

L’industria farmaceutica ha favorito questa narrazione, poiché consente di promuovere l’uso degli psicofarmaci e quindi la loro vendita su larga scala, ma l’osservazione “sul campo” dell’uso degli psicofarmaci a lungo termine non conferma il beneficio del trattamento a lungo termine.

Anzi, il trattamento a lungo termine si è dimostrato iatrogeno, cioè dannoso, in quanto, non solo gli psicofarmaci non ripristinano l’equilibrio chimico del cervello, ma inducono essi stessi uno squilibrio chimico (1), oltre naturalmente a causare un lungo elenco di effetti collaterali.  Tutti questi fattori possono compromettere la qualità della vita.

Lo squilibrio chimico che lo psicofarmaco induce è in genere responsabile di due importanti fenomeni:

  • Tolleranza → L’effetto del farmaco dopo qualche mese diminuisce. A questo punto nella pratica clinica, di solito, si cambia molecola o se ne aggiungono altre.
  • Assuefazione → La presenza costante del farmaco nell’organismo può provocare, nel caso di interruzione del trattamento, dei sintomi di astinenza, a volte molto importanti. Questo rischio  rende necessaria una sospensione lenta e graduale del farmaco (1).

Inoltre è importante precisare che gli psicofarmaci non agiscono sulle cause della sofferenza psichica, ma ne sopprimono soltanto i sintomi. La sofferenza psichica ha basi relazionali, culturali e sociali ed è su di esse che va programmato un intervento psicoterapeutico e psicosociale (1).

Il recente articolo di Josef Witt-Doerring uscito su Mad in America il 27 febbraio 2025, di cui riportiamo di seguito la traduzione, tratta appunto i problemi che si verificano col trattamento a lungo termine (l’evidenziazione in grassetto è della nostra redazione di Mad in Italy):

L’etica dell’uso prolungato degli psicofarmaci e perché abbiamo bisogno di migliori soluzioni

https://www.madinamerica.com/2025/02/ethics-psychiatric-drug-use/

Di Josef Witt-Doerring

Pubblicato su Mad in America il 27 febbraio 2025

Assumere psicofarmaci a lungo termine è come giocare alla roulette russa. È una dura realtà di cui la maggior parte dei pazienti spesso non viene informata. La verità è che questi farmaci possono peggiorare notevolmente la qualità di vita nel tempo.

Quando ero tirocinante in psichiatria, mi è stato detto che questi farmaci erano sicuri ed efficaci. Ho dato per scontato che ciò significasse anche sicurezza ed efficacia a lungo termine, dopotutto, vedevo i miei professori e colleghi prescriverli ai pazienti per decenni.

Venivano presentati come strumenti utili ma con effetti modesti. Ci hanno insegnato che a volte funzionano, ma che altre volte la “malattia mentale latente” del paziente avrebbe sopraffatto i farmaci. In quei casi, in generale, ci hanno raccomandato  di  aumentare la dose e/o aggiungere altri farmaci. Come alternativa  ci raccomandavano di passare alla ketamina, alla stimolazione magnetica transcranica (TMS) o persino alla terapia elettroconvulsivante (TEC). Paradossalmente, il disagio mentale assumeva delle caratteristiche quasi misteriose: cambiava costantemente, peggiorava e rendeva i pazienti sempre più disabili.

Questo è il paradigma in cui sono stato formato.

Ma col tempo ho capito che molte di queste cosiddette condizioni “resistenti ai farmaci” non erano malattie latenti, ma erano causate dai farmaci stessi.

Questa idea potrebbe non essere nuova per la comunità Mad in America. Dopotutto, Indagine su un’epidemia di Robert Whitaker ha esposto il caso secondo cui gli psicofarmaci spesso peggiorano le condizioni delle persone nel tempo. Ma voglio offrire una prospettiva diversa, quella di qualcuno che cura esclusivamente pazienti che soffrono di gravi effetti collaterali dei farmaci e li aiuta a ridurre gradualmente questi farmaci in modo sicuro.

Vorrei raccontarvi come sono passato dal credere che questi farmaci fossero sicuri alla consapevolezza che assumerli a lungo termine equivale a mettere a repentaglio il futuro del cervello.

La devastazione dell’astinenza prolungata

Nel 2017, ho scritto un articolo che evidenziava le centinaia di migliaia di persone che segnalavano gravi effetti collaterali da astinenza su forum come BenzoBuddies e Surviving Antidepressants. Si trattava di persone che, dopo aver interrotto l’assunzione dei farmaci, sia tramite una riduzione graduale pianificata, sia decidendo all’improvviso di non volerli più assumere, avevano subito conseguenze devastanti.

Ciò che la maggior parte delle persone non capisce di coloro che sono stati danneggiati dall’astinenza da psicofarmaci è che hanno subito danni cerebrali, noti anche come astinenza prolungata. La caratteristica distintiva del danno cerebrale è che non si risolve, anche se la persona reintegra il farmaco (in un certo numero di casi, ndr di Mad in Italy).

Ecco cosa rende l’astinenza prolungata così devastante. Molti pazienti presumono che se sviluppano gravi sintomi dopo aver interrotto l’assunzione di un farmaco, possono semplicemente ricominciare e la loro sofferenza scomparirà. Ma non è così (in molti casi, in quanto in altri ciò è possibile, ndr di Mad in Italy). Il danno è già stato fatto e la reintegrazione non sempre lo inverte.

Neurotossicità da psicofarmaci, anche senza sospensione

Dopo che sono diventato noto nella comunità come un medico che riconosceva questa condizione, i pazienti hanno iniziato a prenotare appuntamenti presso la mia clinica per chiedere aiuto.

Inizialmente ho pensato che queste reazioni tossiche si verificassero solo in persone che avevano interrotto rapidamente l’assunzione di farmaci. Ma presto ho notato qualcosa di allarmante:

molti pazienti stavano sviluppando la stessa costellazione di sintomi osservata nell’astinenza prolungata, anche prima di iniziare la riduzione graduale.

Ciò era particolarmente comune tra gli utilizzatori di benzodiazepine. Ho curato diverse donne a cui erano state prescritte benzodiazepine per l’insonnia perimenopausale, che avevano sviluppato una neurotossicità conclamata dopo 6-12 mesi di utilizzo. Queste pazienti non avevano mai provato a ridurre gradualmente; l’uso prolungato dei farmaci causava gravi danni neurologici duraturi.

Da allora, ho studiato la neurotossicità a lungo termine dei farmaci psichiatrici assunti secondo prescrizione. E ciò che ho scoperto è profondamente preoccupante.

Tossicità che la psichiatria rifiuta di riconoscere

La psichiatria tradizionale riconosce che gli antipsicotici possono causare neurotossicità: la discinesia tardiva è una condizione ben documentata. Ma il settore si rifiuta di estendere tale riconoscimento ad altri psicofarmaci.

Tuttavia, secondo la mia esperienza, l’uso prolungato di antidepressivi può causare una sua forma di neurotossicità, che porta a:

  • Apatia
  • Dissociazione
  • Stanchezza cronica
  • Agitazione

Questa condizione è riconosciuta nella letteratura medica come disforia tardiva. Ma nonostante la sua esistenza nella ricerca, non mi è mai stata insegnata durante la mia formazione psichiatrica. Non l’ho mai sentita menzionare a una conferenza.

Cosa succede a questi pazienti? Invece di riconoscere la loro condizione come neurotossicità indotta da antidepressivi, vengono diagnosticati con depressione resistente al trattamento. Ciò porta a:

  • Dosi più elevate di farmaci
  • Altre combinazioni di farmaci
  • “Escalation” a ketamina, TMS o TEC
  • In alcuni casi, l’assunzione di antipsicotici pesanti come la clozapina

Tutto questo perché la psichiatria tradizionale si rifiuta di riconoscere che questi pazienti non sono resistenti ai trattamenti, ma soffrono di danni cerebrali causati dai farmaci stessi.

Purtroppo, è così che molti pazienti si presentano nella mia clinica: soffrono immensamente, sotto l’effetto di assurdi cocktail di psicofarmaci che peggiorano la loro situazione.

Riformulare il problema: da “resistente al trattamento” a tossicità indotta da farmaci

Se identifichiamo correttamente questi casi come tossicità da farmaci, l’approccio terapeutico cambia completamente. Invece di essere prescritti più farmaci, questi pazienti hanno bisogno di:

  • una lenta e attenta riduzione del farmaco incriminato
  • supporto psicologico
  • riconoscimento che l’assunzione di farmaci psichiatrici aggiuntivi spesso peggiora la situazione

Un cervello danneggiato non risponde in modo prevedibile a più farmaci. Ecco perché aggiungere farmaci in questi casi in genere esacerba i sintomi anziché alleviarli.

Quanto è diffuso il danno cerebrale indotto da farmaci psichiatrici?

La comunità medica è convinta che le droghe ricreative possano causare danni cerebrali persistenti, ma tace quando si parla di prodotti farmaceutici.

Riconosciamo già che:

  • L’LSD può causare disturbi della percezione persistenti da allucinogeni (HPPD), una forma di danno cerebrale duraturo.
  • La cannabis ad alta potenza può causare neurotossicità e deterioramento cognitivo, soprattutto nei giovani, e può avere effetti simili alla schizofrenia.
  • L’uso di metanfetamine provoca evidenti alterazioni cerebrali, che spesso imitano la schizofrenia.
  • L’uso cronico di alcol può causare la sindrome di Wernicke-Korsakoff, un grave disturbo neurologico.

Eppure, quando si tratta di farmaci, diamo per scontato che siano in qualche modo “più puliti” semplicemente perché sono prescritti. Ma per il tuo cervello, un farmaco è un farmaco. E gli psicofarmaci, specialmente se usati a lungo termine, possono avere effetti profondamente neurotossici.

Questo soggetto viene evitato dalla  psichiatria tradizionale perché:

  1. È una minaccia diretta per l’industria farmaceutica. Se si sapesse che questi farmaci possono causare danni neurologici irreversibili, le prescrizioni crollerebbero.
  2. È scomodo per i dottori ammetterlo. Immagina di dire a un paziente:
    “Se prendi questo farmaco a lungo termine, c’è una piccola ma reale possibilità che possa peggiorare la tua situazione e causare danni neurologici duraturi che potrebbero non scomparire mai”.
  3. Sconvolge il modello di gestione dei farmaci in 15 minuti. Se i dottori ammettessero questi rischi, la prescrizione in visite rapide diventerebbe molto più complicata.

Perché i pazienti meritano la verità

Ora abbiamo il 17% della popolazione statunitense che assume psicofarmaci, milioni dei quali potrebbero essere a rischio di neurotossicità indotta da tali farmaci. Molti di questi individui, dopo aver fallito farmaco dopo farmaco, saranno etichettati come “resistenti al trattamento” e riceveranno ancora più farmaci che probabilmente peggioreranno la loro condizione.

Non c’è modo di prevedere per quanto tempo uno psicofarmaco funzionerà prima di rivoltarsi contro di te. Ecco perché assumere questi farmaci a lungo termine è come giocare alla roulette russa con il tuo cervello.

Da quanto sopra affermato, ne scaturisce che è eticamente doveroso cominciare a informare i pazienti su questi rischi, prima che diventino vittime ingiustificabili dei crescenti danni indotti dagli psicofarmaci.

Bibliografia

(1) Marcello Maviglia, Laura Guerra, Miriam Gandolfi. Sospendere gli psicofarmaci: come e perché – Costruire un percorso personalizzato ed efficace. La fabbrica dei segni (Mar 2024)

Sospendere gli psicofarmaci: come e perché – Costruire un percorso personalizzato ed efficace – Mad in Italy (mad-in-italy.com)

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Ha inoltre tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici". Recentemente, insieme a Marcello Maviglia e Miriam Gandolfi, ha pubblicato il libro "Sospendere gli psicofarmaci: Come e perché. Costruire un percorso personalizzato ed efficace.