A proposito dell’articolo di Miriam Gandolfi: Il nuovo codice deontologico degli psicologi – Linee guida per una psicologia di Stato?

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Renato Ventura

A proposito dell’articolo di Miriam Gandolfi: Il nuovo codice deontologico degli psicologi – Linee guida per una psicologia di Stato?

Ho conosciuto Miriam Gandolfi in occasione dell’incontro a Milano del febbraio 2020 organizzato da Beppe Tibaldi per la rete IIPDW e me ne sono “innamorato”. Lo posso dire perché è la stessa Miriam che me lo ha fatto notare in quanto, in una recente videochiamata, a mia insaputa (inconsciamente?!), mi ero dichiarato. In realtà dopo la vidotelefonata Miriam mi scrive: mi è rimasta una tua frase “io mi innamoro delle persone” … credo che sia un dono grande per le persone che ricevono così il tuo apprezzamento e te ne sono grata. È vero che se incontro persone che mi stimolano (intellettualmente e sul piano morale) ne sono attratto.

La mia età non verde (ottantun anni suonati) mi mette al riparo da interpretazioni maliziose. Nel caso di Miriam si tratta ovviamente di un innamoramento intellettuale, se così vogliamo chiamarlo, per una persona che non cessa di stupirmi per la sua energia, coraggio di esporsi e amore di verità. Amicus Plato sed magis amica veritas. Le avevo chiesto di scrivere una introduzione a un mio libro di prossima pubblicazione (Sull’orlo dell’abisso) e con grande generosità, nonostante ampie aree di possibile divergenza teorica, testimoniata da una numerosa serie di note a margine, ha scritto un assai interessante e lucido contributo che mi sembra avere centrato lo scopo del saggio di rendere esplicite le contraddizioni che caratterizzano la psichiatria e le possibili implicazioni per andare oltre i comodi sentieri che per solito caratterizzano l’esplorazione culturale e scientifica della materia. Con rigore altoatesino proporre una visione della psicologia (e della salute mentale) che credo sia urticante per alcuni stakeholder delle nostre discipline affini.

Nell’articolo su MAD in Italy dell’11.06.2025, che prende spunto dalla proposta di un nuovo codice deontologico per gli psicologi viene ripercorsa una visione storica (storicistica?) della psicologia in Italia che spiega, tra l’altro, le molte diffidenze e incomprensioni che hanno caratterizzato i rapporti fra le due discipline (psicologia e psichiatria). Ambedue hanno in comune lo scopo di occuparsi di salute mentale. Sarebbe auspicabile che si superassero le rigide e corporative difese che, da parte dei medici, si basano su una presunta competenza specifica su come affrontare i disturbi mentali. Tale (presunta, lo ribadisco) superiorità nel ritenere di possedere gli strumenti adeguati) hanno condotto all’attuale deriva medico biologica della psichiatria che si basa fondamentalmente sulla psicofarmacologia.

Io credo però che fondamentalmente sia un problema di potere e lo si può leggere tra le righe dello scritto di Miriam.

Per mia sofferta esperienza come familiare e per mia formazione di psichiatra e di psicoanalista da tempo ho visto nell’apertura incondizionata alla psicologia il solo modo di uscire dall’autoreferenzialità che caratterizza la psichiatria a impronta medico biologica. Quando ho conosciuto Miriam ero in una fase simile a quella (ben nota agli etologi) dell’adolescente che, sotto la spinta ormonale, è alla ricerca di un partner. Nel mio caso non si trattava di ormoni (sic!) ma di trovare una corrispondenza sotto il profilo professionale e intellettuale con gli psicologi per condividere l’idea di uscire dal proprio orticello e integrare le proprie competenze con quelle della psicologia, e se possibile con altre discipline (filosofia, antropologia, sociologia…),  valorizzando altresì le altre competenze (educatori, riabilitatori, infermieri…) che solitamente hanno una posizione ancillare, come gli psicologi, all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale. L’interessante esposizione di Miriam su MAD in Italy, che fa ampio cenno a questo problema dell’integrazione dei saperi, rinnova la mia convinzione che solo da questo “matrimonio” fra psicologia e psichiatria può nascere un modo nuovo di affrontare la problematica della salute mentale e, per quello che mi riguarda, del disturbo mentale. Visti i tempi poco favorevoli alle unioni matrimoniali ci si potrebbe accontentare di una convivenza…ma all’insegna del rispetto reciproco!

E’ sempre su questa linea che ho recentemente conosciuto il professor Paride Braibanti, docente di Psicologia della Salute presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’’Università degli Studi di Bergamo ed ex Presidente della SIPSA (Società Italiana di Psicologia della Salute) che mi ha onorato di accogliermi fra i promotori della Proposta di Legge di iniziativa popolare “Istituzione della Rete Nazionale per il Benessere Psicologico e dei Servizi Pubblici di Psicologia”. Insieme ad altre iniziative analoghe, che sono all’esame del Parlamento, si propone di portare la Psicologia all’interno del SSN con una propria rete autonoma di Servizi Psicologici Territoriali o SPT, integrati nel SSN, che concernono le varie aree dove dovrebbe essere presente la Psicologia: Servizi di Psicologia per area Ospedaliera e Socio-Sanitaria, scolastica e universitaria, per la disabilità, per le emergenze, per il lavoro, per lo sport, per i detenuti.

Io credo che, al di là di tutte le possibili criticità che possono essere sollevate e che si presenteranno inevitabilmente (formazione degli psicologi, integrazione con i servizi attuali di salute mentale, costi…), sia questa l’unica prospettiva che nell’area della salute mentale può favorire un’uscita dalle secche dell’attuale gestione della salute mentale medico- e ospedalo-centrica e orientata alla cura farmacologica del disturbo mentale con grave ritardo sulla necessità di un’azione preventiva del disagio mentale che non rientra, se non a parole, nella formazione del medico che tende alla cura più che alla prevenzione. In realtà la cura (biologica) della malattia mentale non esiste, se intesa secondo il noto paradigma medico diagnosi, terapia, prognosi, in quanto non esiste la malattia mentale così come concepita da una visione ottocentesca della psichiatria quando malattia mentale era presunta dipendere da una malattia del cervello. Se con cura si intende, come oggi si tende a ripetere un po’ pappagallescamente “prendersi cura” allora si tratta di altra cosa…ma attenzione al paternalismo di tali atteggiamenti che “con le migliori intenzioni” tendono a perpetuare un rapporto di dipendenza psicologica del paziente dal proprio curante.

Ridurre l’attività mentale al funzionamento cerebrale e i disturbi psicopatologici alla disfunzione dei circuiti cerebrali e a un disordine dei neurotrasmettitori è una concezione che, seppure possa apparire affascinante, in realtà è rozza e semplicistica e credo che scambi il funzionamento della macchina (hardware o cervello) con i programmi (software o manifestazioni dello psichismo) per utilizzare metaforicamente un concetto informatico. Sulla questione dell’anima (leggi mente o res cogitans di Cartesio) e della res extensa, si sono consumati secoli di dibattiti dal medioevo fino ad oggi.

Voglio solo ricordare, en passant, che Freud nel 1895 aveva abbozzato un testo “scientifico” (il Progetto di una psicologia) che aveva lo scopo (la pretesa?) di fondare una psicologia scientifica su basi neurologiche. Ricordiamo che la sua formazione era quella di un neurologo. In questo testo, Freud cerca di spiegare i processi psichici attraverso concetti come energia nervosa, neuroni e connessioni sinaptiche, ispirandosi alla fisiologia del suo tempo e al pensiero di Helmholtz.

L’opera riflette il desiderio di Freud di integrare le conoscenze neurologiche con l’osservazione clinica, cercando di spiegare fenomeni come il piacere, il dolore e la memoria secondo principi fisici come l’entropia e la conservazione dell’energia. Tuttavia, Freud abbandonerà presto questo approccio, ritenendolo troppo limitato per cogliere la complessità della psiche umana. Credo sia interessante tenere presente questo fallimento che non deve però impedirci di proseguire su questa strada senza però ignorare il salto inevitabile, e forse insormontabile, fra psiche e soma che rappresentano realtà irriducibili, almeno per il momento, secondo una visione occidentale del problema. Non bisogna però nemmeno disconoscere che in altri contesti (penso alle filosofie orientali come nel taoismo e nell’induismo e alla concezione olistica che da queste deriva) si possa trovarsi la soluzione del problema mente corpo. Anche la fisica quantistica e l’ecologia si giovano del concetto che il tutto è più della somma delle parti.

La teoria computazionale della mente (TCM) (J. A. Fodor) per la quale i processi cognitivi sono intesi come un epifenomeno del cervello, afferma che detta entità elabora le informazioni attraverso un processo algoritmico. Ecco un altro modo di leggere e interpretare i processi mentali superando il dualismo mente corpo.

Ho avuto modo (anche scrivendo questo articolo) di apprezzare l’Intelligenza Artificiale (AI), ma l’articolo l’ho scritto io!

Secondo la neuroscienziata M. P. Viggiano è opportuna una “distinzione dei livelli di analisi tra processi e fenomeni cerebrali, studiati dalle neuroscienze, e processi mentali che sono oggetto di studio della psicologia”…ma, “ad ogni modo il problema mente cervello contiene grandi enigmi che forse, come sosteneva Karl Popper, non saranno mai risolvibili”.

Personalmente lo spero perché ci sarebbe il rischio di un controllo delle nostre menti come in Fharenhait 451 o che siano sostituite dalla più efficiente (in termini di capacità di processare le informazioni) intelligenza artificiale.

Per rendersi conto della complessità delle sfide che hanno di fronte psichiatri e psicologi e tutti coloro che si occupano di salute mentale basta pensare al fenomeno della tossicodipendenza (forma di “autocura”) che i giovani praticano come risposta all’inquietudine di vivere nei tempi presenti per rendersi conto che non sarà la via del controllo (medico e farmacologico) della “devianza” e la criminalizzazione dell’uso delle droghe a risolvere il problema come non saranno certamente gli psichiatri a “normalizzare” la società e non saranno nemmeno gli psicologi che utilizzano tecniche behavioristiche o la scolastica adesione al modello biomedico a dare risposte adeguate alla sfida che pone l’uso del fentanil e dei suoi derivati.  Per affrontare questa marea montante che mette in crisi le società occidentali occorre un pensiero complesso che dia voce e metta in discussione l’homo. Così nella introduzione al mio saggio si esprime Miriam: “Questa è del resto la condizione esistenziale di homo: attraversare il Caos di cui è parte cercando di scoprirne le leggi, posto che ve ne siano, che diano un significato a ciò che vede o gli sembra di percepire e sperimentare. Siccome trovo stucchevole l’attuale vezzo di negare le differenze, non solo tra chi ha ricevuto una psico-diagnosi di qualche tipo e chi l’ha fatta franca, ma anche quello pseudo paritario e confusivo con cui si affidano a * le questioni di genere, in questo testo userò sempre la parola “homo” per indicare qualunque membro del genere umano”. E più avanti precisa citando Basaglia: “Attenti ad interrogarsi e confrontarsi su posizioni anche diverse per esplorare possibilità di dare un senso alle situazioni di dolore esistenziale e cercare un modo umano di affrontarlo. “

L’accenno di Miriam al controllo sociale di marca orwelliana, che oggi viene definito “silicolonizzazione” (neologismo per una tendenza a instaurare un controllo sociale sulla base dei Big Data che sono originari della Silicon Valley) e che altri hanno definito biopolitica (Foucault) o psicopolitica (Byung-Chul Han), segnala il pericolo che anche la psicologia aderisca a questi modelli.

Scrive infatti Miriam Gandolfi: “Sono pronte tecniche sempre più avanzate, che si traducono in nuove forme di manipolazione sociale: cioè parametri pratico-ideologici in cui distruggere l’esperienza, per portarla al livello di un comportamento comune…sotto l’apparenza della collettivizzazione del benessere”…“La differenza tra le due anime della psicologia (comportamentale versus esistenziale) si è via via sempre più divaricata, spingendo l’approccio neuro-psicologico comportamentista a saldarsi con una visione nuovamente materialista e iper-medicalizzata del comportamento umano e della salute in generale, offrendo strumenti adatti al controllo sociale secondo l’ideologia politica ed economica del momento”.

Riprendendo infine un pensiero di Basaglia (“Sono pronte tecniche sempre più avanzate, che si traducono in nuove forme di manipolazione sociale: cioè parametri pratico-ideologici in cui distruggere l’esperienza, per portarla al livello di un comportamento comune…sotto l’apparenza della collettivizzazione del benessere”) afferma: “Ciò da lui profetizzato, sul destino della legge 180, oggi vale anche per il codice deontologico degli psicologi ma anche dei medici: dovremo difenderli, non tanto con le unghie e con i denti, ma con la forza della conoscenza e dello studio che ci viene dalla fedeltà al metodo scientifico, quello intellettualmente onesto, che non è mai disponibile a piegarsi a nessuna ideologia di potere”.

Il problema sarà di avere psicologi che siano effettivamente in grado di non aderire passivamente a un mainstream che impone allo psicologo clinico di essere il normalizzatore sociale e la longa manus del sistema di controllo sociale. Sempre Gandolfi: “L’esito più triste è stato l’appiattimento, per non dire lo struscio con l’Ordine dei Medici. Uno dei momenti più tristi della nostra storia professionale che ci ha visti nel ruolo del “utile idiota”, sedotti e nuovamente assoggettati ad un certo potere medico”.

Io credo che se gli psicologi saranno in grado di fare proprio l’atteggiamento critico di Freud che si dice, sulla nave che lo portava in America nel 1909, esclamasse parlando a Jung: “Portiamo la peste… e loro non lo sanno ancora…” e si facessero “pestiferi” nel mettere in crisi il mondo accademico e la psichiatria apportando il loro contributo critico e un atteggiamento laicamente improntato al recupero di un “riconoscimento di un ruolo non subalterno alla medicina, all’interno del panorama scientifico, sociale e culturale del nostro Paese e della cultura occidentale. E ciò proprio attraverso la lotta per la tutela dei soggetti più fragili, guadagnando dignità anche per loro”, forse potremo superare questa impasse del pensiero occidentale che pone come obiettivi desiderabili l’integrazione e la riuscita sociale intesa in senso neoliberista. Come operatori del psicosociale non possiamo sottrarci al nostro compito critico.

Sempre seguendo lo scritto di Miriam Gandolfi si legge che:

Il 7 febbraio 2025 l’organo di governo dell’OMS ha approvato, una bozza di risoluzione sull’uso delle scienze comportamentali nella politica sanitaria. Il testo afferma:

“Riconoscendo che (…) gli interventi per cambiare il comportamento degli individui riguardo alla propria salute o dei dipendenti dei servizi sanitari e degli operatori sanitari richiedono un approccio globale e interdisciplinare che include, ma non si limita a, antropologia, comunicazione, economia, neuroscienze, psicologia e sociologia; … ESORTA gli Stati membri (…) a sviluppare e stanziare risorse umane e finanziarie sostenibili per costruire o rafforzare le capacità tecniche per l’uso delle scienze comportamentali nella sanità pubblica”.

E’ su questo modello dell’uso delle scienze psicologiche per modificare il comportamento degli individui che Gandolfi individua il grave rischio di assoggettare la psicologia alle esigenze del controllo sociale. Di qui nasce la dura critica alla proposta del nuovo codice deontologico per gli psicologi. Di qui nasce anche la mia totale e incondizionata solidarietà e condivisione di un approccio alla diversità che non sia né pan-psichiatrizzazione del disagio mentale né di pan-psicologizzazione.   Difficile dire cosa sia peggio…forse solo i sociologismi di (malintesa) derivazione basagliana sono ancora più riduttivi nel semplificare la complessità.

A tale proposito trovo estremamente condivisibile la critica di Gandolfi al modello, sposato anche dall’OMS, di Engel e Romano (1977) di bio-psico-sociale che mi ricorda l’hegeliana notte nella quale tutte le vacche sono nere per la mancanza di una gerarchia di fattori in gioco nel singolo caso (fondamentale per definire la loro importanza e la reciproca influenza nel causare il disturbo) con quel “pizzico” di bio e di sociale che sembra accontentare tutti “ (Gandolfi).

Per quanto riguarda l’iniziativa di cui ho fatto cenno circa la proposta di istituire una Rete Psicologica Nazionale mi permetto di segnalare la possibilità di sostenere l’iniziativa andando sul sito del Ministero della Giustizia https://firmereferendum.giustizia.it/referendum/open. Si può accedere con SPID o CIE. Dopo bisogna cercare la proposta (vedi foto) e cliccare su “sostieni”. Viene rilasciato un attestato, quindi si è sicuri di aver fatto la procedura giusta quando è possibile scaricarlo.

Bibliografia

Miriam Gandolfi: Il nuovo codice deontologico degli psicologi – Linee guida per una psicologia di Stato?

 

Renato Ventura

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Presentazione Dott. Renato Ventura La mia formazione professionale (psichiatra e psicoanalista oltre che, per una ventina di anni, neurologo ospedaliero) e l’esperienza di familiare di persona affetta da disturbo mentale, mi ha indotto ad aderire alle associazioni di famigliari, prima Aiutiamoli e successivamente la Tartavela, di cui sono stato presidente dal 2020 al 2024. Nel tempo ho maturato la convinzione che la c.d. malattia mentale è un costrutto medico biologico in gran parte privo di fondamenti epistemologici, nonostante i grandi progressi delle neuroscienze. Il mio interesse si è indirizzato alla difesa dei diritti delle persone affette da disturbo mentale e alla critica dell’attuale organizzazione dei servizi di salute mentale (a impronta prevalentemente sanitaria) che privilegiano l’uso (spesso assai dannoso per la salute e cronicizzante i disturbi) degli psicofarmaci e pratiche, sostanzialmente violente e anti terapeutiche, che utilizzano la contenzione e l’istituzionalizzazione come soluzione al problema della non conformità sociale delle persone affette da disturbo mentale.