Il coraggio di smettere – Storia di Amelia

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Laura Guerra

Pubblichiamo la toccante testimonianza di Amelia Di Giada (nome di fantasia) che con estrema poesia riporta il suo vissuto emotivamente carico con la realtà psichiatrica italiana. Chiunque abbia avuto esperienze simili non potrà che riconoscersi in questo testo che poniamo all’attenzione pubblica. (Antonino Napoli)

Il coraggio di smettere – Storia di Amelia

Di Amelia Di Giada

Col flusso di pensieri devo sempre avere avuto una certa familiarità e pure con le immagini. Le immagini potenti, quelle che evocano cose che non fanno parte della vita quotidiana, quelle immagini metaforiche di altro, quell’altro solo tuo: la tua unicità, la tua creatività.

Ho sempre avuto visioni fortissime, presenze altissime diventate poi, sotto la scure del carnefice, agghiaccianti. Un tempo avevo l’abitudine di scriverle perché questo linguaggio in casa, in qualsiasi casa io abbia trovato casa, era rifiutato. L’illusione di poterle comunicare almeno durante la seduta, trasferire al mentore, al guaritore, ecco l’inganno, uno dei tanti, della psichiatria: le trasforma in immagini di morte, rendendoti colpevole di esserne il portatore.

La rottura narcisistica, il dolore profondo si manifesta proprio quando credi di poterlo, non dico ricucire, ma comprendere durante la seduta.

In realtà è come annegare, vedere una mano tesa verso di te, afferrarla con fiducia e scoprire, incredula, che questa mano ti sta tenendo sotto.

Ti tiene sott’acqua con una ferocia inaudita, col suo silenzio rigido, con l’aggravante che ti ha imbottito di piombo e pesi più del tuo peso, se poi ti schiaccia la testa sotto è irrimediabilmente la fine.

Ma tu non sei stupido e sai che una soluzione c’è; tuttavia, questa soluzione non ti garba affatto: preferisci suicidarti piuttosto che morire ammazzato.

La mano si allenta quando tu cedi. E quando tu cedi, ormai lo hai imparato, tu muori, fisicamente e metaforicamente.

Fisicamente perché arriveranno altre dosi, metaforicamente perché stai rinunciando alla tua ribellione.

Quindi, se sei ancora abbastanza lucido, ti si presentano due alternative: non cedere o far finta di cedere. Entrambe le scelte sono la tua forza.

Quando stanno per ammazzarti la morte è lenta, perciò hai modo di soffrire, come avviene con le torture. E meno male che hai guardato Brave Heart e ti sei ribellata al genitore che imponeva il no ai filmetti di quel tipo!

E meno male che almeno la libido è ancora viva se non riesci a tenere più gli occhi aperti ma Mel Gibson ti arrapa così tanto che il film lo guardi con le palpebre sdraiate sulle guance, ma lo guardi, fino alla fine.

Meno male che il vento soffia in te da sempre, ribelle. Perché come Mel, piuttosto che cedere, muori.

La morte, non lo sai, inizia appena dici che non vuoi più mangiare quella robaccia, intendo quelle pastiglie e quelle gocce! Sì, perché è esattamente lì che inizia la vita e pure quella autentica, perché prima devi morire. Se ce la fai a rifiutare definitivamente quel lugubre pasto chimico non è che rinasci, come si è soliti dire, ma nasci alla tua vita vera, ovvero la vita-con-la-morte, la vita per la morte, la vita in funzione della morte. La vera vita insomma.

Però ancora non lo sai. Hai deciso che smetti e vagheggi un periodo più o meno lungo di obiettiva difficoltà, la dismissione, l’astinenza, la sofferenza e poi, il miracolo, la vita, la rinascita. Col cazzo!

Quando smetti la merendina, succede qualcosa di potentissimo che tu non sai, che la tua amica psichiatria nemmeno sa, perché le sue persone, i fantasmi che te l’hanno imposta non conoscono assolutamente nulla di ciò che accadrà al tuo corpo, alla tua mente, alla tua anima.

E nemmeno sanno cosa succederà alla tua famiglia, alla tua vita sociale, professionale, relazionale, alle tue emozioni soprattutto.

Quelle persone non solo non ti danno informazioni corrette sulla successiva dieta da seguire, ma si defilano sapientemente pur consapevoli che stia per avvenire un danno atroce di cui non sanno o non vogliono prevedere nulla, in cui non possono esserti di aiuto, in cui è assolutamente opportuno defilarsi, rompere le righe e battere in ritirata arroccandosi in difesa della categoria. Allora da buon nevrotico tu, simbolicamente, vedrai tutti questi omuncoli e donnine, i medici psichiatri, come fantasmini volare all’indietro, risucchiarsi tutti in un unico enorme T-Rex che esibisce il suo 110 e lode ringhiando da tutti gli angoli degli edifici in cui entrerai. E questi sono i migliori.

Nelle persone della psichiatria ci sono però anche quelli che escono dalle gambe del T-Rex imponenti, eretti e gonfi di sangue. Testa lucida, voce alta e pugnale in mano. Quelli sono i peggiori, inutile combatterli, bisogna darsela a gambe levate prima che ti sfondino la gola infilandotisi in bocca. Coi problemi che hai a deglutire dopo aver sospeso i loro intrugli, moriresti soffocata dalla costrizione all’ingoio.

In questi tempi di prevaricazione, celodurismo e disprezzo per la donna mi piace segnalarne uno che, voce alta e ricetta in mano: “Siete tutte uguali, una famiglia poi la separazione, il divorzio, scopano con uno qualunque per rimpiazzare il marito (notare la variazione della persona plurale) e poi frignano per le corna, fate schifo!”. Anno 2016 Ospedale San Paolo di Milano: medico (si fa per dire) violento che avrebbe bisogno di un TSO per placare il priapismo della sua boria, accoglie una persona che piange e chiede aiuto; il grancazzone intima alle infermiere di toglierle le scarpe, farla sdraiare e ordina di tenerle fermi i piedi perché “Non si sa mai”. Applausi!

Quella persona sono io che in PS racconto la mia storia e chiedo aiuto perché la dismissione di psicofarmaci mi sta dando tanti disturbi. Entro in PS mite e con buone intenzioni ed esco legata senza saperne il reale motivo. Umiliata e offesa.

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Laura Guerra è laureata in Scienze Biologiche e ha conseguito il dottorato di ricerca in Farmacologia all'Università di Ferrara. Si interessa dei trattamenti psicofarmacologici nel contesto psicosociale del disagio emotivo. Pone particolare attenzione ai problemi dell'eta giovanile e infantile. Ha tradotto il libro di Peter Breggin "La sospensione degli psicofarmaci. Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie". Ha inoltre tradotto il libro di Joanna Moncrieff "Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici". Recentemente, insieme a Marcello Maviglia e Miriam Gandolfi, ha pubblicato il libro "Sospendere gli psicofarmaci: Come e perché. Costruire un percorso personalizzato ed efficace.

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