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La “acchiappanuvole” – Storia di Marina
Sono una ”acchiappanuvole”. Mi definisco così per due motivi: il primo è che “Acchiappanuvole” o “La terra degli aquiloni” sono titoli di un LP di Giuseppe Mango, un grande cantante, purtroppo scomparso, i cui brani riflettono l’essenza della mia esperienza di vita e di disagio emotivo.
Sono ”acchiappanuvole” perché se non avessi avuto il sogno di immaginarmi “diversa”, non sarei sopravvissuta. Mi ricordo le parole di un medico che disse: “Ciascuno nasce solo se sognato”. E così ho fatto.
La mia storia inizia in un paese piccolo di montagna, che ho abbandonato. Un posto senza prospettive di lavoro. Il tempo libero lo potevi trascorrere o in montagna o al bar.
La mia famiglia non è stata esente da sbagli pesanti dovuti anche ai retaggi culturali. I miei erano del 1924 e hanno avuto alcune ambivalenze verso di me. Tra loro non si rispettavano, era evidente, ma mi hanno comunque “resa autonoma” velocemente.
Ad un certo punto, mi hanno detto chiaramente che potevo andare via da casa, anzi che dovevo per il discorso del lavoro e perché li “facevo impazzire” (esempio della ambivalenza a cui mi riferivo).
Mia madre, in verità, mi diceva spesso che non era così importante che imparassi le faccende domestiche, ma che era più importante che leggessi, lei ad es. ricordava a memoria tutte le poesie che leggeva.
Cominciai a lavorare ai servizi sociali come coordinatrice di una casa di riposo. Ma fuggii letteralmente dopo tre mesi, perché venivo percepita come un problema, “una rivoluzionaria”. Passai così ad un lavoro nella sfera educativa (NPI) e successivamente mi sono dedicata ad assistere individui con disabilità.
Lavoravo autonomamente, aiutando le persone a sviluppare le loro capacità di espressione artistica. Questo periodo fu molto bello e pieno di soddisfazioni. Ancora adesso incontro familiari ed utenti che mi ringraziano con i loro sorrisi e dimostrazioni d’affetto.
Ma purtroppo, il mio lavoro non godeva del necessario supporto da parte dei supervisori e dell’amministrazione. Non poteva durare.
Nel corso degli anni, ho attraversato molte storie che non riesco a narrare, in quanto mi risvegliano un dolore che in parte ho risolto tramite le letture di Lacan ed in parte ho meramente soppresso.
Ma riguardo alla mia situazione familiare, che è stata molto dolorosa, vorrei solo accennare che mia madre ha sofferto di gravi episodi di depressione, dovuta anche al fatto che la mia famiglia fu perseguitata da gerarchi fascisti, che minacciarono ripetutamente di morte mio padre. La mia vita, senza scendere in dettagli, è andata avanti tra cose belle, come i viaggi per il mondo e l’arte, ed un senso profondo di solitudine e di separazione dalla mia famiglia.
Il mio disagio emotivo, pur beneficiando della mia conoscenza di Lacan, purtroppo non ha risentito in maniera positiva dalla somministrazione degli psicofarmaci, prescritti spesso a dosaggi molto alti. Infatti, la mia vera “rovina” è iniziata proprio con la mia presa in carico nel sistema sanitario pubblico e con il susseguirsi disordinato dell’assunzione di diversi psicofarmaci, di interruzioni incaute degli stessi, di effetti collaterali, di ricoveri in SPDC, tutti volontari (perché avevo paura di obiettare alle decisioni dei medici), ma di cui l’ultimo particolarmente sconvolgente.
Ne sono uscita anche con l’aiuto di alcune OSS (operatrici socio-sanitarie). Ma ho imparato che il sistema sanitario pubblico ha degli aspetti feroci, che stimolano anche i lati reconditi più deteriori dei familiari, come nel mio caso, quando alcuni commenti avventati di mio nipote su di me, sono stati travisati con il tentativo chiaro di impormi un ADS (amministratore di sostegno). Per fortuna, con l’aiuto di una amica, sono riuscita a provare che sono perfettamente capace di intendere e di volere e quindi l’ho evitato.
Da allora, il mio scopo è stato di liberarmi dalle grinfie del servizio pubblico, che non riusciva a comprendere che gran parte delle mie difficoltà (come non riuscire a firmare un assegno), erano dovute agli effetti delle terapie farmacologiche, spesso mal gestite dagli psichiatri.
Ne sono uscita grazie al supporto di un’amica e degli amici del gruppo Facebook Mat in Italy. Ho scritto una raccomandata a chi di dovere e mi sono in, poche parole, liberata dei prescrittori e delle terapie precedenti. Senza scendere in ulteriori dettagli, quindi ho cercato e trovato un bravo dottore che mi ascolta. Insieme abbiamo modificato il corso della terapia in maniera che rifletta più adeguatamente i miei bisogni e le mie esigenze. Anche se ho perso il lavoro, la mia vita è più in ordine adesso, grazie al supporto che ricevo, tra cui vorrei menzionare quello di alcuni sindacalisti in gamba.
E penso proprio che, se non fossi stata “acchiappanuvole” e cioè abile nel districarmi dalla burocrazia del sistema pubblico per seguire i miei istinti, probabilmente non sarei qui a narrarvi la mia storia.
Lo faccio anche per infondere un po’ di speranza e per sottolineare che i miei problemi non erano di origine organica, ma derivanti dalle difficoltà dell’esistenza stessa, cioè di quello che più formalmente si definisce psicosociale.