“Spaccare” le catene e tornare a vivere – La storia di Graziano

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Susanna Brunelli

Ci vogliono giorni, mesi, anni per “spaccare le catene” della dipendenza e riuscire a vivere una vita dignitosa, a desiderare e pianificare il futuro. Non è passato molto tempo, ma ci sono tutte le premesse per salutare il passato e volgere lo sguardo verso una nuova fase della propria vita.

La motivazione più grande si chiama Gaia, una bimba di 4 anni, capace di riaccendere il fuoco nel cuore di un uomo che ha ritrovato una dimensione che proietta cose belle. (Susanna Brunelli)

“Spaccare” le catene e tornare a vivere 

La storia di Graziano

Desidero scrivere la mia storia per trasmettere forza e speranza a chi si trova a vivere una esperienza di dipendenza da droghe e psicofarmaci. Dopo anni di dipendenza, sono riuscito ad uscirne e da un anno circa mi sento rinato. Il mio incontro con la psichiatria ha segnato la conclusione di un lungo percorso, terminato nel maggio 2024.

La mia storia inizia a 14 anni, quando facevo parte di un gruppo di coetanei. Fino ai 17 anni, ci limitavamo a fumare canne. Tutto cambiò quando partecipai all’Heineken Jammin’ Festival, un evento che radunò 300.000 persone all’autodromo di Imola. In quei tre giorni erano presenti band straordinarie, tra cui i Placebo e i Metallica, che all’epoca erano molto popolari (oggi ho 40 anni). Durante il festival, provai vari tipi di droghe: anfetamine, speed, LSD e, purtroppo, le due sostanze che creano più dipendenza, eroina e cocaina. Da quel momento, la mia assunzione passò rapidamente da settimanale a giornaliera.

Ricordo giorni in cui andavo a Scampia, a Napoli, percorrendo 370 km andata e ritorno. A 27 anni, mi trovai con una ragazza che mi propose di assumere eroina e cocaina per endovena; da quel momento, fumare non mi bastò più.

Nello stesso anno conobbi un’altra ragazza, non coinvolta nelle mie attività, ci fidanzammo e venne a convivere con me. Oggi è la mia ex moglie e madre di mia figlia di 4 anni.

Abbiamo viaggiato da Parigi a Bologna e Milano, ma nulla sembrava cambiare il mio destino. Scappare da ciò che si porta dentro è impossibile; ovunque andassi, cercavo sempre i luoghi per soddisfare le mie “esigenze”.

Quando nacque mia figlia, decidemmo di ritornare a vivere al mio paese d’origine. All’inizio, pensavo di essere forte di fronte a quell’esserino che oggi rappresenta tutto per me, ma presto caddi di nuovo. La mia dipendenza anche dalle benzodiazepine era diventata insostenibile. Quando mia moglie decise di allontanarsi da me con la bambina, capii cosa stessi perdendo e cosa avrei potuto ancora perdere, nonostante avessi già deciso di entrare in comunità.

In comunità, cercarono di sostenermi, ma assumevo sette pastiglie di Rivotril al giorno e, nonostante ciò, non erano sufficienti. Dopo diversi mesi, capii che l’unica soluzione per liberarmi dalle benzodiazepine era ricoverarmi in clinica. Durante il primo mese, iniziai a disintossicarmi nel reparto di alcologia e dipendenze, dove riuscivo a dormire solo quattro ore a notte, con una flebo di Valium attaccata al braccio.

In clinica sono entrato in contatto con gruppi di Alcolisti Anonimi (A.A.) e Narcotici Anonimi (N.A.) Ci riunivano ogni sabato mattina, formando un gruppo di 50-60 persone. Durante questi incontri, condividevamo le nostre storie e i progressi raggiunti; avevamo la libertà di raccontare o meno le nostre esperienze.
Senza dubbio, questo era il momento più significativo della settimana. Le parole che ascoltavo rimanevano impresse nella mia mente, poiché in quel contesto non ci si sentiva giudicati, ma accolti e sostenuti per i risultati ottenuti. Consiglio vivamente a chiunque di partecipare a gruppi di autoaiuto: ci si ritrova accanto a persone che hanno vissuto esperienze simili, creando un effetto specchio che stimola la riflessione. Vedere persone che hanno superato le difficoltà e che sono sobrie da 5, 7 o 10 anni, vivendo il “qui ed ora”, un giorno alla volta è un’esperienza potente e molto incoraggiante, estremamente forte e significativa, da cui ho appreso tantissimo.

Successivamente, fui trasferito nel reparto di psichiatria per doppia diagnosi (dipendenza e diagnosi di borderline), dove mi fu diagnosticata anche l’ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, ndr). Solo lì, con pazienza e tempo, iniziammo a scalare, un passo alla volta, grazie al supporto di medici, specialisti e gruppi di lavoro che frequentavo dal lunedì al sabato.

Il mio obiettivo, come indicato nel piano del SERD, era eliminare l’uso eccessivo di benzodiazepine. Mi dissero che il SERD spendeva circa 200€ al giorno per la mia permanenza.

Tuttavia, alla fine del mio percorso, quando mi dimisero, dal reparto di psichiatria nel 2024 mi trovai a dover assumere nove farmaci diversi che, secondo loro, servivano per sopperire ai miei sbalzi di umore, forti crisi di ansia e smanie, rischiando così di diventare dipendente da queste altre “sostanze”.

Quella, avrebbe dovuto essere stata la mia terapia di “mantenimento”.

Chiaramente quando sono uscito da lì non ero d’accordo di continuare con tutti quei farmaci, volevo tornare lucido e vivere la mia vita affrontandola con responsabilità.

Con il supporto del mio medico di fiducia del SERT, con cui collaboro da 18 anni, ho trovato la determinazione per scalare le dosi fino a interrompere completamente l’assunzione. Il percorso non è stato facile: ho sofferto di diarrea e vomito per due mesi, ma non volevo più tornare indietro, mi ero gonfiato come un pallone e mi sentivo fortemente a disagio.

Una volta tornato lucido, ho iniziato a concentrarmi su me stesso, affrontando le mie emozioni e le perdite. Oggi ho recuperato fiducia in me stesso, affrontando ogni giorno con la consapevolezza che si tratta di un passo alla volta, una frase comune tra gli alcolisti e i narcotici anonimi: UN GIORNO ALLA VOLTA.

È fondamentale che il cambiamento venga dalla persona stessa. Si può ricevere aiuto da medici, specialisti e terapeuti, ma se non si è consapevoli del problema — e questo richiede tempo, costanza e molte cadute — nemmeno il supporto più professionale sarà sufficiente. Affrontare le sfide da soli è difficile, ma la consapevolezza personale e supporto esterno offrono una vera speranza di successo.

La mia forza di volontà ha prevalso

Mia figlia, Gaia, è la gioia della mia vita. Ogni mese veniva a trovarmi ad Ascoli, nella struttura accanto all’ospedale. Anche quando ero in comunità, riusciva a venirmi a trovare ogni due mesi, quando le circostanze lo permettevano. All’inizio, nei primi due o tre mesi, veniva con mia moglie, ma poi la situazione divenne insostenibile per lei e decise di allontanarsi. Così, la nostra storia si concluse nel 2023.

Il pensiero di riconquistare quello che avevo perso è stata la forte motivazione che mi ha spinto a riprendere in mano la mia vita. Quando ho realizzato quanto stava accadendo, era già troppo tardi, mia moglie era andata via. Si sa, si apprezzano le cose solo quando le si perde.

Dopo un mese dalla dismissione, sono tornato al lavoro, dopo un anno e mezzo di inattività. Attualmente, sto cercando di riallacciare i rapporti con la mia ex moglie, dopo la nostra separazione avvenuta nel 2024.

Grazie a un miglioramento della mia situazione personale tutto sta migliorando, anche la nostra relazione.

È ancora viva la gioia immensa che ho provato nell’ospitare Gaia per la prima volta, dopo questo lungo periodo, nella casa dove ha vissuto i suoi primi due anni. La stanza che avevamo arredato con tanto impegno la stava aspettando.

È stata con me e regolarmente ci vediamo. Stiamo insieme spensierati, ci facciamo le coccole e sento che sta bene con il suo papà. Il mio desiderio è quello di tornare a essere una famiglia unita, senza i problemi che ci affliggevano, essere un bravo marito e un padre sempre presente e disponibile. Sento che Gaia ora fa affidamento su di me e spero che anche la sua mamma torni a fidarsi.

Da oltre un anno sono pulito, senza alcun pensiero riguardo alle sostanze o all’abuso di farmaci. Queste non fanno più parte della mia vita quotidiana. In nessun momento mi viene in mente di tornare indietro.

Sono concentrato sul lavoro, su mia figlia e sulla speranza di poter tornare ad essere una famiglia serena e onesta. Raccontare la mia storia rappresenta per me un momento di sfogo ma anche di orgoglio personale. Oggi posso dire con fermezza: ce l’ho fatta, dopo 22 anni di catene!!!

Pensando al mio passato, l’immagine che mi viene in mente: catene alle mani e ai piedi.

Finalmente ho “spaccato le catene per tornare a vivere”.

Spero che la mia esperienza possa essere di aiuto a qualcuno, o magari a molti.